PRIMA LICENZA DI CACCIA Giuliano Incerpi "Viva la nostalgia"


martedì 12 agosto 2014
    

E' passato tanto tempo, ormai. E allora, purtroppo o fortunatamente, chissà, tutto passa attraverso la lente della nostalgia. Era tutto bello, allora, non solo la caccia. Ma la caccia era ancora più bella. A dire il vero, a sedici anni, quando presi la licenza, andavo a caccia con mio padre da  dieci anni almeno. E per questo era bello! Fu un po' come l'iniziazione all'età adulta. Da allora, potevo uscire da casa, da solo, col mio fucile. Che poi era quello di mio padre, che avevamo comprato insieme dall'armiere del paese, forse l'anno prima. E con la cartuccera piena di cartucce che ormai da anni caricavo (e ricaricavo) personalmente. Con misurini, orlatore, bilancino, cavainneschi, calcone. I miei "giocattoli".  

L'apertura la feci con alcuni amici, più esperti, un cane, mitico "Didi" - come il funambolista brasiliano, compare di Pelè - setter inglese, non mio, che sapeva leggere e scrivere. Un agosto assolato nelle campagne di  Colle Val d'Elsa, a due passi da Siena. Primo mattino a fagiani, starne e lepri. Roba vera. Sudata, non solo per il caldo. Stoppie e prati, vigne e incolti. I poderi di una volta. Mille insidie, ansia, adrenalina, attimi di godimento primordiale. La preda. Più prede, due fagianacci, qualche femmina, quattro starne, prima sbrancate e poi ribattute, una lepre, scarseggiata alla prima e poi rincorsa fra cigli e fossi, e ribattuta.
Una sosta tardomattutina, colazione stravaccati su una proda ombrosa, prosciutto e pane contadino, vino sublime di quelle parti, che acquisivamo annualmente a damigiane per poi infiascarlo a casa per tutta la famiglia. Risate grasse per le padelle, le prese di giro. Le vanterie del supercacciatore di turno (tutti, tranne il sottoscritto, matricola, che proprio perchè matricola doveva star zitto e imparare). E sul meriggio, aspetto alle tortore all'abbeverata. Otto, per la precisione, più le padelle. Tante. E via fino a sera, dietro al cane rinfrancato. Tutti sfiniti al tramonto, nell'aia ospitale, per una cena che a dir poco bisognerebbe definire sublime. Prosciutto e crostini con la milza. Risotto tirato a meraviglia, arrosto al forno (pollo, coniglio, piccione, tutta roba accudita personalmente dalla massaia) con patate, insalata dell'orto, vino, ovviamente, quello di prima, e per finire un sontuoso latte alla portoghese, anche quello cotto in forno, trattato a bagnomaria, come comanda l'Artusi.

Che volete di più!

Che dite? Sarà nostalgia?

Vabbè! Viva la nostalgia.
 


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