STORIA DI UN MONDO ANTICO


mercoledì 31 ottobre 2012
    
Il fatto curioso che mi accingo a raccontare, accadde sul finire degli anni dieci, protagonista del quale fu il compianto zio Mario. Questa semplice poesia la scrissi in gran parte al Passo dell’Osteria Bruciata il giorno 7 ottobre 1947, quando avevamo molte speranze in più e tanti anni in meno! Poi il manoscritto finì in un cassetto e solo quando ormai era troppo tardi... fu da me rinvenuto. So che se al momento giusto lo avessi fatto recapitare allo zio Mario, allo zio Quintilio e al Capanni, che in quel giorno luminoso mi tennero compagnia al passo dei colombacci, sicuramente avrei strappato loro una risata in più, ma ahimè!
 

QUANDO le lepri morian di vecchiaia
e le starne dovevano emigrare,
quando i fagiani beccavan sull’aia,
pei cacciatori c’era un gran da fare.
Accadde appunto in quell’epoca gaia,
il fatto che vi sto per raccontare;
ed eccovi di seguito i dettagli,
protagonista un certo Mario Magli.

Fin da piccino cominciò ad entrargli
addosso la passion del cacciatore
e cominciò a cercar cani e guinzagli
e il fucile volea dal genitore.
Insomma insisti, prega, picchia e dagli
un giorno pien di gioia e di stupore,
ricevette dal padre quale manna
un trombone a bacchetta da una canna.

Partì la sera stessa e andò per Panna,
ben munito di polveri e pallini;
tira a due lepri e l’animo si danna,
ma di bandita passano i confini.
Spara al fagiano, gli cantò un osanna,
le starne gli beccarono i pallini,
tornando a casa col vuoto in bisaccia
i merli gli facevan la boccaccia.

Al buon padre bastò guardarlo in faccia,
quando in cucina entrò, ridendo amaro,
gli disse: “Disonori la tua razza,
mentre al piombo subir farai rincaro.
Però se il primo giorno non s’ammazza
la selvaggina, non è caso raro;
la delusione ch'oggi t'ha depresso,
ti spronerà domani nel successo”.

Sognò la notte d’essere a un congresso
di lepri, di fagiani e barbagianni
i quali gli facevano il processo
per tentato omicidio ai propri danni.
E l’incubo si accrebbe il giorno appresso
nella Cerreta presso il Pian di Gianni,
gli passan quattro lepri proprio belle,
buone davvero per le pappardelle.

Con la tromba nel sacco e le padelle
ritornò verso casa sconsolato;
al buon padre, al fratello e alle sorelle
disse: “Davvero, sono scalognato!”.
Nessuno poi credette alle storielle
e lui per non sentirsi canzonato
e per dar prova della sua bravura
si balzellò le starne alla pastura.

Era una sera luminosa e pura,
scendeva dalle fonti quella brezza
che di rado ci dona la natura
e tutto sfiora come una carezza.
Mario guardava da quella fessura
del capanno di frasche che in bellezza
aveva costruito da suo pari,
in una stoppia di Monterinari.
 
 
Eugenio Castellani
 
 
Tratta dalla rivista Il Covile

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