CACCIA CHE FU - IL CHIURLO MAGGIORE


mercoledì 6 luglio 2016
    
Nel tempo che fu, che poi bello non fu perché i dolori, le sciagure e i danni che  hanno causato le due grandi guerre, si sono rivelati a volte insanabili, si praticava la caccia al chiurlo maggiore lungo la battigia. Il litorale  del basso adriatico pugliese, formato da pochi tratti di sabbia e soprattutto da basse scogliere  ricche di sassi e sassolini di tutte le dimensioni, era invitante èer i trampolieri di passo. Durante i periodi post-bellici gli appassionati della caccia a mare, in verità non molti, si portavano sulla spiaggia a fine ottobre e per tutto novembre, per tirare agli uccelli di passo.

Era la cosiddetta caccia a mare, che richiedeva il possesso di varie doti nel cacciatore, tra le quali innanzitutto la pazienza. Il selvatico bisognava aspettarlo, anche nello scorrere dei vari giorni, sin dal primo mattino, se non dalle ultime ore della notte. Non è stata mai caccia di quantità come quella ai tordi e alle allodole, ragion per cui molti si spazientivano e abbandonavano tale pratica. L'altra predisposizione in possesso dell'amante di tale caccia consisteva nel lento e lungo apprendimento dell'arte del fischio, senza del quale l'appostamento risultava del tutto vano. Si creavano richiami a fiato, costruiti in legno o in osso, che fiatati ad arte sortivano l'effetto dell'avvicinamento del selvatico all'appostamento. Vari cacciatori di veneranda età erano maestri nell'arte del richiamo e non lesinavano di fare scuola ai giovani, regalando loro fischietti e modalità operative.
Si iniziava col richiamo al piviere dorato. Ploi-ploi era la note di base articolata anche col trillo e alcune variazioni prodotte dal posizionamento delle dita intorno ai buchi del fischietto osseo o ligneo. I richiami di base erano di due specie: quello per il chiurlo maggiore che emanava solamente il verso del chiurlo, e quello per i rimanenti trampolieri chem emanava all'occasione i vari fischi. I principali trampolieri di fischio e di passo lungo le rotte marine, erano: il chiurlo maggiore, il chiurlo minore, la pettegola, la pantana, il piviere dorato, la pivieressa, la pittima reale, la pittima minore, il totano moro, il combattente o gambettone, e l'insieme di piovanelli, piro-piri e gambecchi che non avevano gran peso venatorio. Le varie tipologie di ardeidi e aironi non erano appetiti se non per scopo ornamentale. Le specie suddette oggi sono protette dalla vigente legislazione italiana, tranne il combattente che è vietato solo da alcune regioni compresa la mia Puglia.

Ed ora occupiamoci della caccia al chiurlo maggiore, conosciuto dai cacciatori di ripa e di palude ed anche dai cacciatori di mare. Uccello superbo, dal becco leggermente arcuato e dal fischio metallico potente, sdi notava lungo la costa e negli ambienti paludosi, soprattutto a partire da metà ottobre e per tutto novembre. A volte era anche svernante nell'entroterra meridionale. Proveniva dalle terre paleartiche dopo aver nidificato. Con  l'affacciarsi della stagione fredda giungeva nell'Europa giungeva nell'Europa       mediterranea e temperata  .Uccello  sospettoso che ad ogni pur minimo indizio di presenza umana,  si allontanava definitivamente. Al cacciatore bastavano solo alcune fessure predisposte intorno all'appostamento, per osservare il volo del selvatico, le virate e gli arrivi nelle azioni di richiamo.  Anche le canne dei fucili non dovevano sporgere perché il pur minimo luccichio metallico lo allontanava per sempre.

