Senza stare a fare conti o censimenti vari, è innegabile che negli ultimi decenni il numero dei cacciatori italiani è drasticamente diminuito. Questo è un dato di fatto ed io, scusate la sincerità, non me ne rammarico affatto, perché sono sempre stato un forte sostenitore del motto: “Pochi ma buoni!”.
Infatti, molti dei seguaci rimasti fedeli alla dea Diana sono ora dei cacciatori Selecontrollori esperti in tante forme di caccia, sia con la canna liscia sia con la canna rigata, con tanto di Attestati che lo certificano. E tra loro è piacevole costatare che ci sono anche molti giovanissimi ad aver ereditato l’antica, atavica, ancestrale passione per la caccia dal padre o dal nonno.
Secondo me, invece, il problema più serio è un altro: percepisco (speriamo che mi sbaglio!) una certa pigrizia generale che pian piano si sta diffondendo tra i cacciatori. Quella che ti fa preferire il dormire invece di alzarti presto, quella che ti fa rimanere in casa quando piove o fa freddo invece di patire per boschi, monti e valli, quella che t’impedisce di consumare pieni di carburante per andare ad addestrare i cani in estate o per andare ad esplorare nuove zone di caccia.
Questo fenomeno, sicuramente dipeso anche dalla profonda crisi economica attuale, ha trovato una, diciamo, “soluzione finale” nelle formazione di innumerevoli squadre di cinghialai italiani, anche dove di cinghiali ce ne sono sempre stati pochi e dove la caccia in battuta era pressoché sconosciuta.
Perché sostengo questo? Perché noi uomini apparteniamo pur sempre al regno “animale” dove spesso riemerge il desiderio primordiale di appartenere al Branco, di unirsi in una moltitudine di soggetti per svolgere un lavoro che in molti riescono a fare egregiamente da soli.
Questa tendenza all’aggregazione la definisco “La Sindrome del Branco” il bisogno incontrollabile di avere dei compagni di caccia e soprattutto di dipendere da un Capobranco, da uno che decida al posto nostro, che si prenda tutte le responsabilità, sia nel bene sia nel male. Proprio per sopperire alla suddetta”pigrizia”, per non dover decidere da soli dove e quando uscire, su cosa fare e come farlo, dove posizionarsi etc., molti cacciatori sono sempre alla ricerca di compagni di caccia, anche per andare a fare un piccolo rientro serale ai tordi.
Quando ero bambino mio nonno e mio padre andavano a caccia in due – tre persone, raramente di più, oggi, specialmente all’apertura, vedi dilagare tra boschi e pianure squadroni composti da decine di soggetti, neanche dovessero andare davvero ad una battuta al cinghiale. Che il profumo, il fascino, la magia del cacciatore solitario col suo bel cane stiano davvero scomparendo? C’è da dire una cosa per quanto riguarda la caccia in battuta, che, analizzando attentamente tutti i componenti di una squadra di cinghialai, ti accorgi che è composta sostanzialmente da tre categorie di cacciatori: da veri appassionati della caccia in battuta al cinghiale che davvero la sentono nel sangue, da vecchi nostalgici ultrasettantenni che nonostante l’età hanno ancora tanta voglia di muoversi all’aria aperta e poi da moltissimi soggetti che, non essendo capaci a fare altre cacce, se non trovassero il modo di aggregarsi al “branco” non saprebbero cos’altro fare o dove andare!
Strano ma vero, sono poi quest’ultimi quelli che pretendono di sparare tutte le volte che partecipano ad una battuta, perché, data la loro scarsa passione, non si accontentano di godersi soltanto una spettacolare canizza e una coreografica Cacciarella alla Maremmana. Di cacciatori come noi, che abbiamo questa caccia nel DNA, che dopo il suono del corno carichiamo la carabina e preghiamo il cielo di avere un magico faccia a faccia con il “ Re della Macchia“ ma che se poi alla fine della battuta non abbiamo sparato siamo contenti lo stesso, ne sono rimasti ben pochi.
Recentemente mi è capitato di guardare un filmato su You Tube sulla caccia al leone sulla traccia. In alcune scene sono riuscito a contare sette – otto persone (più il cameramen ovviamente!) in fila indiana dietro la pista lasciata dal possente felino. Dire che sono rimasto piuttosto “allibito” mi sembra dir poco. Capisco che ad accompagnare il facoltoso cliente - cacciatore deve esserci un ottimo White Hunter professionista, o magari anche due ed un tracker, ma vedere una moltitudine di soggetti (più o meno inutili, non so) che si accalcano dietro di loro, sfiora la comicità. Durante la mia lunga carriera di “Cacciatore Maremmano” semiprofessionista (perché lo facevo anche come lavoro!) ho accompagnato in molte riserve del Centro Italia tanti cacciatori a daini, cervi, cinghiali e caprioli ed ho sempre avuto problemi nel convincerli a non trascinarsi dietro, nella caccia, amici, colleghi, figli ed a volte anche mogli e amanti.
Ho conosciuto una moltitudine di soggetti che al solo pensiero di inoltrarsi nel bosco in due li faceva star male, neanche avessero il timore di essere abbandonati in qualche foresta sperduta del Nord Europa! Non mi permetto di criticare chi apertamente confessa di aver paura a dover cacciare da solo, assolutamente no, ma dal cercare una compagnia al voler far parte di un branco composto da tanti soggetti, magari solo per cacciare lepri e fagiani troppo ce ne corre.
Oltre ad essere vietato dalla legge, è anche un cattivo modo di praticare una delle passioni più intime e belle del mondo. Poi c’è il discorso: cani da caccia. Non credo esista più una famiglia comune che non abbia in casa un Jack Russell, un Barboncino, un Pomerania o un semplice meticcio raccolto in un canile.
Mentre sono rimasti pochi quelli che continuano ad allevare, e ancor in meno ad addestrare, un buon cane da caccia. Perché un ausiliare venatorio ha ben altre esigenze di un cane da compagnia. Comunque, visto che il desiderio di voler cacciare con un buon cane c’è sempre, perché non farlo con quello di un altro! Molto più comodo e soprattutto molto meno dispendioso. Per concludere vorrei dire che io ho cacciato e caccio tuttora con tre cani, a volte anche con quattro…da solo, mentre spesso mi capita d’incontrare dieci cacciatori correre dietro ad un povero Bretoncino!
Marco Benecchi