Mentre il Paese si interroga sul proprio futuro, anche noi, ricchi di coscienza civile ma più ricchi di passione per la caccia, ci chiediamo: Cosa ci riserva il 2011? Passata l'abbuffata di speranze e l'insaccata di delusioni che ci hanno accompagnato per quasi tutto l'anno passato, mentre qualcuno invita alla coerenza, qualcun altro evoca un anno sabbatico per riflettere, qualcun altro infine cerca di riciclarsi paladino di missioni impossibili, molto più praticamente, c'è anche chi riterrebbe opportuno fare il punto prima di immergersi di nuovo nella lotta quotidiana.
Cerchiamo di mettere un po' d'ordine alle cose.
La situazione politica generale. Le variabili sono infinite. Si va dalle elezioni anticipate, a un governo di salute pubblica, a un appoggio esterno di parte della opposizione, a un governo tecnico per modificare la legge elettorale e poi andare a votare, a delle intese minime sul federalismo con maggioranze a “geometria variabile”, come si dice oggi. Insomma, tutti i giorni parte un treno e per ora nemmeno il più fine analista politico sarebbe in grado di indicare quale potrebbe essere il treno che ha una destinazione certa e un orario definito. Va da sé, che in una situazione del genere, qualsiasi opzione che riguardi la caccia e una revisione coerente estesa e approfondita delle sua normativa attraverso impegni di Governo o discussioni in Parlamento, incontra ovvie perplessità.
Non per questo, l'attenzione, l'impegno dei nostri rappresentanti politici e di categoria deve desistere dal sostenere una necessità che si è fatta più urgente oggi, nel momento in cui ai livelli intermedi (regioni, province) ci si trova a dover applicare quell'obbrobrio dell'art 42 della Comunitaria, che invece di risolvere la matassa l'ha maledettamente ingarbugliata. Si rende necessaria pertanto, magari attraverso un altro emendamento in una nuova legge omnibus (dove ogni anno si infila di tutto e di più, vedi la cosiddetta milleproproghe o la legge di bilancio), un suo aggiustamento o quantomeno una sua più chiara e precisa interpretazione, affinché alla beffa non si aggiunga il danno. Naturalmente sarebbe meglio evitare sotterfugi, furbizie, primogeniture, che come abbiamo visto portano a risultati deprimenti. Nella prima repubblica, e in parte della seconda, la “concertazione” ha risolto tanti problemi.
Per quel che riguarda più in generale la riforma della 157, il discorso si fa ancora più spinoso. Il disegno di legge Orsi è ormai arenato da mesi in commissione al Senato e così come stanno le cose, lo stato di mobilitazione permanente pre-elettorale di MV Brambilla e accoliti vari da una parte e di Della Seta e compagnia cantando dall'altra, ne rendono piuttosto arduo il cammino verso la Camera dei Deputati, dove come abbiamo visto il percorso è ancora più irto di ostacoli.
Per la verità, mesi fa c'era stato un tentativo di recupero promosso dalle associazioni venatorie toscane (tutte) e sostenuto da autorevoli esponenti parlamentari di quella regione, che semplificando aveva cercato di dare il via a un diverso approccio alla questione, che peraltro affrontava e cercava di risolvere i nodi più intricati di un'auspicabile riforma. Ma da lì ne nacque solo una timida proposta di legge dell'On. Cenni, che nella sostanza si preoccupava esclusivamente o quasi di risolvere il problema dei danni all'agricoltura. Un po' poco per la verità. E sicuramente non era questo l'intento delle diffuse e condivise sensibilità toscane, che in loco sono riuscite a mettere insieme mondo agricolo, forze politiche, amministrazioni e cacciatori nella stesura, nella discussione e nell'approvazione di una legge regionale che quest'anno entrerà nel vivo della sua applicazione, con l'approvazione dei regolamenti e la definizione del nuovo piano faunistico.
