Logo Bighunter
  HomeCacciaCaniFuciliNatura
Editoriale | Blog | Eventi | Meteo | I Video | Sondaggi | Quiz | Le Leggi | Parlano di noi | Amici di Big Hunter | Amiche Di Big Hunter | Solo su Big Hunter | Tutte le news per settimana | Contatti | BigHunter Giovani | Sondaggio Cacciatori |
 Cerca
Archivio
<marzo 2024>
lunmarmergiovensabdom
26272829123
45678910
11121314151617
18192021222324
25262728293031
1234567
Mensile
marzo 2024
febbraio 2024
gennaio 2024
dicembre 2023
novembre 2023
ottobre 2023
settembre 2023
agosto 2023
luglio 2023
giugno 2023
maggio 2023
aprile 2023
marzo 2023
febbraio 2023
gennaio 2023
dicembre 2022
novembre 2022
ottobre 2022
settembre 2022
agosto 2022
luglio 2022
giugno 2022
maggio 2022
aprile 2022
marzo 2022
febbraio 2022
gennaio 2022
dicembre 2021
novembre 2021
ottobre 2021
settembre 2021
agosto 2021
luglio 2021
giugno 2021
maggio 2021
aprile 2021
marzo 2021
febbraio 2021
gennaio 2021
dicembre 2020
novembre 2020
ottobre 2020
settembre 2020
agosto 2020
luglio 2020
giugno 2020
maggio 2020
aprile 2020
marzo 2020
febbraio 2020
gennaio 2020
dicembre 2019
novembre 2019
ottobre 2019
settembre 2019
agosto 2019
luglio 2019
giugno 2019
maggio 2019
aprile 2019
marzo 2019
febbraio 2019
gennaio 2019
dicembre 2018
novembre 2018
ottobre 2018
settembre 2018
agosto 2018
luglio 2018
giugno 2018
maggio 2018
aprile 2018
marzo 2018
febbraio 2018
gennaio 2018
dicembre 2017
novembre 2017
ottobre 2017
settembre 2017
agosto 2017
luglio 2017
giugno 2017
maggio 2017
aprile 2017
marzo 2017
febbraio 2017
gennaio 2017
dicembre 2016
novembre 2016
ottobre 2016
settembre 2016
agosto 2016
luglio 2016
giugno 2016
maggio 2016
aprile 2016
marzo 2016
febbraio 2016
gennaio 2016
dicembre 2015
novembre 2015
ottobre 2015
settembre 2015
agosto 2015
luglio 2015
giugno 2015
maggio 2015
aprile 2015
marzo 2015
febbraio 2015
gennaio 2015
dicembre 2014
novembre 2014
ottobre 2014
settembre 2014
agosto 2014
luglio 2014
giugno 2014
maggio 2014
aprile 2014
marzo 2014
febbraio 2014
gennaio 2014
dicembre 2013
novembre 2013
ottobre 2013
settembre 2013
agosto 2013
luglio 2013
giugno 2013
maggio 2013
aprile 2013
marzo 2013
febbraio 2013
gennaio 2013
dicembre 2012
novembre 2012
ottobre 2012
settembre 2012
agosto 2012
luglio 2012
giugno 2012
maggio 2012
aprile 2012
marzo 2012
febbraio 2012
gennaio 2012
dicembre 2011
novembre 2011
ottobre 2011
settembre 2011
agosto 2011
luglio 2011
giugno 2011
maggio 2011
aprile 2011
marzo 2011
febbraio 2011
gennaio 2011
dicembre 2010
novembre 2010
ottobre 2010
settembre 2010
agosto 2010
luglio 2010
giugno 2010
maggio 2010
aprile 2010
marzo 2010
febbraio 2010
gennaio 2010
dicembre 2009
novembre 2009
ottobre 2009
settembre 2009
agosto 2009
luglio 2009
giugno 2009
maggio 2009
aprile 2009
marzo 2009
febbraio 2009
gennaio 2009
dicembre 2008
novembre 2008
ottobre 2008
settembre 2008
agosto 2008
maggio 2008
aprile 2008
marzo 2008
febbraio 2008
gennaio 2008
dicembre 2007
novembre 2007
ottobre 2007
settembre 2007
agosto 2007
luglio 2007
giugno 2007
ott20


