Dove vai, se la caccia non ce l'hai


lunedì 7 ottobre 2019
    

A caccia, ieri, oggi, domani
 
 
Piccolo è bello, per la caccia, non c'è dubbio. Lo scoprirono principi e re, quando decisero di costituire le riserve (reali o principesche che fossero, i primi parchi) a proprio diletto. Non certo per mangiare, o comunque non solo per allietare la tavola, che sicuramente allora come oggi fa una certa differenza se imbandita con le prelibatezze che ci riserva la carne di selvaggina.

A casa nostra, nel Molise, come dire, piccolo sembra ancora più bello. Un vero paradiso per i cacciatori locali. E non  meno fortunati sono i cacciatori della Val d'Aosta, i piemontesi, i trentini e gli altoatesini.  Un po' più sacrificati  stanno in Umbria, Toscana, Lazio, Lombardia, Campania e Veneto. Hanno meno terre a disposizione. Forse è anche per questo, vista la loro esuberanza in fatto di caccia, che sono propensi a spostarsi altrove, dove un po' di buona terra ancora esiste. Si fa presto, dunque, a dire nomadismo. Sono i cacciatori delle metropoli (in Italia, in ordine di affollamento, ad esempio, Roma, Milano, Napoli, Palermo, Firenze, annoverano ancora un bel numero di cacciatori orfani di territorio utile) che alle prime brezze d'autunno sciamano soprattutto al sud. O meglio, vorrebbero "sciamare", ma devono fare i conti con le disponibilità ad accogliere di quelle terre.

L'animalismo, in questa Italia a cavallo del millennio, venti anni prima, venti anni dopo, ha fatto danni, dando la stura agli egoismi economici, al progresso senza freni e senza controlli, sia nell'industria sia nell'agricoltura, che - complice una parcomania inetta -  ha fatto perdere una grossa parte di terreno utile, inquinato fiumi e lagune, aria delle metropoli, degradato boschi e foreste, avvelenato la falda, riducendone la fertilità. In questo quadro, storia, cultura, tradizioni, evoluzione economica e sociale hanno fatto la differenza anche nella caccia. E nei cacciatori. Per cui, rispetto al tre per cento circa della popolazione (anni ottanta), il numero dei cacciatori attivi è sceso almeno della metà. Secondo dati ufficiali, negli ultimi quindici anni il calo è stato complessivamente del 15-16%. Tenendo conto, fra l'altro, che almeno una non irrilevante parte dei cacciatori nostrani ormai trova più salutare recarsi all'estero, magari a tre passi dal confine, o poco più in là, per evitare beghe, rifiuti, pastoie burocratiche, stupidaggini varie.

Il grosso, tuttavia, resiste, anche perchè di selvaggina a disposizione non è che ce n'è meno, anzi, fatte le dovute considerazioni a causa dei cambiamenti ambientali, climatici e sociali, qualche specie è cresciuta nei numeri, qualcun'altra è calata. Guarda caso, dove dovrebbero avere inciso certe associazioni ambientaliste (sugli uccelli, ad esempio) qualche specie tipica ha segnato il passo, dove invece le stesse associazioni si sono disinteressate, certe altre specie (uccelli, ma non solo) non hanno avuto problemi. E anche qui, in molti casi, i cacciatori hanno fatto la differenza. In positivo. Certi squilibri, purtoppo, hanno anche un nome e cognome: si chiamano "peccaminosa gestione delle aree protette", che se  da una parte ha offerto una remunerazione facile a tanti scioperati,  dall'altra ha messo un patrimonio incommensurabile  in mano a persone in certi casi  addirittura assurte ad arbitro delle sorti del nostro patrimonio ambientale. Senza soverchi meriti e, malauguratamente, senza la sufficiente competenza. L'errore più grosso è stato quello di considerare il belpaese come se fosse il Klondike, o l'Alaska. Una terra selvaggia, immacolata, quando invece è stata ed è ancora l'incommensurabile meraviglia frutto della mano dell'uomo, almeno dal tempo di Enea. "Paesaggio" e non certo "natura selvaggia".

