Un'insolita cavalcata


lunedì 8 settembre 2008
    

Era un bambino Danilo, quando Marcello, amico di famiglia e molto più grande di lui come età, scendeva da Acquapendente verso i poderi della valle del Paglia per la consueta “veglia” serale. E lì, davanti all’accogliente ed ampio focolare del podere dove Danilo abitava, Marcello raccontava le sue avventure di caccia al cinghiale in Maremma, in prossimità delle riserve del principe Torlonia e del marchese Guglielmi. Tutti ascoltavano con la massima attenzione. Già, perché allora il cinghiale nell’aquesiano era scomparso da molti anni e poi perché i racconti di caccia, in particolare di una specifica caccia, quella al cinghiale, coinvolgevano tutti, grandi e piccini, soprattutto se ben raccontati. E Marcello, aiutato da un buon bicchiere di vino, era in grado di far rivivere a tutti e fame partecipi le sue gesta. Il più delle volte Danilo si addormentava ai lunghi racconti di Marcello e sognava, sognava, sognava che da grande anche lui avrebbe cacciato cinghiali. Passarono gli anni, ed anche Acquapendente, come tutto l’Alto Viterbese, fu ripopolato dai cinghiali. Non si sa perché. C’è chi dice che ne siano stati liberati alcuni nella Riserva Naturale di Monte Rufeno o in quella contigua della Selva di Meana, circa 6.000 ettari in totale. Altri ritengono che nel naturale espandersi di quella specie i cinghiali siano di conseguenza giunti in zona. Fatto sta che c’erano cinghiali in gran numero e che anche Danilo aveva raggiunto la maggiore età per conseguire la tanto sognata fin da bambino licenza di caccia e che si era iscritto, pure lui, ad una squadra di cinghialai. Le prime battute tanto per esserci: qualche colpo a casaccio, qualche padella che pure fa parte del gioco della caccia, il primo cinghiale abbattuto ed il successivo rito del battesimo, e cioè una frasca di quercia intrisa del sangue dell’animale e poi passata sul viso del cacciatore alla sua prima preda. Fino a quando un sabato pomeriggio, dopo la battuta mattutina, i reduci dal lauto pranzo consumato tuffi insieme con carne alla brace cotta sul posto, decisero che sì, un’altra battuta poteva essere fatta. Tuffi impostati, via i battitori, via i cani. Improvvisamente un cinghiale ferito da un altro cacciatore va verso la posta di Danilo che non fa in tempo a sparare. Lo carica, lo prende in groppa al contrario, lo trasporta con sé per decine e decine di metri fino a sbarazzarsi di quel fantino imprevisto ed imprevedibile. Ridono tutti, quanti hanno assistito alla scena. Ma come, si chiedono, un uomo a cavallo di un cinghiale e per di più al rovescio? A smettere di ridere,per primo, è Giovanni, che corre in soccorso di Danilo e con il guinzaglio dei cani che ha nella cacciatora gli stringe la profonda ferita che questi ha ad una coscia. All’ospedale di Acquapendente un bravo angiologo gli praticherà un primo intervento, e cioè ricollegherà con un by — pass l’arteria femorale recisa dalle zanne dell’animale. A quello di Terni, poi, a Danilo sarà salvata la vita. Tornato finalmente a casa all’ovvia domanda: “ Tornerai ancora a caccia al cinghiale?”, “Certo!”, è la sua risposta secca. Una risposta che è un inno alla vita, data da una persona che ha visto la morte in faccia e che per questo ancor più ama la vita nel suo presente e nel suo avvenire, qualunque esso sia. L’incidente di caccia è ormai un ricordo. Brutto e solo da dimenticare.

Augusto Simboli

concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"


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