SECONDA PARTE
Solito appuntamento mattutino, ma questa volta con le lancette dell’orologio spostate un’ora più avanti perché, senza che glielo avessi chiesto, Vittorio mi garantì che la nostra meta sarebbe stata più vicina, la caccia meno estrema e che avremmo avuto come prede d’elezione i mufloni.
Il mattino successivo, come previsto, raggiungemmo col fuoristrada una malga già abbastanza in quota, parcheggiammo silenziosissimi e poi c’incamminammo lungo un sentiero tracciato con i soliti segnali tracciati su tronchi e sassi per gli escursionisti. La nostra strategia sarebbe stata quella di aggirare la montagna per scorgere la stessa valle dove avevamo cacciato il giorno prima, ma molto più a nord.
Dopo una mezz’ora di marcia sempre abbastanza tosta, facemmo una prima sosta per rifocillarci. Almeno io ne avevo davvero bisogno! Vittorio, nel frattempo, controllava minuziosamente il perimetro circostante che pian piano andava illuminandosi. Come giungemmo in cima, dal sorriso che gli affiorò sulle labbra sospettai che dovesse aver visto qualcosa d’interessante. Infatti, sul costone che avevamo davanti, un bel fusone di cervo pascolava a ridosso di una parete bianca come il latte. Anche se era molto distante, la sua maestosità era evidente.
Speravo di potermi godere il superbo animale per qualche minuto e invece rimasi deluso perchè al pulito ci rimase poco, per poi scomparire nel fitto della vegetazione. Nonostante fossi in azione anch’io con il Leica agli occhi, fu sempre Vittorio quello che avvistò per primo i mufloni. Erano talmente distanti e ben mimetizzati col territorio che riuscii a identificarli soltanto seguendo le indicazioni del mio accompagnatore.
Era un bel gruppetto,composto da quattro femmine e da due maschi, di cui uno davvero molto bello, che brucavano (davvero non so cosa!), tranquilli nella pietraia. Il mio carissimo amico cadorino doveva conoscere i selvatici presenti nella sua riserva uno ad uno e sapeva che non avevamo molto tempo da perdere, così m’invitò a prepararmi perché avremmo tentato di avvicinarci. Le condizioni erano piuttosto sfavorevoli, perché avevamo il vento a sfavore ed eravamo praticamente allo scoperto. Cercammo di procedere spediti e furtivi, ma come avevamo previsto fummo avvistanti ugualmente dai mufloni quando ancora eravamo piuttosto lontani. Volli togliermi la soddisfazione di telemetrare a quanti metri fossero, circa 400, che non sono certo pochi ma neanche tantissimi.Vittorio, intuendo le mie intenzioni, fece spallucce, sostenendo che da lì a poco il branco sarebbe scappato via e che sicuramente ne avremmo avvistati altri, ma se avessi voluto tentare il tiro a lui sarebbe andato bene.
Decisi di provare perché proprio a due passi da noi c’era “l’appoggio perfetto” offerto da un enorme masso bianco. Per primo misi il parallasse a 400 e gli ingrandimenti a 25 x. Poi, dopo aver regolato i piedini del l’Harris, misi sotto al calcio anche il mio rest in pelle riempito di sabbia, utilissimo quando si devono eseguire tiri piuttosto lunghi.
I mufloni intanto avevano smesso di mangiare e camminavano lentamente da destra verso sinistra allontanandosi sempre di più, con la vecchia femmina scura indicatami da Vittorio che guidava il branco. La preparazione al tiro fu quindi veloce, quasi frenetica. Inquadrai nel cannocchiale l’animale giusto, posizionai il reticolo una decina di centimetri sopra il filo schiena e due secondi dopo aver armato lo stecher sparai. “Presa! Tiro perfetto, impeccabile. Bravo Marco!” furono le parole di Vittorio.
Fui davvero felicissimo dell’abbattimento, del tiro e di tutta l’azione di caccia, un po’ meno del fatto che avevo eseguito un colpo alla “spara e spera”, perché non vedere cadere l’animale direttamente attraverso le lenti dell’ottica da mira non mi è mai piaciuto. Purtroppo sono cose che succedono quando si spara con un’ ottica a forti ingrandimenti e con un calibro potente come il 270 WM, anche se dotato di freno di bocca. Le mie Hornady SP da 130 grani sono davvero eccezionali, in quanto sia con la camoscia sia con la femmina di muflone avevano fatto un ottimo lavoro. Dopo aver dato sfogo a tutta la nostra gioia, seguì il solito copione, già visto in molte altre occasioni.
Il recupero fu difficoltosissimo, poi fotografie e video si susseguirono numerosi. La muffla era un bel capo, reso ancora più bello dal fatto che era molto vecchia e senza piccolo. Come d’incanto, nelle mani di Vittorio apparve una bottiglietta di grappa e, nonostante l’ora, un bel brindisi fu d’obbligo.
Ma come ben sanno tutti i cacciatori di montagna, dopo il piacere c’è sempre il dovere e noi dovemmo organizzarci per il rientro. Raggiungere il fuoristrada fu quasi uno scherzo se paragonato alle fatiche del giorno precedente. Era molto tempo che desideravo poter annusare nuovamente l’odore caratteristico della montagna e degli animali che la abitano. Giungemmo in paese che era l’ora di pranzo, con una voglia matta di polenta bianca coi funghi porcini che mangiammo in silenzio e con un pizzico di malinconia, perché stavo per lasciare quelle montagne meravigliose, dalle valli incantate.
Ero consapevole che avrei rivissuto ogni attimo trascorso in compagnia dell’amico Vittorio per molto tempo, saziando il corpo e l’anima con la bellezza di quei paesaggi e la genuina amicizia dei suoi indomiti abitanti. Al pensiero che avrei dovuto lasciarli mi venne un nodo allo stomaco, ma sperai che la vita mi potesse concedere ancora tante giornate come quella.
A Vittorio va tutta la mia gratitudine per aver reso possibile questa splendida avventura, ma devo anche ringraziarlo per la sua competenza, per la sua abilità come cacciatore e per la sua infinita pazienza.
Marco Benecchi