Una storia comune


giovedì 31 agosto 2017
    
Quando ero ragazzo, ero solito andare in giro per campagne e boschi con mio padre e più spesso con mio nonno.

Al mattino presto, insieme a mio nonno, andavo nel nostro terreno a tirar su terrazzamenti, seminare, potare e infine raccogliere.

Ricordo che quel terreno l’ ho sognato per anni, quando lo prendemmo, era in uno stato di totale abbandono, i rovi crescevano fitti, addirittura coprivano gli alberi e tornavano giù per far radici. Era così intricato che non lo si poteva attraversare, la vasca di raccolta dell’acqua ed i canali per l’irrigazione erano stati disgregati dal tempo ed i terrazzamenti erano quasi tutti franati per via delle intemperie e dell’incuria.

Mio nonno, con tanta pazienza e dedizione, mi aiutò a renderlo nuovamente rigoglioso e produttivo, tanto che in un estate, pulimmo, innestammo gli alberi affetti da malattie, ricostruimmo terrazze e impianto di irrigazione con tanto di motore per la captazione dell’acqua e addirittura riuscimmo a costruire una casetta con tanto di letto, per conservare gli attrezzi, riposare e ripararsi dalle intemperie.

Invece con mio padre andavo per campagne a gustar limoni pane e sederci di fronte al mare a chiacchierare ed ascoltare i suoi racconti.

La domenica invece eravamo soliti andare nella campagna di mio zio, Diego, il più piccolo dei cinque fratelli di mio nonno, che insieme alla moglie faceva il pane, curava galline e conigli ed era sempre in giro a lavorar la terra.

Ricordo l’odore dell’impasto e del pane fresco, ricordo lo scrocchio della crosta appena spezzata e l’odore dell’olio sul pane caldo, ricordo l’odore del pollaio, degli alberi, dei frutti;  e mai li dimenticherò. Ricordo che mio zio, sedeva con noi a mangiar pane caldo con olio e pepe, tra un boccone e l’altro diceva che più su, un posto chiamato Petracca, per la grossa roccia che lo distingueva, era bruciato e che non era rimasto più un filo d’erba o un albero.

I miei contemplavano e, dispiaciuti, si domandavano il perché a certa gente piaccia fare cose così terribili e vili come appiccare un incendio.

Poi continuava: “è piovuto niente quest’anno, la siccità ha fatto seccare i limoni e devo dargli l’acqua 2-3
volte alla settimana.”

I miei ascoltavano e mio nonno replicava dicendo che questi anni così capitano. Lo incitava a non preoccuparsi più di tanto, perché presto sarebbe arrivato l’autunno e che l’inverno nuovo sarebbe stato
migliore.

Poi dava qualche consiglio di agronomia gustandosi il pane e insieme godevamo della compagnia e della serenità.

Io ascoltavo, imparavo e mangiavo, mai sazio di quel pane così croccante e soffice, così caldo e gustoso e mi sentivo fortunato di essere lì.

Avrei voluto vivere una vita intera di quei momenti, ma mio zio doveva lavorare; allora, dopo esserci organizzati per la domenica successiva, salutavamo e andavamo via per campagne in cerca di finocchietto selvatico, limoni verdelli e cicoria.

Il pranzo domenicale era rigorosamente organizzato dalla nonna; noi arrivavamo in paese nell’ora in cui la gente usciva per andare in chiesa, le famiglie con il vestito della festa uscivano per recarsi alla messa e prendere il caffè al bar. I bambini erano felici, giocavano e si rincorrevano, il sole splendeva alto, i passeri cinguettavano e l’acqua della fontana, nonostante la siccità, scorreva fredda e con forza.

Dopo la rigorosa bevuta, percorrevamo insieme la strada di paese che portava a casa della nonna. In testa mio nonno, io subito dietro e infine mio padre che ogni tanto si fermava con amici e conoscenti per
condividere e raccogliere informazioni sulla domenica successiva. Il profumo delle polpette fritte preparate tutte le domeniche dalla nonna, si sentiva già a distanza, io alzavo il passo, superavo mio nonno e correvo in casa per gustarne una, prima che loro arrivassero. Avevo trovato il modo per mangiarne un’altra con loro dopo aver sistemato raccolto e attrezzi.

Insieme, seduti sul portico davanti casa, parlavamo, mangiavamo una polpetta, ridevamo e scherzavamo fino a quando venivamo chiamati per il pranzo. Così, l’ultima Domenica mattina prima dell’apertura scorreva via serena.

Era ovvio che non avremmo frequentato il posto bruciato, era ovvio che gli animali non avrebbero e non hanno mai risentito degli incendi e della siccità, perché sono animali, sono nel loro habitat, sanno dove
trovare l’acqua ed hanno le zampe per spostarsi in caso di pericoli come l’incendio.

Era ovvio che avremmo prelevato solo il necessario, era ovvio che avremmo disprezzato a vita chi appicca gli incendi e non rispetta la natura.

E’ ovvio, siamo persone di cultura rurale, siamo persone che provano rispetto per la natura e gli animali, è altrettanto ovvio che eravamo e siamo cacciatori!

In bocca al lupo a tutti per la prossima stagione venatoria!

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