Ma come stanno i nostri cacciatori del terzo  millennio? Come si dice: c'è chi ride e c'è chi soffre, appunto.

Tutto in funzione della qualità e della disponibilità dell'ambiente, della concorrenza sul territorio: dove ci sono tanti metropolitani che - del tutto ignari della benchè minima cultura rurale -  avendone piene le tasche della metropoli  si riversano con impressionante frequenza per monti e valli, la pressione ostile si fa sentire. Dove si respira ancora aria quasi bucolica, nei paesi di campagna, nei borghi, dove la gente tiene tuttora la porta aperta anche di notte, anche la caccia gode di buona fama. Val d'Aosta, Basilicata, Sardegna, Molise sono terre d'elezione per la caccia. Ma anche l'Umbria, che peraltro registra il più alto tasso d'affezione, tre per cento di cacciatori sull'intera popolazione,  con però - in Umbria - solo trenta ettari a disposizione per ogni cacciatore, mentre la media nazionale ammonta a cinquantacinque ettari per cacciatore. Sicuramente meglio se la passano in Molise, dove un cacciatore dispone di quasi trecentosettanta ettari a testa, o in Valle d'Aosta (232 ettari a testa), in Piemonte (172 ettari), in Basilicata (150), in Trentino A.A. o in Abruzzo (più di 100 ettari a testa). Altrove scalpitano, anche se tutto sommato, in media almeno, pur con la riduzione del terreno utile,  pur con questa scandalosa gestione delle aree protette (in alcune provincie il terreno utile alla caccia è pressochè ridotto al lumicino), la situazione è migliore di mezzo secolo fa. Il che dovrebbe convincere i nostri governanti che la caccia non può comunque e in ogni caso essere un problema, anzi, a ben riflettere (ma chi riflette oggi in questo mondo di schizzati?) la buona politica dovrebbe far di tutto per incentivare la caccia, salvaguardare le tradizioni, usufruire delle buone pratiche di un popolo che può fare ancora molto per la salvaguardia dei nostri territori e di quel patrimonio di animali selvatici che malgrado perduranti scelte scellerate è  ancora a disposizione di tutta la comunità.

Ci sarà, prima o poi, qualcuno, di qua e di là del fosso, che accoglie questi nostri appelli alla ragionevolezza?

Speriamo.


Vito Rubini


Nota.


A riprova che la caccia in Italia non dovrebbe essere un problema, basta fare un giro d'orizzonte in Europa, per sapere che in Francia i cacciatori sono il 2,1% della popolazione, in Spagna intorno al 3%,  in Norvegia sono il 4,5%, in Finlandia il 5,8%, a Cipro il 6,4 e, infine, in Irlanda il 9%. (fanalino di coda l'Olanda: 0,1%).   In questi paesi la caccia è grandemente rispettata ed è considerata un elemento importante per la conservazione dell'ambiente e della vivacità delle comunità locali.


11 commenti finora...

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Io ho già dato contribuendo a vincere ben 3 referendum anticaccia negli anni ‘90. Per poi vedere la caccia venduta e i soldi delle tessere dei cacciatori usati per arricchire i dirigenti venatori invece che per informare chi a caccia non ci va. Mi sarei anche belle che divertito. Ora tocca ai fenomeni

da Lillo x il tizietto qua sotto 10/10/2019 18.24

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Il che significa, Lillo, che fai solo per chiacchierare, ma non hai la benchè minima voglia di darti da fare....fossero tutti come te...

da stai al bar, che tanto se prendi il treno non hai idea di dove andare 10/10/2019 14.04

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Se vai alle ore 19,05 alla stazione a prendere il treno passato stamani alle 7,15, che dici lo prendi?

da Lillo x Bacchi della Lega 08/10/2019 19.05

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Diccelo te Lillo, come si salva la caccia, oggi, a questi chiari di luna. P.S. Sono d'accordo comunque che se ci s'era dati una mossa 50anni fa, era meglio. Ma 50anni fa, ti ricordo, anni 70, imperava il boom, prima ancora della Milano da bere (anni 90), c'era la caccia da bere.