20/10/2020 16.38 

 
Il giorno dopo aver compiuto sedici anni avevo già l’appuntamento con il direttore del Tiro a Segno per il rilascio del certificato attestante la mia abilitazione all’uso delle armi da fuoco. Era la prima volta che vedevo quel signore e neanche mio padre lo conosceva, perché noi due sparavamo, spesso e volentieri, ma sempre in aperta campagna. Al poligono quella caldissima mattina di luglio eravamo soli, quindi il direttore era tutto per noi. Si comportava come chi, consapevole del suo sapere, volesse aiutare il giovane aspirante tiratore con la sua grande esperienza. Mio padre è sempre stato un uomo di poche parole. Tra noi due spesso comunicavamo soltanto con lo sguardo. Senza pronunciar parola mi fece capire di comportarmi seriamente e di non farla troppo lunga, perché sapevo che lui doveva andare a lavorare e che quindi non avevamo molto tempo. Dopo essermi sorbito una solenne lezione sulle norme di sicurezza, su come si maneggia un’arma e sul funzionamento della Beretta “Olimpia” calibro 22 L.R. che il direttore teneva in mano, finalmente me la consegnò, scarica, assieme ad una manciata di cartucce Fiocchi Standard. Chissà se immaginava che io ne possedevo una quasi identica? Avevo una Super Sport. Affidarmi quell’arma fu come mettere un violino nelle mani di Stradivari. A quei tempi, tra la Diana 4,5 e la Beretta 22, maneggiavo più una carabina che la penna a scuola. Con pochi abili movimenti riempii il caricatore da dieci e attesi con l’arma scarica e la canna rivolta verso il bersaglio il via dal mio istruttore di Tiro, che a quel punto credo si fosse già fatto una mezza idea con chi avesse a che fare.
 
 

“Metti il caricatore nella carabina, camera la cartuccia in canna come t’ho insegnato e mostrami cosa sai fare. Mi accontento se riesci a colpire il cerchio nero a cinquanta metri almeno cinque volte”. Scambiai un’occhiata con mio padre, che annuì con un sorriso malizioso. Primo tiro: un centro. Secondo, terzo, quarto e quinto come il primo. Guardai il direttore, che ormai aveva capito l’antifona, e gli dissi: “Cosa faccio? Continuo?” “Ma si, visto che ci sei” mi disse con un sorriso. Completai la serie da dieci colpi con altri cinque centri. L’Olimpia era veramente un’ottima arma, ma poco adatta alle mie “cacce vaganti”, perché ingombrante e pesante.

Ottenuto il mio bel Certificato e completata la burocrazia necessaria, compresa la firma da parte del genitore, inoltrai la domanda per richiedere il Porto d’Armi per uso caccia. Dopo un piacevole esame e una meno piacevole attesa di circa due mesi, verso la fine di ottobre ero finalmente un “Cacciatore” a tutti gli effetti. Frequentavo con impegno l’Istituto Tecnico Industriale e di andare a caccia nel bel mezzo della settimana non se ne parlava nemmeno. La domenica però non c’erano santi che tenevano, neanche la fidanzatina riusciva a portarmi al cinema. Con Ken, il mio pointer a guinzaglio, ero sempre pronto e sul sentiero di guerra. Insieme a mio padre partivamo al mattino e ritornavamo alla sera, a volte senza neanche mangiare. Ero capace di correre dietro ad una merla per due ore, finché non l’avevo a tiro del mio Breda Antares a lungo rinculo, con gli strozzatori esterni intercambiabili. Per quei tempi quel fucile era il massimo, come la Diana 27 e la Beretta 22, fu un dono natalizio del mio nonno paterno Sigismondo. Mio padre, Vice Capocaccia e tesoriere della “Cacciarella”, la squadra di caccia al cinghiale, aspettava il primo novembre com’io la fine della scuola. A me la caccia in battuta non piaceva molto (adesso invece, sono un canizzadipendente), poi quell’anno di cinghiali se ne vedevano pochi. Fresco di licenza avevo troppa smania di sparare, e al solo pensiero di lasciare a casa il cane e di stare fermo per una giornata intera, mi sentivo male. C’era un fatto però, da solo mio padre non mi lasciava andare e poi Ken non potevo certo portarlo con il motorino. Già a quei tempi per me era inconcepibile andare a caccia senza l’ausilio di almeno un cane. Io la domenica volevo andare a “penne”, mentre mio padre voleva andare al cinghiale, come fare? Presto detto, la soluzione era semplicissima. Andavamo a caccia insieme nella stessa zona, solo che io cacciavo con il cane nelle vicinanze della macchina, senza disturbare nessuno, mentre mio padre andava a Cacciarella dove lo portavano le “orme” dei cinghiali. Questa tecnica si dimostrò ottima e vincente per tutto il mese di novembre. Al mattino, quando ci ritrovavamo con la squadra vicino al fuoco, i tracciatori mi facevano rapporto. M’indicavano un trapasso di tordi e merli, magari dove avevano sentito cantare un fagiano, oppure se avevano visto una beccaccia. Non ero conosciuto per nome, ma come “il figlio di Gianni”. Ancora oggi,  per gli amici del bar, sono e sarò sempre “Il figlio di Gianni”.
 
