In morte di Zorro


mercoledì 19 gennaio 2011
    
 Zorro, il mio pointer bianco e nero, mi ha accompagnato per dieci anni di grandissima caccia in tutto il mondo. Cane fortissimo e di grande versatilità, ha dimostrato eccellenza su ogni tipo di selvatico, soprattutto a beccacce e in montagna. Grande recuperatore, non ricordo che mi abbia mai fatto perdere un selvatico. Anzi non infrequentemente mi arrivava col selvatico in bocca quando nemmeno credevo di averlo ferito. Ora, fine ottobre, mi pare arrivato al capolinea. Le gambe posteriori non lo sorreggono più come una volta, se ne vanno per conto loro. E' una pena vederlo arrancare per superare una riva o un dislivello. Lo porto ugualmente a caccia in pianura a beccacce con i figli Black e Kiss ed è sempre lui che inventa l'unica in tutto bosco. Alla fine lo devo caricare letteralmente in macchina perchè nemmeno ce la fa a salire.

Oggi è la prima domenica di novembre, il tempo è ancora bello e decido di andare a montagna a cotorne. Quando scendo in garage alla macchina, mi seguono i suoi figli, Black e Kiss ma, quando apro il portellone posteriore, sento un muso che mi sollecita la mano e poi me la stringe con un leggero morso. E' Zorro, sceso anche lui che mi guarda implorante. Mi commuovo di brutto, lo accarezzo e lo accompagno di sopra e gli dico: “Zorro, non puoi venire. Oggi vado in montagna a cotorne. La tua stagione è finita. Non puoi più fare certe cose”.

Parto e, per tutto il viaggio mi accompagna lo sguardo implorante di Zorro che mi vede partire e forse non capisce perchè lo lascio a casa. Ho un nodo in gola e so che la giornata non sarà più la stessa. Lascio la macchina nel solito posto, e comincio la dura salita di oltre due ore su per la mulattiera. Voglio arrivare alla baita delle Fontane per cambiarmi la maglia che sarà fradicia e per mangiare un boccone prima di cercare le “gaie” nei canaloni di fronte. Kiss e Black mi precedono con lunghe corse su e giù per il sentiero. Li lascio sfogare anche perchè sono ormai in quota, e non è raro che avventino sopra o sotto qualche pastura.

Come arrivo in vista della baita di Secondino vedo con stupore che dal camino esce un filo di fumo. Che ci fa il mio amico muntagnin ancora in questa stagione? Batto la porta e dall'interno mi risponde un grugnito.

- Che ci fai ancora qui a novembre?-

- Sto ancora cercando quella bastarda di una capra nera che gira per la montagna come un camoscio e non ritorna in baita nemmeno se la chiamo tutto il giorno-.

- Forse l'hanno mangiata i lupi, oppure te l'ha fregata un cacciatore che l'ha scambiata, oppure no, per un camoscio. E cotorne, ne senti cantare?-

- Guarda, in tutta la valle ne sento cantare solo una: un maschio che sarà otto etti. Lo sento sempre nel rock nero sopra la ciaplera. Se mi aspetti ti accompagno e ti porto proprio vicino a dove canta che gli spari di sicuro. Io prendo la carabina, che se trovo la capra le sparo che almeno me la porto giù.-

- Mentre parliamo e camminiamo verso la ciaplera non mi ha mai abbandonato lo sguardo di Zorro che mi vedeva partire. Mi sembra di averlo tradito non potendo fargli capire il perchè della dolorosa decisione.


Secondino mi mostra la zona e mi indica due o tre cespuglietti sotto la roccia nera.

- Vedi, dopo aver pasturato, se ne sta sempre lì, forse si sente sicuro dall'aquila che qui gira spesso-.

Poi Secondino se ne va dall'altra parte a cercarsi la sua capra.