Nella lunga e spasimante attesa, nel silenzio appena rotto dallo sciabordio delle onde il suo coì – coì penetrante lo avvertivi da lontano senza percepire la sagoma dell'uccello, soprattutto se sulla  spiaggia si adagiavano nebbiose trasparenze che il sole nascente avrebbe dipanato. Quel- cooì- forte e potente portava con sé molti significati: dominio, avvertimento, richiamo al consimile, e indizio di fuga, di presenza e di passaggio. Come a dire: - sono qui, io, il re dei trampolieri. Allora bisognava rispondergli con un fischio più modesto, a convincerlo che non c'erano problemi in giro.
 
Un  -  cooì – lento e sommesso, senza accentuazioni e inquietudini, per un - “ Si accomodi Mestà “ E l'uccello dall'alto del cielo, ripeteva il suo verso, planando a spirale fino ad abbassarsi in volo e presentarsi all'appostamento. Sulla battigia non bisognava porre alcun tipo di stampo dal quale spesso il volatile era insospettito. Quando passava a tiro era il momento di decidersi immediatamente se colpirlo a volo, oppure aspettare che si posasse. I bravi fischiatori erano capaci di convincerlo all'atterraggio, per poi stenderlo con la fucilata che partiva da una delle finestrelle dell'appostamento. Ma qualche volta succedeva che il selvatico avvertiva la sorpresa e volava via con un – coì – di maledizione.

I cacciatori meno anziani, già adusi a tirare al volo a tordi e ad allodole, e fra questi c'erano anche tiratori di piattello, si spazientivano e non reggevano all'attesa della ferma. Non appena il volatile entrava nel raggio del tiro, con le ali arcuate, lo abbattevano. E notavi che il chiurlo maggiore capovolgendosi nel cielo, lanciava l'ultimo grido di rabbia al destino e alla sconfitta. Quando lo si recuperava, l'occhio ancora vivo ed accusatore ti lasciava perplesso. Il re dei trampolieri era caduto e chi lo aveva richiamato ed abbattuto si inorgogliva nell'anima perché non sempre l'uccello perdeva la sua battaglia.
 
Tante volte tirava avanti, nella memoria delle esperienze passate, e nessuno riusciva ad insidiarlo. Era una caccia praticata da pochi, perché spesso veniva meno la sapienza del richiamo. Oggi tale pratica venatoria è stata definitivamente cancellata. Forse anche la consistenza della specie si è ridotta. Allora dobbiamo ancora una volta sottolineare che il sedicente progresso, con l'eliminazione sistematica degli ambienti umidi e con l'eccessivo tasso di antropizzazione che ha investito il nostro pianeta, sta decisamente compromettendo la sopravvivenza di molte specie viventi. La mania trasformatrice a proprio uso e consumo da parte dell'uomo non è mai ferma. Quale sarà il destino di questo bellissimo uccello? Tutti lo possiamo, ma non lo vogliamo immaginare. In bocca al lupo, chiurlo maggiore!
 

Domenico Gadaleta
 

2 commenti finora...

Re:CACCIA CHE FU - IL CHIURLO MAGGIORE

Veramente un bel racconto,romantico a suo modo. L'autore conclude rammaricandosi sia dell'ormai non più praticata (nè praticabile) caccia al chiurlo maggiore, ma soprattutto si rammarica della rarefazione di questa specie, dovuta anche alla scomparsa di buona parte del suo habitat. Noi di Wilderness Italia ci battiamo proprio per salvaguardare il più possibile gli ultimi lembi selvaggi di qualsiasi ecosistema. La salvezza di alcune specie (e di tutto ciò che gravita attorno, caccia compresa) dipende proprio dalla salvaguardia di quei paesaggi.

Voto:

da Giancarlo D'Aniello Presidente Wilderness Italia 08/07/2016 17.11

Re:CACCIA CHE FU - IL CHIURLO MAGGIORE

Il racconto è un omaggio al chiurlo maggiore, nella memoria di una caccia passata che attirava i nostri nonni, cacciatori pazienti e maestri nell'arte del fischio.

Voto:

da Amante della natura. 07/07/2016 7.56