 

Quel giorno era il diciassette di dicembre, faceva un freddo polare e il vento di tramontana aveva trasformato il terreno in una lastra solida e compatta, dove un branco di cinghiali non avrebbe potuto lasciare una ben che minima traccia neanche saltellando. Quel mattino la squadra si accingeva a battere “alla cieca” un grosso corpo di macchia, con la speranza di trovarci almeno un animale, così tanto per potersi gustare una canizza. Mio padre & C. non avevano grosse pretese. Io invece mi ero riproposto di girovagare per una macchia nelle vicinanze, con la speranza di trovare una beccaccia o di tirare a qualche sassello. Tutte le volte, prima di separarci, mio padre mi ripeteva le solite raccomandazioni: ”Il pranzo lo lascio nella macchina aperta. Se ti viene fame, ricordati di lasciarmi almeno un boccone per quando ritorno. Se succede qualcosa chiama che qualcuno di sicuro ti sente, visto che anche noi siamo nelle vicinanze”. Io rispondevo sempre con la stessa frase: “Non ti preoccupare pa', ci vediamo stasera alla macchina.”

Non ho mai capito chi avesse più passione tra me e il cane. A volte sentivo il campanello del pointer a cento metri e più di distanza. Era un cane molto vivace e focoso. A due anni non potevo certo definirlo un campione, ma per le mie esigenze andava più che bene. Eravamo proprio una bella coppia, ci legava un rapporto quasi fraterno. Le merle non gliele abbattevo perché altrimenti le puntava di continuo, ma di tordi quel giorno ne presi diversi. In inverno, si sa, fa notte presto. Non ho mai avuto paura a cacciare da solo. Conoscendo quelle macchie come le mie tasche, non correvo certo il rischio di perdermi. Ma il pericolo è sempre in agguato, e specialmente in campagna, è bene essere molto prudenti. Non mi attardavo quasi mai. Mancava un’ora di luce prima che facesse buio quando io, stanco morto ma felice, con Ken che ancora correva come un cavallo (ma un po’ più a corto del mattino!!), rientravo camminando lungo una familiare carrareccia. Non avevo sentito né canizze né grandi sparatorie, così immaginai che la squadra non dovesse aver avuto molta fortuna. In macchina con mio padre ci saremmo raccontati tutta la giornata trascorsa nei minimi particolari e lui, puntualmente, avrebbe colto ogni occasione per riprendermi e per darmi nuovi, preziosi consigli.
 
 

Assorto nei miei pensieri mi resi conto, forse in ritardo, che non sentivo più il campanello del cane. Dove si era cacciato e soprattutto cosa stava facendo Ken? Sicuramente doveva aver trovato un animale, perché mancava da troppo tempo e il silenzio era assoluto. Dovevo cercarlo, ma non avevo la minima idea in quale direzione. Restai fermo ancora per qualche secondo con gli occhi rivolti verso l’alto con la speranza che se fosse frullato un animale sarebbe potuto venire nella mia direzione. Sentii invece uno strano rumore, insolito, come quello provocato da un grosso animale che si muove nel folto. Se era stato il cane a provocarlo come mai non avevo sentito il campanello? Il bubbolo trillò contemporaneamente ad un latrato di paura lanciato da Ken. Ripensandoci ora, chissà che battaglia avrei ingaggiato quel giorno se avessi avuto con me i tre setters che possiedo adesso, veri specialisti per quel tipo di caccia. Dal rumore capii che Ken si trovava alla mia destra ad una trentina di metri. Ero quasi certo di sapere cosa stava accadendo: il pointer doveva essersi imbattuto in uno dei maiali bradi che infestano la zona. Mio padre, nei suoi insegnamenti, mi aveva raccomandato di guardarmi bene dall' infastidirli, perché oltre ad essere molto irascibili, specialmente le femmine con i piccoli, sono anche molto pericolose sia per il cacciatore sia per i cani. Scaricai di corsa il Breda senza curarmi di far rumore, poi misi in canna una cartuccia a pallettoni, caricata da Peppino dell’Armeria Stella con la mitica D.N. a terzarole. Se il maiale si azzarda ad attaccare il mio “Fratello di Macchia” prima gli sparo e poi magari cercherò il padrone per accordarci sul risarcimento. A distanza di tanti anni, non ricordo se corsi in aiuto al cane anche gridando. Quello che ricordo bene invece è la scena che mi si presentò davanti quando raggiunsi la radura in mezzo al bosco. Il povero Ken, con la coda tra le gambe e il corto pelo ritto sulla schiena, era quasi circondato da un branco di cinghiali, che tra grossi e piccoli dovevano essere una decina. Purtroppo, dopo neanche due mesi di licenza, non avevo una grande esperienza pratica. Per puro caso, senza neanche accorgermene, ero arrivato controvento e in ottima posizione. Avrei potuto tranquillamente mettere altri colpi nell’automatico ed iniziare a sparare, magari per primo, al cinghiale più grosso mentre invece…….. Quello che mi preoccupò fu l’incolumità dell’ausiliare. Istintivamente alzai il fucile e sparai al cinghiale più vicino al cane, che guarda caso era una scrofetta di una quarantina di chili. A pochi metri da me mi guardava un solengo enorme! Dopo lo sparo tutto il branco partì veloce nel folto eclissandosi in un secondo. Il pointer, al quale non mancava certo aggressività e coraggio, cominciò ad azzannare il cinghiale morto, come a volersi vendicare dello spavento che si era preso.
 
