ANTONIO E LE OCHE


giovedì 7 novembre 2013
    

Coperto da un pastrano, attendeva nelle ombre della notte le oche che avrebbero sorvolato la sua postazione. Ma il freddo era così pungente in quel mese di gennaio che Antonio non voleva saperne di oche. Tredicenne,sognava la caccia in situazioni diverse; non concepiva dover sopportare tanto freddo per quegli uccellacci. Gli era vicino il padre che, ad ogni costo, avrebbe voluto iniziarlo al sacro fuoco di Diana. Il ragazzo portava una doppietta pesante, per tirare a quei grossi uccelli. Ma spesso, nel freddo, si addormentava.Eppure di quelle nottacce ne avrebbe passate tante. Erano gli inverni di tanti anni fa, quando puntualmente dalle terre del nord giungevano le oche a pascolare nei granai del Tavoliere.

Lontano si percepiva il murmure del mare, mentre il cielo scuro copriva il ragazzo come ombra devastante nel suo animo. In una buca scavata per l’occasione Tonio divideva le attese con suo padre che lo avvertiva non appena sentiva il verso querulo degli uccelli. Erano tiracci che gli procuravano un rinculo da cannone. Poi, nel buio, fra le ingigantite immagini della mente,il padre gli adagiava la mano sulla spalla per svegliarlo. Antonio,inconscio della realtà che viveva, malediceva la caccia desiderando ardentemente il letto di casa. Poi si rassegnava all’attesa e ascoltava il padre che lo invitava a prepararsi al tiro.

Dov’erano gli uccelli?

Il genitore presentiva infallibilmente l’arrivo dei selvatici. Così l’attesa si faceva più attenta fino a quando, in lontananza,percepiva quel vociare rauco e inquietante che nella notte gli incuteva uno strano senso di paura. Via via più chiari e definiti erano quei gracidii, queruli e monotoni, poi più intensi. Scattava il momento in cui la voce del padre diveniva pressante al suo orecchio: Tira! Tira! E il ragazzo afferrava il fucile e d’intuito sparava fra le ombre.

L’hai presa! Il padre gli gridava scotendogli le spalle e di corsa recuperava la preda. Prede enormi che s’ingigantiscono nella memoria. Di primo mattino la  caccia  continuava ai chiurli. Ed erano altre sensazioni. Tonio si cimentava con i fischi dei trampolieri. Così, fra la notte e il giorno, si consumavano le prime sensazioni di caccia,quelle di un ragazzo tredicenne che viveva paradisi felici di selvatici di tutte le specie. Emozioni che poi sarebbero divenute vera passione. Il tredicenne di allora è il cinquantenne di oggi,che più non spera e più non sogna il passato perduto.
 

Domenico Gadaleta


1 commenti finora...

Re:ANTONIO E LE OCHE

Anche le oche fanno parte di un patrimonio perduto alla caccia italiana. Sono certamente le mutate condizioni climatiche che non favoriscono più la migrazione di tali selvatici sulle nostre rotte. E sia. Comunque il ricordo di tale caccia, e soprattutto delle notti stellate attraversate dai queruli e ripetuti gracidii,rimarrà per sempre.

Voto:

da Amante della natura. 08/11/2013 7.17