da Bacchi della Lega 08/10/2019 17.46

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Codesto lavoro lo dovevano iniziare a fare le aavv 50 anni fa. Non si salva la caccia col fai da te su Facebook

da Lillo x C. Lasso 08/10/2019 15.04

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Vedo, caro Bretone, che la sai lunga. Il problema è riuscire a coniugare certe bramosie, certi egoismi. L'agricoltura - quella che fa bene all'ambiente - non è più agricoltura. Il cacciatore, ormai quasi una realtà residuale, in gran parte bolsa, pensa a sè, alla maniera di Lorenzo il Magnifico: ha fatto proprio il vecchio concetto del Carpe Diem. Insomma, vive alla giornata. IL consumismo di stampo massificante, metropolitano, vede la campagna come una merendina da addentare e - essendo di massa - impone idee totalizzanti. Ovvero, non solo gli dà noia il cacciatore che lo sveglia la domenica mattina, ma non sopporta neanche le campane del borgo. Tantomeno il gallo del pollaio del vicino. Cosa dovrebbero fare i cacciatori (tutti insieme)? Dovrebbero prima di tutto prendere coscienza del loro ruolo di sentinella della selvaggina (e di conseguenza dell'ambiente sputtanato dall'agricoltura industriale, uguale profitto e basta, che rinvia alle generazioni future i costi dei danni che provoca), dopodichè affrontare il secolo, la società di massa (impresa ardua) per professare il verbo. C'è un bell'esempio (un vidoclip del CIC tedesco, tradotto dal CIC Italia) che circola nel web. Per il momento sarebbe sufficiente che almeno uno su dieci dei nostri cacciatori lo facesse periodicamente rigirare sulla sua pagina Facebook, per far capire cosa è la caccia, secondo noi. E magari postarlo su quei gruppi che intercettano gioventù. Ci possiamo sperare?

da C. Lasso 08/10/2019 14.42

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Caio nello stesso giorno che il cacciatore morto in Valdossola,(che conoscevo perchè delle mie parti) scivolato su di un pendio cadendo in un dirupo;morivano TRE escursionisti non alle prime armi, anche loro precipitati perchè scivolati!!!

da Fucino Cane 07/10/2019 21.50

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Caio falla finita. Sono morti 153 alpinisti..

da Tizio 07/10/2019 20.48

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Dove vai se la caccia non ce l'hai? Chiedetelo ai parenti dell'ultimo morto a caccia, è appena di due giorni fa, sentiamo che vi dicono. Ovviamente fosse stato un vegano che parcheggiava dieci centimetri fuori dalle strisce ci avreste ricamato su decine di veline e di articoli, ma dato che è l'n-simo morto a caccia, meglio far finta di niente e non fare nemmeno una parola.

da Caio 07/10/2019 19.49

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

Noi cacciatori da generqazioni che viviamo nei piccoli paesi a diretto contatto con il mondo agricolo e la natura che lo circonda conosciamo bene l'importanza della figura del cacciatore e sappiamo anche che il cacciatore è colui che più di ogni altro si adopera per la salvaguardia del territorio da pratiche oscene di uso indiscriminato di pesticidi e concimi chimici che impoveriscono il terreno. Ora è più che mai il momento ,caro Rubini, di portare nelle scuole un insegnamento corretto di quello che si evolve in natura e di come certi ignobili e ignoranti personaggi pretendono di insegnare quello che neanche loro conoscono. Basta piangersi addosso , è tempo di agire attraverso la scuola, la stampa, e politici VERI coscienziosi e capaci:

da bretone 07/10/2019 18.02

Re:Dove vai, se la caccia non ce l'hai

In Molise per andarci - anni fa se non eri residente - dovevi comprare prodotti locali almeno per cinquecento euro. Adesso non basta più neanche quello. Sono pochi e non vogliono nessuno di fuori. In Sardegna da tempo immemorabile. Ma non scherzxano neanche i colleghi Piemontesi, che si lamentano per le restrizioni, ma non è che chiedono aiuto. O meglio, chiedono aiuto per protestare, ma hanno il braccio corto se si tratta di darti spazio. Come si dice? Piemontese...

da Meo Cortesi 07/10/2019 17.52