 

Il primo pensiero che mi passò per la mente lo dedicai a mio padre: Chissà che faccia farà quando lo vedrà? A proposito, dovevo avvisarlo. Cominciai a chiamare con tutto il fiato che avevo in corpo ricevendo solo una flebile, lontanissima risposta. Nella speranza che avesse capito, mi misi ad aspettare ed a fare la guardia alla mia splendida preda. Ero al settimo cielo, pensai che negli anni a venire avrei abbattuto molti altri cinghiali, ma ero certo, quello che stavo accarezzando non l’ avrei mai più dimenticato. Qualcuno in lontananza mi chiamava allarmato. Erano i “bracchieri” che rientravano con i segugi sfiniti legati al guinzaglio. Gli risposi a gran voce che tutto andava bene e di venire a vedere cosa avevo preso. Alla vista del cinghiale il più anziano di loro, con una semplice frase, mi riempì d’orgoglio: “Buon sangue non mente. Sei proprio il figlio di Gianni. Adesso con calma raccontaci com’è andata. Noi, in venti, non abbiamo trovato niente. ”

Descrivere come avevo ucciso quel cinghiale fu come rivivere la scena in un sogno. Quando finalmente arrivò mio padre, mi trovò che dominavo la piazza. Per l’ennesima volta raccontai anche a lui come si era svolta l’azione, aggiungendo innumerevoli lodi al talento del grande Ken. Mi interruppe Alberto, il capocaccia soprannominato “Er Diavoletto”, che con un aria solenne disse: “Adesso preparati a ricevere il battesimo di sangue”. Conoscevo quel rito per averlo visto fare un sacco di volte, da quando, ancora bambino, seguivo mio padre tutte le volte che battevano una zona comoda. M’inginocchiai sereno per ricevere i segni sul viso tracciati dall’anziano capocaccia con il sangue ancora caldo del mio primo cinghiale. Guardai mio padre e per un attimo mi sembrò di vedere che avesse gli occhi lucidi, chissà forse gli dava fastidio il fumo del fuoco che ardeva nelle vicinanze, oppure gli bruciavano gli occhi perché era stanco?

Soltanto tanti anni dopo capii perché quel giorno i suoi occhi lacrimavano. Quando anche io provai le stesse emozioni il primo giorno che vidi mio figlio in mimetica con in spalla uno zainetto, alla cintura una vecchia cartucciera ed in volto il suo sorriso più bello. Mi disse: “Papà posso venire a caccia con te domani?”


Marco Benecchi

 
 

Tags:

Tuo Nome:
Titolo:
Commento:


172.70.38.103
Aggiungi un commento  Annulla 

2 commenti finora...

Re: Il mio battesimo

Bravo Marco... i Genitori sono la nostra forza quando passano a miglior vita rimaniamo persi ... tristi...e soffriamo in silenzio perchè tutti noi siamo e saremo sempre degli eterni bambini! AI NOSTRI GENITORI!

da Paolo  27/10/2020 9.45

Re: Il mio battesimo

Il primo di novembre, oltre all’apertura della caccia al cinghiale, ricorre anche la festa dei nostri morti…. Io volevo ricordare i miei genitori, in particolare: “Chi mi ha insegnato tutto quello che so!”, con questo vecchio racconto…..
Ciao grande Gianni

da MARCO BENECCHI PER TUTTI GLI AMICI DEL BLOG  22/10/2020 4.57
Cerca nel Blog
Lista dei Blog