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12/12/2016 

Maurizio Donelli Dimenticate le marinature, le lunghe cotture,  il vino, l’aceto, le spezie. È l’ora dei carpacci, delle tartare, delle tagliate. Il ritorno (moderno) della selvaggina nelle cucine dei grandi cuochi, e non solo,  ha come argomento principale la semplicità delle ricette e il rispetto della materia prima. Con  un occhio speciale alla carne degli animali che hanno vissuto solo ed esclusivamente nella natura e che di natura si sono nutriti.

Secondo i sostenitori, questo tipo di carne fa meglio di altre:   «Sicuramente mangiarla è sano — spiega Roberto Barbani, veterinario,  responsabile dell’unità di Igiene degli alimenti di origine animale della  Usl di Bologna —. Si tratta di animali esenti da contaminazioni  antropiche che, a differenza di quelli allevati, non hanno mai assunto farmaci e  mangiano solo quello che offre loro il bosco, niente di più. È una carne poverissima di grassi e di colesterolo, ricchissima di ferro  e ha un ottimo rapporto tra acidi grassi polinsaturi omega 3/omega 6. Andrebbe somministrata anche nelle mense scolastiche per la sua purezza. È bio per definizione».

Lo chef emiliano Igles Corelli, con Michele Milani,  ha recentemente chiamato a raccolta i più grandi cuochi italiani, da Massimo Bottura a Moreno Cedroni, da Enrico Crippa a Giancarlo Perbellini e ancora Gianfranco Vissani, Davide Scabin e tanti altri... La caccia di Igles e dei suoi amici è diventato un bellissimo  libro di ricette e suggestioni.

«La selvaggina è un prodotto vero — spiega Corelli—. È da sempre la carne di riferimento nella mia cucina e ricopre un ruolo importante nella mia vita e in quella delle persone a me vicine. La caccia, se gestita correttamente, serve a mantenere l’equilibrio tra  specie selvatiche e territorio. E il frutto della caccia è una risorsa per tutti che va tutelata e rispettata, non trascurata e lasciata a se stessa».

Esiste anche un altro libro sull’argomento, da poco uscito in Italia per Guido Tommasi: «Cacciagione», di Stephane Reynaud, con le ricette dedicate a diversi tipi di selvaggina. Chi volesse replicare i piatti proposti sui libri deve però tenere conto di un fatto: «Purtroppo il 90 per cento della selvaggina  che si consuma in Italia arriva dall’estero. Soprattutto nuova Zelanda, Scozia, Paesi dell’Est— spiega Michele Milani, pubblicitario, editore, che da anni si batte come un leone per la valorizzazione della cacciagione in cucina —. E questo nonostante l’esorbitante numero di cinghiali, caprioli, cervi e daini sulle nostre Alpi e sull’Appennino, cresciuti a dismisura dopo l’abbandono delle campagne e il conseguente rimboschimento. Vogliamo la carne di bovino a chilometro zero e poi facciamo arrivare il cervo dall’altra parte del mondo. L’Italia potrebbe essere autosufficiente se si creasse una filiera controllata». 

Il primo problema per i ristoranti  è proprio  l’approvvigionamento delle carni. Spiega Gianni Tarabini,  chef del ristorante stellato «la Preséf» di Mantello in Valtellina: «Bisogna essere bravi a scegliere il capo giusto, abbattuto nel rispetto delle regole. Un animale che non abbia sofferto e quindi non abbia accumulato acido lattico, magari non troppo vecchio. Sicuramente i regolamenti severi sulla caccia di selezione ci aiutano. La carne di un animale con queste caratteristiche si può e si deve mangiare anche cruda o appena scottata». Non utilizza selvaggina cacciata,  invece, Luigi Taglienti, chef stellato del «Lume»: «È così, compro animali ma solo da allevamenti italiani. Carne di primissima qualità. Ho dedicato un intero menù alla cacciagione e vedo che va fortissimo, soprattutto in questa stagione, pur avendo il locale  in una metropoli come Milano».

Uno dei maggiori distributori di carne di selvaggina italiana è Aldo Zivieri, di Bologna all’interno del  Mercato di Mezzo ha aperto un piccolo locale, si chiama «Romanzo», dove viene servita cacciagione cotta in modo espresso, tipo street food: «Facciamo hamburger, tartare, carpacci, roastbeef... Il miglior modo per consumarla è trattarla il meno possibile». La caccia è un’attività che continua a dividere. Da un lato le ragioni degli animalisti, dall’altra quelle di chi la pratica. L’obiettivo comune resta  la salvaguardia dell’ambiente. La selvaggina  è comunque un alimento che sin dall’antichità, l’arte ne è testimone, trionfava sulle nostre tavole. E, anche per questo, ancora molto caro a tutti i grandi chef.
 

Maurizio Donelli
(Tratto da Il Corriere della Sera del 9 dicembre 2016)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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1 commenti finora...

Re: Agli chef (ri)piace la selvaggina

la carne di selvaggina non decollerà mai fino a quando non BLOCCHERANNO certa gente sul serio. Questi sono capaci di distruggere un ristorante in nome degli animali! SERVE UNA LEGGE seria!

da Chef  14/12/2016
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