Il Piano di depopolamento dei cinghiali deciso da Governo e Commissario per la PSA, come abbiamo visto anche dall'ultimo intevento del Sottosegretario La Pietra in Parlamento, chiede un grandissimo sforzo di collaborazione ai cacciatori. Sorprende infatti che ai soli cacciatori venga chiesto di occuparsi di quasi il 74% degli abbattimenti previsti sul territorio nazionale (612 mila capi in un anno) da realizzarsi tra caccia collettiva e caccia di selezione. In sostanza la riduzione significativa e generalizzata delle densità di cinghiale sul territorio nazionale (ovvero la strategia principale per combattere i focolai nei cinghiali) è quasi totalmente affidata al mondo venatorio.
Sempre ai cacciatori si chiede di intervenire nelle zone infette sottoposte a restrizioni, dove per altro la partecipazione volontaria non dà diritto ad ottenere le carcasse per ottenere carne, dato che infetti o no, i cinghiali vanno smaltiti. La Liguria al fine di incentivare i suoi praticanti abilitati, ha stanziato misure compensative in denaro, offrendo fino a 80 euro a capo per arrivare ai contingenti stabiliti. Analogamente la regione Campania in questi giorni ha previsto risorse pari a 750 mila euro per i cosiddetti “bioregolatori” con rimborsi forfettari di 50 euro a capo. Iniziative simili erano già arrivate da Lombardia e Piemonte, che già dal 2023 hanno stanziato importi graduali premiando l'abbattimento di scrofe e giovani esemplari (che ovviamente ai fini del depopolamento sono da preferire).
Il ruolo cruciale dei cacciatori è però molto più importante del mero abbattimento. Grazie alla presenza capillare sul territorio, dà un supporto cruciale nelle operazioni di ricerca delle carcasse, importantissima per evitare la diffusione del virus.
L'esempio della Sardegna
Pochi mesi fa uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Viruses ha analizzato il modello sardo di sorveglianza passiva attuata di fatto dai cacciatori, come protocollo innovativo ed efficace per l'eradicazione della Peste Suina Africana nei cinghiali.
Da quello studio sono emerse considerazioni edificanti per i cacciatori dell’isola: grazie alla loro partecipazione attiva come comunità è stato possibile effettuare un monitoraggio costante e capillare su tutto il territorio, che ha contribuito negli anni ad arrivare a debellare completamente la malattia, tant’è che l’Ue ha ufficialmente riconosciuto l’eradicazione della Psa in Sardegna. Il protocollo sardo, basato sulla ricerca di carcasse di cinghiali, e al database aggiornato attraverso l’app GAIA Observer, ha permesso di registrare, tracciare e condividere i dati raccolti durante le ricerche.
Durante il periodo 2021-2023, sono state organizzate 33 ricerche attive di carcasse di cinghiali, principalmente mirate a individuare carcasse precedentemente segnalate dai cacciatori. Il protocollo finale coinvolgeva quattro persone, con una velocità media di 1,5 km/h. I risultati hanno dimostrato che la collaborazione con i cacciatori locali è essenziale per segnalare le carcasse. La presenza di cani da caccia ha accelerato il processo, riducendo il tempo necessario per individuare una carcassa precedentemente segnalata.
Questa notizia, quasi per nulla considerata dalla stampa nazionale, ha invece dello straordinario e deve rendere molto fieri i cacciatori nostrani, che, contrariamente alla controparte ambientalista, buona solo sentenziare teorie salottiere, ottiene importanti risultati che vanno a beneficio della comunità intera. L’esempio sardo, a detta degli studiosi che hanno pubblicato la loro ricerca sulla rivista viruses, potrebbe fare scuola ed essere applicato anche per aiutare a combattere l’attuale emergenza PSA nell’Italia continentale.
E’ questo, sostanzialmente che si deve rivendicare. Le tante ore di lavoro volontario che, grazie anche all’esercizio regolare della caccia in tutte le sue forme, può essere sfruttato dalla pubblica amministrazione in situazioni di emergenza come questa.