Tra amici, parlando di caccia e di cani, ci siamo spesso chiesti come avremmo commentato la stessa cosa o persona dopo una decina d'anni.
In verità qualche volta è stato fatto, anche se a distanza non di una, ma di diverse decine di anni, sul problema dei terreni e delle prove.
Infatti, al termine di ogni stagione, ci sono sempre stati i doverosi ringraziamenti ai concessionari ed ai proprietari per aver messo a disposizione i terreni dove si sono svolti gli allenamenti e le selezioni.
Qualche volta, insieme ai ringraziamenti, c'è anche stato un commento, come quello molto datato e riproposto più volte, di Ernesto Coppaloni.
“Ci sia consentito, con l'occasione, di parlare ai nostri politici, a tutte le Amministrazioni provinciali, comitati ed organizzazioni venatorie, per segnalare quanto la cinofilia italiana abbia necessità inderogabile che queste zone di ripopolamento, riserve, oasi, siano moltiplicate e vi si possano effettuare, per qualche giorno all'anno, gare tanto importanti.
Nullo sarà il danno alla selvaggina, concorrendo cani corretti ed in periodo di caccia chiusa. Anzi, la selvaggina se ne avvantaggerebbe in esperienza.
Il problema si impone quando si pensi che molti addestratori italiani, con enormi sacrifici e spreco di denaro, sono costretti ad allenare altrove.
Abbiamo in Italia grandi possibilità a condizione che si abbandoni la demagogia e si apprezzi il vero desiderio dei cacciatori che hanno il culto del cane da ferma.
La cinofilia è sublimazione della caccia e tanto più un cacciatore è cinofilo, tanto più diventa un esteta e meno distruttore: proteggerà la selvaggina per godere nuove emozioni della ferma del proprio ausiliare, tendendo a partecipare alle piccole competizioni dapprima, per arrivare alle grandi.
Mi auguro che chi ha orecchi intenda questo mio dire e con leggi e provvedimenti appropriati si ammettano, nei Comitati Provinciali e Regionali, i cinofili, e si moltiplichino queste iniziative che potrebbero risolvere molti problemi della nostra cinofilia”.
È vero, anche la forma è datata, ma si capisce ancora il significato di “questo mio dire”?
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In Toscana, intorno agli anni '30 del Novecento, Michele Tonti detto Coda, fu il primo vero ammaestratore di civette. Tutti gli anni ne preparava quattro per sé e una decina su commissione. La sua stagione cominciava verso il 10 di Ottobre, e aveva la migliore clientela: tiratori, fumatori, bevitori e pagatori. Quando l'annata era buona, Coda rimediava fino a un migliaio di lire, da fumare per tutto l'inverno e le cartucce per suo uso e consumo.
A caccia portava sempre la sua civetta migliore, pennuta e volatora. Come fischiatore era insuperabile e non sapeva stancarsi.
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Una quindicina di anni fa abbiamo letto di un biologo italiano trasferitosi negli Stati Uniti per lavoro, che nel tempo libero continua la sua passione per la caccia agli ungulati. Un giorno, da solo, dopo una lunghissima marcia di avvicinamento, inquadra nel cannocchiale un bellissimo esemplare di capriolo. Un maschio adulto, tranquillo e a distanza ottimale. Mentre sta per sparare, un piccolo si avvicina, gli passa sotto la pancia e prova a giocare.
Il cacciatore abbassa il fucile, torna a casa e racconta di aver vissuto la sua più bella favola vera.
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Londra. Maggio 2009. Più di diecimila volpi a spasso per la City. Il quotidiano Telegraph ha lanciato un censimento “urbano” che porta a questi numeri. A Londra si vedono ovunque, da Downing Street alla cattedrale di St. Paul, e in tutti gli stadi sportivi.
Questa specie di “invasione” è iniziata negli anni '40, e il numero è in continuo aumento. Diventano sempre più socievoli e i Municipi di Londra si sono praticamente arresi alla lotta per tenerle a bada e consigliano soltanto ai residenti di tenere ben chiusi i bidoni dell'immondizia, di non lasciare cibo all'aperto e spargere i repellenti.
Dopo sei anni dal divieto di caccia alla volpe, gli ambientalisti denunciano innumerevoli violazioni della legge. Il che è spiegabile, visto che è permessa la caccia a volpi, lepri e cervi, purché le prede siano uccise con il fucile e non fatte sbranare dai cani della muta. Da notare, in proposito, che la medesima legge consente solo due segugi.