Si parla sempre meno di migratoria, mentre sale l'intensità delle proteste di tutti coloro che sognano ancora di praticare tutte quelle bellissime forme di caccia che l'alato popolo migrante ha regalato a generazioni di cacciatori, fino ad oggi, in un'epoca forse un po' troppo tecnologica.
Andiamo per punti (e qualche virgola, anche).
° Solo poco più che mezzo secolo fa, prima del boom economico, la caccia era un'altra cosa. Soprattutto nell'Italia ancora profondamente rurale.
° La migratoria, con qualche digressione su lepri, starne, cinghiale, e selvaggina di montagna, riempiva i nostri carnieri, da nord a sud. Gran parte dei nostri genitori e nonni disponevano di pochi mezzi di trasporto, e praticavano la caccia al massimo entro i confini della regione. Molti a pochi passi da casa. Il censo, ovviamente, faceva la differenza, ma il divario classista era piuttosto evidente. Chi poteva (pochi) si spostava, chi non poteva (quasi tutti) cacciava intorno a casa.
° Col boom, con la nuova disponibilità di mezzi di trasporto - la mitica Cinquecento, anche in versione "giardinetta" e poi la Seicento, la Millecento e sù sù andando - successe come ai pellerossa con i bisonti. I nostri cacciatori cominciarono a spostarsi a sud (ma anche a est e a ovest) a mano a mano che tordi, colombi, beccacce scorrevano lungo lo stivale. Si sviluppò il cosiddetto "nomadismo venatorio". Nacquero contrasti anche nella categoria, fra locali e forestieri, spesso sanati grazie a una diplomazia più o meno spicciola, sotto lo scudo protettivo dell'842, nato per altri scopi, ma diventato presto un valore di matrice democratico-popolare.
° Certi repentini cambiamenti nei rapporti socio-economico-venatori provocarono reazioni a volte immotivate, anche per coprire le concrete trasformazioni agrarie, i primi accenni di incuria nei confronti del patrimonio naturale, l'abbandono delle campagne, l'industrializzazione selvaggia, gli inquinamenti, la perdita di potere d'interdizione da parte di un certo latifondo. Non ci fu risparmiato niente, anche con feroci operazioni mediatiche fatte nascere nel Nord Europa, che miravano a ben altro, per la verità.
° Qualcuno, anche in quei giorni, prima ancora che si arrivasse alla stagione dei referendum, prima dei reiterati attacchi alla caccia concepita come libera espressione della primordiale passione dell'uomo, propose soluzioni tanto semplici quanto efficaci. Una fra tutte, quella dell'appassionato cultore della caccia al capanno, Pier Carlo Santini, che suggerì di cacciare liberamente i migratori nel periodo del passo, al massimo fino a metà novembre, e poi di consentirne il proseguimento solo nella regione di residenza. Un'intuizione che probabilmente avrebbe evitato l'invenzione degli ATC e di tutte quelle pastoie che ne sono conseguite.
° L'avvento del villaggio globale, un libro teoricamente necessario, quello della Carson, che denunciava le "Primavere silenziose", causate però da ben altre ragioni, i veleni che stavano diffondendosi ovunque fra terre cieli e acque, la grandiosità del fenomeno migratorio che interessava appunto tutto l'areale euroasiatico, fecero insorgere strumentalmente i popoli del nord, cacciatori compresi, dediti a ben altre cacce, contro le cacce italiane che depauperano - così dissero - il "loro" patrimonio alato.
° Il culmine della tempesta, favorita e sostenuta contro l'anello più debole della catena (perdipiù munito di un arma), per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai veri guasti al patrimonio naturale, deflagrò appunto con la stagione dei referendum, le ripetute modifiche restrittive della legge sulla caccia, che alla fine non si ebbe più nemmeno il coraggio di definirla tale, relegandola a poco più che un'eccezione alla regola, la Direttiva Uccelli, la Direttiva Natura 2000, i trattati internazionali, le pasionarie senza pelliccia, le brigittebardot, le brambille. E non ultimi, quei simulacri di movimenti ambientalisti, che a più riprese hanno tentato di esprimersi in partito verde, prima radicalpannelliano, poi pecoraroscanico, poi bonelliano, potenti nel palazzo ma vere e proprie nullità quanto a numeri rappresentati sul territorio, in parlamento e nella società. Esigue minoranze insomma, a cui per decenni è stato dato troppo ascolto.
° Per rispetto dei fatti, a tutto questo va aggiunto quel malcelato desiderio di personalizzazione del potere, tipico male nostrano, favorito dalle italiche istituzioni del diritto, utili a qualsiasi azzeccagarbugli per sostenere tutto e il contrario di tutto, che ci regalò lo smembramento dell'unica associazione venatoria, figlia del CONI, del cui sciagurato evento ancora oggi si patiscono i disastri. Vittime più illustri, appunto, le nostre cacce alla migratoria, per le quali in questi anni non siamo riusciti a mettere in piedi alcuna efficace difesa, salvo sguaiate scaramucce di retroguardia.
Tutto questo premesso, c'è qualche speranza di recuperare il tempo e le cacce perdute?
Mai disperare, altrimenti si fa come quelli che non riescono a far altro che lamentarsi, protestare, ma quando c'è da impegnarsi con giudizio per una causa comune si defilano, quando addirittura non remano contro. Qualche segnale c'è, per esempio l'impegno a più livelli nella ricerca, che altrimenti rimane appannaggio di un animalismo di facciata, che millanta dati scientifici, riferendosi a ricerche di altri, del tutto parziali, e soprattutto datate e collocate in contesti territoriali a noi estranei.
Una mano ce la dà la Face, la Federazione delle Associazioni dei Cacciatori Europei. La caccia alla migratoria si decide prima di tutto a Bruxelles, se non ci facciamo sentire da quelle parti, qua da noi sarà sempre più dura. Per questo, sarebbe importante che molti dei nostri parlamentari europei venissero sollecitati con un'unica voce nei loro collegi italiani, e per ottenere un po' più di attenzione, sarebbe anche bene che le nostre associazioni trovassero almeno per questo una sintesi. E così dovrebbero fare quei pochi dei nostri amici che ogni tanto si fanno vedere lassù, in Europa, appunto.
Volendo mettere, infine, qualche virgola, auspicato un minimo di posizione comune da parte delle nostre associazioni (che invece di fare massa critica, sembra che vogliano ancora di più suddividersi), si potrebbe dire che: A) Sarebbe bene mettere la sordina alle beghe interne. B) Vista la situazione, occorrerebbe stilare e condividere un manifesto essenziale di rilancio dell'immagine della caccia, indirizzato soprattutto a un'opinione pubblica sempre più distratta (e ce ne sono le ragioni, purtroppo) su temi d'interesse generale, come la tutela del territorio, la salvaguardia delle specie selvatiche, l'impegno dei cacciatori nel volontariato, le centinaia di migliaia di ettari di ambienti naturali che sono gestiti dai cacciatori. C) Orientare la comunicazione evidenziando questi temi. D) Attivare le nostre migliori risorse per accedere a quei fondi che arriveranno per il green, che altrimenti saranno delapidati per il solito animalismo di maniera.
E non ho altro da dire su questa faccenda, come dice Forrest Gump.
O forse sì, ce l'avrei, ma semmai lo dirò un'altra volta.
Intanto fateci anche voi un pensierino.
Roberto Masoni