Come arrivo sotto il roccione, dopo una buona mezz'ora, Black comincia a marcare sempre più forte e poi, dopo pochi metri, blocca deciso verso l'alto con Kiss in consenso. Salgo lentamente per non avere il fiatone, ma sono messo bene e sono sicuro di non sbagliare. La cotorna non parte e il cuore pulsa a mille. Ma ora cosa mi capita?, lo sguardo di Zorro mi arriva come un flash, mi perseguita, mi sovrasta. Un'idea balzana mi attraversa come un lampo. La cotorna parte a pochi metri ed io non sparo. Questa la devo beccare con Zorro. Deve essere il suo canto finale. Ho deciso torno a valle.

Sento sparare Secondino. Avrà avuto la sua “camoscia”. Lo incrocio infatti alla baita con la capra sulle spalle.

- Meglio che me la mangio io che l'aquila o i lupi. - è il suo lapidario commento. - E tu non l'hai trovata la cotorna?, non ti ho sentito sparare. -

Gli racconto la mia decisione. Ha un attimo di perplessità perchè da buon montanaro forse non capisce queste svenevolezze di cittadino, poi inaspettatamente mi dice:

- Se hai deciso così, vuol dire che hai più passione per il tuo cane che per la montagna.-

Via, scendo a valle e per tutto il percorso rimugino come e cosa fare alla prossima uscita.
Mercoledì, ho deciso, preparo tutto e, all'alba chiamo Zorro e lo carico in macchina. Black e Kiss questa volta sono loro a stare a casa.

Mai sentiero fu fatto più lentamente. Zorro sempre ai piedi e ci fermiamo spesso. Quasi tre ore per arrivare in baita. Secondino non c'è più. Solo la montagna di novembre con i suoi silenzi. Mi sdraio nel fieno e mi addormento almeno un'ora. Zorro al mio fianco con me russa beato come in cento altre occasioni. Quando mi sveglio gli dico la parola magica: “Andiamo”, e lui drizza come sempre le orecchie. Via partiamo, ma lo tengo sempre ai piedi, perchè secondo i miei piani, devo preservarlo fino all'ultimo.

Arrivo a cento metri dalla roccia nera e allora metto letteralmente Zorro sulla pastura freschissima del cotorno. A vederlo arrancare sulle povere zampe posteriori mi viene veramente male, ma sono nello steso tempo determinato come lui. Infatti, dopo un'interminabile salita, mezz'ora?, un'ora? Zorro si blocca, coda rigida e naso al vento. Dato che siamo andati pianissimo, gli sono al fianco e, quando il cotorno parte, anche se più in alto di come pensavo, non ha scampo. Stringo e lo accartoccio per bene. Ma cade nel vallone al fianco e lo vedo sbattere più di cento metri sotto. Cerco di fermare Zorro, ma questo, che ha visto l'animale cadere, si butta a valle per il recupero. Quando arrivo in cresta, lo vedo scender con lena, cadere, rialzarsi, determinato come fosse sano di gambe. Arriva sul cotorno, non ascolta le mie grida che lo vogliono fermare, e si accinge a salire col suo trofeo in bocca. Quando arriva, non so dopo quanto tempo, mi deposita un maschio di almeno otto etti ai piedi e si accascia stremato. Me lo stringo addosso felice, ma vedo, disperato, che i suoi occhi si stanno velando e il suo respiro si sta spegnendo. Un sibilo esce dalla sua bocca e poi cessa. Zorro è morto.

Rimango annichilito e piangente non so per quanto tempo. Ora che fare? Di sicuro non lo lascio qui in pasto ai corvi. Sono almeno tre ore per arrivare alla macchina e i miei sett'antanni suonati non mi aiutano di certo. Ma questa storia l'ho voluta io e ora mi aspetta la dura legge della natura. Mi carico i trenta chili di Zorro sulle spalle e, passo dopo passo, con pena infinita mi dirigo a valle. Il caldo del suo corpo sulle spalle mi accompagna lungo il cammino. Piango, ma in fondo sono anche contento. Mai fine di un cane è stata più bella.

Giorgio Bracciani

Tratto da Beccacce perchè 2010, Ex libris Editore


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