Vista la sostanziale immobilità del contesto centrale, forse potrebbe essere un'idea quella di ritentare quella strada, magari collegando alla intraprendenza toscana anche la buona volontà di altre regioni (e non sarebbero poche, alla fin fine: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria, Marche...), per offrire al Parlamento un testo agile, essenziale, di facile applicazione, che aggiorni e se possibile superi quella antiquata concezione veteroambientalista, che ormai traspare dalla legge attuale, nata e cresciuta si può dire sotto il ricatto del referendum, e affronti con più coraggio i temi della gestione (tenendo conto intelligentemente della guida interpretativa della direttiva Uccelli) e delle responsabilità (chi paga i danni della fauna che è cresciuta in maniera abnorme nei parchi e nelle aree protette?). Utopie? No, se da parte nostra e dei nostri paladini si farà il possibile per abbandonare la rissa e affrontare invece un dibattito articolato e responsabile. Tenendo conto che siamo nel giusto, ma anche che per ottenere attenzioni e consensi dobbiamo essere capaci di convincere coloro che al momento non la pensano come noi. Le esibizioni muscolari, abbiamo visto, riescono solo a debilitarci senza farci avanzare di un centimetro.
Poi c'è la questione dell'Europa. Deroghe, tempi, specie. Anche qui, la nostra voce sembra si sia persa nel deserto. Volendo scendere nel dettaglio minimo, dobbiamo dire che ad esempio il reinserimento dello storno nell'elenco delle specie cacciabili non ha ancora visto la luce. Grazie anche agli ambigui comportamenti dell'INFS-ISPRA, un organismo scientifico che da sempre scade nel giudizio politico, mentre da quando è soggetto alla giurisdizione del Minambiente (più mina che ambiente) si diletta più a impiegare risorse sulla presenza del beccamoschino nell'isola di vattelappesca, piuttosto che occuparsi del degrado del territorio, della scarsità di habitat favorevoli alla presenza e alla permanenza dell'avifauna selvatica, della consistenza delle diverse specie selvatiche. Tanto che sono le organizzazioni dei cacciatori che a proprie spese sostengono gran parte delle ricerche collegate al rapporto fra fauna selvatica e territorio. Salvo poi, all'improvviso, dare in pasto all'opinione pubblica un rapporto in cui si comunica implicitamente che in Italia sono ben altre che la caccia le cause che mettono a rischio le consistenze della fauna selvatica. Prova ne sia che nessuna delle specie oggetto di attività venatoria - secondo questo rapporto - suscita soverchie preoccupazioni. (Addirittura, a causa degli insulsi veti – a volte supportati da pareri...scientifici – sul controllo degli esuberi nei parchi e nelle aree protette, molte specie oggetto di caccia provocano ingenti danni che non è più possibile né tanto meno giusto sostenere).
Le deroghe, poi. Già, le deroghe. Il cerchio pare che si stringa sempre di più. Ormai si resiste in qualche regione, Veneto soprattutto, e su qualche singola specie (storno, cormorano), ma se non si rinnova l'impegno e non si lavora di fantasia, i continui ricorsi al Tar al Consiglio di Stato alla Cassazione quanto meno metteranno in evidenza che sull'argomento esistono sensibilità diverse e contrastanti. Unica soluzione forse, almeno nel breve periodo, una dimostrazione di coraggio da parte anche qui di un congruo numero di Regioni che si facciano carico di una forte volontà a sostenere l'argomento nei confronti del Governo (e della UE), anche con disposizioni concordate e coordinate.
Qualche settimana fa si è parlato di un nuovo tavolo di coordinamento promosso dalla Conferenza delle Regioni. Sollecitiamolo. Fra i tanti argomenti di cui si potrebbe discutere alla ricerca di una soluzione concordata, cerchiamo di mettere in prima fila la questione delle deroghe, l'aggiustamento della comunitaria e soprattutto la riabilitazione di una categoria di cittadini onesti e rispettosi della legge e delle regole democratiche, che troppo spesso è stata ingiustamente denigrata.
Vieri Quirici