MISTIFICAZIONI lunedì 20 agosto 2012 | | Archiviato il successo italiano alle Olimpiadi di Londra, col suggello del Presidente della Repubblica che si complimenta pubblicamente col presidente del Coni, i soliti noti - con a capo la passionaria rossa che gli stessi suoi giovani compagni di partito hanno bocciato con una clamorosa insufficienza grave (un bel tre), anzi “bestiale” - si stanno già dando da fare per seppellire sotto coltri di polvere il fatto che sette dello otto medaglie d'oro riportate a casa (+sette d'argento, + cinque di bronzo= a diciannove su ventotto) sono il frutto dell'abilità di atleti che in mano avevano un arma, chi un fioretto, chi una carabina, chi un arco, chi un fucile, e chi menava i piedi (o le mani). Tanto che, se un marziano si soffermasse ignaro sul nostro medagliere, ci potrebbe scambiare per un popolo sicuramente bellicoso. E invece...
Intendiamoci, sono innumerevoli cicli olimpici che i nostri “guerrieri” (così qualcuno li ha definiti) ci hanno abituato a goderci questo momento di gloria. Come cacciatori ne siamo orgogliosi. E non importa se la Jessica Rossi non va a caccia e se Campriani è costretto a difendere la categoria subdolamente tacciata di derivare da un serbatoio di violenti. No, noi lo sappiamo. Se ancora oggi il nostro paese può andare orgoglioso dei propri atleti, non lo deve certo – e comunque non solamente – a quelle discipline che ricevono la costante attenzione di un vasto pubblico e di una munifica industria degli sponsor. E per quello che riguarda i tiratori, volere o volare, la caccia è stata ed è ancora la madre di tutti i medaglieri.
Come spesso si è cercato di sostenere, non è un arma in sé che va considerata, ma l'uso che se ne fa. Lo dimostra una recente indagine, resa nota dal Guardian, autorevole quotidiano inglese, che analizza a livello mondiale il problema delle armi da fuoco leggere. Anche in questi giorni, l'amplificazione di tragici fatti di cronaca, induce a credere che un diffuso possesso di armi porta disgrazie e lutti. Negli Stati Uniti, più che altro, dove il possesso di armi risponde a una vera e propria identità nazionale tutelata dal secondo emendamento della costituzione, l'argomento è oggetto di grande dibattito e di grande prudenza, se anche Obama ha dovuto ribadire che quel diritto costituzionale è pressochè inemendabile.
Questa indagine del Guardian offre senza dubbio ulteriori spunti a chi ci voglia meditare sopra, e sarà bene che chiunque pensi di farlo ne tenga bene di conto.
Prendiamo ad esempio, proprio per questione d'attualità, la situazione in America. Gli Stati Uniti, non c'è dubbio, sono il paese dove il possesso di armi è il più diffuso al mondo. Escludendo i corpi militari e della sicurezza, sono infatti gli americani che con meno del 5% della popolazione mondiale detengono dal 35 al 50% delle armi (regolarmente denunciate e legittimamente detenute?) in circolazione sul nostro pianeta. Nonostante questo, gli eventi letali a causa di armi da fuoco danno gli USA al 28° posto in classifica, scavalcati fra gli altri da una nutrita serie di paesi del centro e del sud dell'America, in testa El Salvador, Jamaica, Honduras, dove addirittura – rispetto agli Stati Uniti - a fronte di un quindicesimo del tasso di possesso, si registrano eventi funesti ventitre volte superiori. Portando fino anche a trecentoquarantacinque volte un ipotetico differenziale, che dimostra quanto sia errato fare valutazioni sull'onda dell'emotività.
A riprova di ciò, in Europa, è la tranquilla Svizzera a detenere il più alto tasso di possesso (quarantasei cittadini su cento) con un indice di 0.77 eventi su centomila, seguita dalla pacifica Norvegia (trentuno per cento) che peraltro fa registrare un indice ancora più basso, anzi bassissimo (0.05 su centomila), leggermente inferiore a quello della Francia (0.06), che ha un tasso di possesso analogo. La riprova insomma - e l'Italia, come l'Austria, la Germania, la Spagna, il Belgio, rientra ampiamente nella media dei paesi del vecchio continente: un livello si potrebbe dire più che fisiologico – che non è certo la maggiore o minore diffusione dello strumento, che fa la differenza, ma sicuramente il grado di consapevolezza e di civiltà di chi ne dispone.
Speriamo che prima o poi anche chi non ci ha in simpatia se ne renda conto. Piero Moruzzi | | | |