Viva la campagna


venerdì 10 aprile 2020
    

 
Ho letto tempo fa sul sito della prestigiosa accademia dei Georgofili che secondo uno studio pubblicato su Environmental Archaeology la nascita dell'agricoltura  ha provocato anche un aumento della violenza.
 
La difesa di un territorio organizzato che garantiva il sostentamento di una comunità comportava una struttura diversa dei gruppi di umani, che per questo decisero di ripensare i sistemi di difesa. E di offesa, perchè quando a casa tua hai perso il raccolto, ovviamente ti sposti verso territori che ne hanno di abbondanti, a loro volta strenuamente difesi. Insomma, secondo questo studio, i cacciatori raccoglitori erano meno violenti delle comunità successive, più strutturate e ...più aggressive.
 

Figuriamoci oggi che le nostre società annoverano anche miliardi di soggetti (India, Cina), il pianeta è al collasso demografico,  gran parte della popolazione soffre di carenze alimentari. La guerra, la violenza, secondo me regnano sovrane, più a Wall Street che sui tradizionali campi di battaglia. E i nostri tromboni che sproloquiano dallo schermo ci vogliono convincere che viviamo nella società della non violenza.

Si stava meglio quando si stava peggio, allora? Mah, secondo me è sempre questione di misura. Di sicuro, l'agricoltura che abbiamo conosciuto noi, quella dei saperi millenari, che ha sfamato il mondo fino a poco più di mezzo secolo fa (ma in molte parti, quelle più svantaggiate, è ancora in essere), è stata un'agricoltura in cui anche la componente fauna selvatica vi era compresa a pieno titolo.  Diciamolo, insomma: la caccia ha fatto sempre parte delle società agricole. Una caccia saggia, misurata, che pensava al domani. Non c'era bisogno di scomodare i princìpi etici dei pellerossa delle sconfinate praterie americane. Se le nostre regole, da molti secoli tramandate ma anche scritte e fatte rispettare, prevedevano l'esacrazione del bracconaggio, vuol dire che la comunità individuava nella selvaggina un patrimonio da tutelare. Più per la tavola che per gli occhi.


E allora! Dopo questa scoppola che ci è capitata fra capo e collo, dopo che già in Europa ancora prima si cercava di mettere a punto questo benedetto New Green Deal, riusciremo a rinsavire e a rimettere d'accordo la pancia (l'ingordigia) col cervello (razionale)? Speriamo. Io, da sognatore inveterato, ci spero.

Di certo, l'andazzo da interrompere, quello che ha portato alle megalopoli odierne, snaturate, all'alienazione galoppante, al politicamente corretto, alle gattare, alle brambille, ai vegani che si sono costruiti un business su ciò che mio nonno considerava cosa ovvia, pur preferendo il prosciutto alle patate, quell'andazzo comporterà imprese ardue, che richiederanno generazioni di menti illuminate. A meno che, speriamo che non s'abbia a  patire, le nostre comunità non siano travolte dall'indigenza, dalle carestie. Dalle crisi economiche, come le chiamano oggi gli analisti di Wall Street, appunto.

Sarà cruciale questo periodo (qualche mese, immagino), in cui dovremo girare con le mascherine. Sarà questo modesto strumento di salvaguardia della salute che ci potrà far capire quanto sia importante lo stare insieme, respirare aria buona, mangiare secondo le nostre tradizioni alimentari, senza esagerare. E provvedere di conseguenza. Gettando il seme di un nuovo modo di vivere.


E il new green deal, se davvero green dovrà essere,  non potrà ignorare la caccia, come stile di vita, ma anche come componente integrante dela vita in campagna:  la selvaggina come patrimonio non solo di cui godere per la sua bellezza, ma anche come cibo salutare, pietanza da condividere in armonia e...in allegria.


Sulla tavola di mio nonno, tanto per ricollegarsi al tempo che fu, di carne circolava davvero poca, ed era un frutto nato e cresciuto nella corte, nel pollaio, nella conigliera, nelle stalle. Più il lesso per il brodo, una volta alla settimana. E a tempo debito, la lepre che faceva capolino nella vigna, qualche starna (ma dioneguardi se si esagerava), e nella stagione giusta  beccafichi, qualche capinere, merli, tordi  e fringuelli, tutti congeneri di quelli (in gabbia) che accudiva amorevolmente tutto l'anno.


E' giusto che tutti noi si aspiri a un mondo migliore. A noi cacciatori,  consapevoli del complesso rapporto fra natura e società, fra natura e cultura, nell'eterno contrasto fra crisi e opportunità, è data  l'occasione di far recuperare al mondo una dimensione più frugale, più umana. Ci vorranno generazioni, probabilmente, per poterla riapprezzare. Ma perchè non crederci?




Leonardo Bardi


2 commenti finora...

Re:Viva la campagna

E' dal 3 marzo che mangio selvaggina, la spesa durante la quarantena viene solo dal mio congelatore

da Salutatemi i supermercati 16/04/2020 14.46

Re:Viva la campagna

Forse Luca hai ragione. Con tutti queste multinazionali della chimica non. E la possiamo fare. Hai visto, i paesi che ci snobbano, mettono avanti l'interesse alla vita delle persone. Avrà no ragione loro? Può darsi. Io però non mi rassegno. La caccia, la passione posso o a volte fare la differenza. Proviamoci almeno.

da Piero I. 13/04/2020 18.36