Il canto di amore e morte dell'urugallo


giovedì 7 maggio 2009
    

Eustachio al volante con a fianco Franco Ceroni enciclopedico scrittore che si ammanta dello pseudonimo di “Cedrone”, passato il confine a Tarvisio, è euforico per l’invito alla caccia al canto dell’urogallo. Cacciatore neofita pensa che il suo sogno si avveri nella realtà. Dopo Klaghenfurt nella Stiria via veloci verso la Carinzia ave il Ceroni è atteso dal conte di Thun che lo ospita da anni, in ogni primavera. La sera in una locanda ricca di rari trofei Eustachio, novellino,  è oggetto degli sfotteti dei grossenjager austriaci. Lo tempestano di consigli per la prossima battuta. Ma la sua mente è già ingombra di ogni particolare sulle astuzie, l’avvicinamento, il tiro che per quasi 500 chilometri il Ceroni gli ha sciorinato nel cervello.

Alla sveglia delle tre Eustachio è  già vestito, pronto; durante la notte non ha chiuso occhio per l’eccitazione. Partenza alle tre e mezza per arrivare ai piedi di una collina dove sono stati segnalati galli in attività canterina primaverile. Eustachio butta per terra la giacca di colore vivace, avvolge il collo con una sciarpa scura, copre le mani con guanti. Segna con il gesso la tacca di mira fino al mirino del fucile. Stuppen accompagnatore esperto lo guida verso l’alto penetrando nel folto del bosco. I due a notte ancora piena ascoltano il risveglio della natura. Aguzzano l’udito ma tutto è silenzio rotto solamente dalle strida di qualche rapace. Improvvisamente Stuppen fa un cenno, prende la mano sinistra di
Eustachio e lo trascina su per la boscaglia. Il cacciatore regge il fucile senza cinghia nella destra. Ecco il canto dell’urogallo, Toc...toc...toc,.. poi tocsciusciutoc.... il canto si ripete sempre con veemenza più robusta e forte ad intermittenza ogni mezzo minuto.

Il cacciatore rimane immobile, come statua durante i primi due toc ed il silenzio successivo allo scroscio rumoroso finale, Dopo la maggiore eccitazione amorosa può procedere di quattro o cinque passi. E’ il momento in cui il tetraonide, appollaiato su un ramo, abbassa le ali, ruota la immensa coda e chiude gli occhi. Solo in quei momenti in cui non vede e non sente sono consentiti i passetti di avvicinamento. La fatica e la tensione aumentano nella ripida ascesa; il timore di spaventare il gallo, di mettere piede qualche cosa che possa fare rumore riempie i due di trepidazione.  Anche Stuppen che tiene stretta la mano libera dal fucile di Eustachio trema. Negli attimi di sosta le loro mani unite tremano. Ora il canto è forte e frenetico.  Sembra che il gallo sia vicino a dieci metri, vicinissimo. Eustachio dà strappati a Stuppen perché gli sembra che procede troppo allo scoperto. Ma non si arriva mai a tiro. Il poco chiarore dell’alba non è sufficiente a distinguere qualcosa tra il folto dei rami.
Ad un tratto Eustachio non riesce a reprimere un conato di tosse. Quasi soffoca ma lo scoppio è improvviso, Mio Dio! Il gallo insospettito tace.

Tre minuti; i due, gli occhi a terra, un piede mezzo sollevato stanno immobili. Non guardano verso l’alto perché i “tecnici” hanno detto che il gallo vede il bianco delle pupille e può quagliare. Ecco che risuona un debole toc. Silenzio ancora per mezzo minuto poi il canto riprende circospetto.
Eustachio balza in avanti e si butta dietro un grosso tronco. Alza gli occhi e gli pare di vedere qualcosa di nero e grosso a mezza altezza in un gruppo di alberi. Al canto seguente si accorge che la massa scura che aveva una preminenza verso l’alto ora ne è priva. E’ lui! . Imbraccia il fucile e lascia partire il colpo. L’uccello sbatacchiato di ramo in ramo cade a terra. All’urrà di Stuppen fa seguito un corsa per raccogliere la preda. Un magnifico bestione di oltre cinque chili, stuppen strappa un rametto di pino e lo applica sul cappello alpino di Eustachio. Poi prende un altro rametto e lo pone nel becco del cedrone. E’ il rito della caccia in Carinzia.

La sera nel salone del castello di thun applausi e brindisi per Eustachio e  il suo primo trofeo poi predominano le discussioni sulla caccia al canto.
—“ Bella forza !“ — si alza la voce di un giovane nembrotte locale—  Fucilare un uccello grosso come un pavone mentre canta fra i rami di un albero. Caccia facile, esecuzione crudele durante un frenetico canto d’amore.” Si alza la voce di Franco Ceroni il “Cedrone”: - “Caccia facile, tiro da bersaglio sicuro? Ho cacciato cedroni guadagnati e molto spesso intravisti con una arrampicata notturna di ore ed ore per dirupi infidi, sudate da scaricatori di porto e raffreddamenti da mare glaciale. Se il cacciatore fesso di turno volesse accompagnarmi alle tre di notte e fare quindici chilometri su pendii semiverticali in mezzo a boschi neri come l’inchiostro per mulattiere snodatosi su baratri sconcertanti alternando scossoni capaci di fare abortire una balena con sobbalzi da compromettere il coccige, gli potrei garantire la vita ma non la ipersensibilità della biancheria intima. Tiro difficile tra le brume dell’alba in un groviglio di rami e di foglie. Chiudo affermando che con la selettiva caccia al canto si elimina il superfluo, l’improduttivo, il vecchio. Eustachio pur sempre euforico per la sua meravigliosa cacciata medita anche sulle parole del contrario. È una caccia sublime o infame? Una soddisfazione intensa o un triste crimine? Ai posteri l’arduo giudizio.

Adelio Ponce de Leon

Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"


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