Ci credevamo un branco di tradizionalisti, arroccati su posizioni vetuste, addirittura ataviche. E invece è tutto l'opposto: siamo precursori di nuove tendenze, capofila di un nuovo ritorno alle cose genuine. La selvaggina per esempio. Lo sapevate che è la carne del futuro? Non lo diciamo noi, che appunto, pensavamo di essere testimonianza di un mondo ormai antico, ma la copertina di ottobre de Il Gambero Rosso, la celebre rivista nata come Slow Food da una costola dell'allora Arci Gola (1987), ma che oggi, con le sue guide annuali sui ristoranti d'Italia e i vini d'annata, è il massimo in fatto di cucina e ristorazione.
La rivista mensile arriva nelle case di migliaia di abbonati oltre che in gran parte dei ristoranti, enoteche e quant'altro: un'attenzione enorme quindi, quasi del tutto inaspettata per chi come noi si occupa di informazione venatoria, abituati come siamo nel dare conto dell'ennesimo colpo basso inferto alla categoria con strumentali attacchi mediatici o a colpi di tribunali amministrativi. In questo ottobre di passo ma anche di tante, troppe delusioni tra un calendario sospeso e un altro riapprovato con inevitabili menomazioni, queste attenzioni finalmente ragionevoli che vengono dall'esterno sono finalmente, appunto, uno stimolo positivo. E se la cucina vi sembra poca cosa, non dimenticatevi che oggi più che mai parliamo di una cultura a portata di tutti, che anche grazie a trasmissioni tv e ai nuovi mezzi di comunicazione (Facebook e Twitter in primis, ma anche la moderna telefonia mobile con il suo universo di applicazioni), coinvolge oramai un pubblico sempre più ampio e ormai eterogeneo, così come la scelta di ingredienti e produzioni italiane di qualità, senza dubbio di successo negli ultimi anni e orgoglio per il nostro paese.
Le testimonianze raccolte nell'articolo de Il gambero rosso dei più quotati chef italiani ci restituiscono l'Italia delle trattorie, quella dei pranzi domenicali con le famiglie allargate e le gioie di una caccia ben riuscita, conclusa nel trionfo di una tavola ben imbandita. E' questo il mondo raccontato, non senza una vena di commozione, dall'olimpo della ristorazione: il famosissimo Gianfranco Vissani ma anche Igles Corelli, Valeria Piccini, Laura Lorenzini e diversi altri guru della gastronomia, che in tutta Italia portano le tradizioni venatorie a tavola, con straordinarie rivisitazioni.
La rivista prende atto di quella che si profila come una nuova tendenza nelle più alte cucine italiane, sensibili, come ogni settore, a quell'aria di rinnovamento generale che si respira in vista di un nuovo inevitabile assestamento dell'ordine economico, che non dovrà più essere orientato ad un consumo dissennato e bulimico, ma ad uno più consapevole, che sappia guardare alla qualità degli ingredienti, alla salute, e che non ne trascuri l'aspetto importantissimo della sostenibilità ambientale.
A rilanciare la selvaggina, è in particolare Igles Corelli, chef stellato che da poco ha aperto Atman, un nuovo ristorante a Pescia, in provincia di Pistoia: "La selvaggina - dice - è sempre stata la carne per eccellenza, fino a non molti anni fa era il mangiare dei signori, i pochi che potevano cibarsi di carne. Era per i ricchi, ma era indubbiamente una pietanza sana, ricca di nutriente, senza colesterolo... Ed è - sostiene Corelli - sicuramente la carne del futuro! L'unico problema è renderla controllata e sostenibile". “Sembra anacronistica la previsione di Corelli – riprende l'articolo – Ma poteva sembrare anacronistica anche la previsione di un ritorno alla frutta antica, selvatica, alle erbe di campo. Eppure ci sta tornando, fa parte di quelle “piccole” cose che fanno il vero lusso: non per forza costoso, ma sicuramente frutto di scelte e consapevolezze particolari, sia in chi se ne ciba che in chi ne fa un lavoro”.
Insomma chi per anni ha sperimentato gli ingredienti più raffinati per i palati più esigenti ed esperti, a quella carne, ricca di proteine nobili, povera di grassi e colesterolo, dai sapori decisi ma succulenti, non può certo rinunciare. La storia moderna della selvaggina, in gastronomia, l'hanno iniziata negli anni 80 Gianfranco Vissani – spiega meglio ancora Stefano Polacchi, editorialista del Gambero Rosso (per la nota integrale vedi link) – con la sua “saletta”nel Padrino di Baschi e le sue fettuccine al sugo di lepre con la lepre cruda, e Igles Corelli al Trigabolo di Argenta con le tartare di fischione e di oca. E la cosa divertente - per il Gambero - è che tutto sommato questa storia moderna ha un vero e fortissimo cordone ombelicale che la lega alla tradizione. Certo, le cotture si accorciano, i grassi diminuiscono, la sensibilità ai sapori aumenta. “Ma lo spiedo resta fondamentale – dice l'esperto Vissani - non c'è cosa migliore: fuoco violento e cotture corte. Anche mio padre faceva così: allo spiedo gli uccelletti venivano rosati. E io li faccio così”. Corelli è uno specialista degli acquatici. Estrapoliamo ancora dall'articolo del Gambero Rosso per scoprire che “tratta alzavole, fischioni e germani fin da sempre... E sa che se il germano può essere ottimo anche crudo, così anche l'alzavola, altro piccolo uccello di valle, invece la folaga (“che risulta molto pesciosa, perché va a mangiare le alghe in fondo alle paludi”) è meglio utilizzarla per un risotto, ben cotta. “Il germano – continua Corelli – deve rimanere al cuore a una temperatura di 65°, altrimenti [la carne] diventa stopposa e troppo secca”.
Con il tempo qualcosa è cambiato, alcune tradizioni popolari sono state soppiantate da altri metodi più moderni. E se una volta la frollatura era estrema, visto che – ci ricorda lo chef – si diceva che il fagiano andava appeso per il becco e lasciato lì finchè non cadeva a terra, per poi fare cotture ad altissime temperature per abbattere la carica batterica, oggi ci sono stratagemmi più azzeccati, come le marinature: come quella tipica con il vino rosso, ma non, come precisa Corelli, per smorzare il sapore di selvatico, che anzi deve rimanere, altrimenti non ha senso la selvaggina, ma perché i tannini ammorbidiscono la carne. Passando al cervo, un consiglio lo dà lo chef Felice Lobasso, che all'Alpen Royal Sport Hotel di Selva di Val Gardena, realizza una splendida tartare di cervo con crema allo yogurt.
Il successo della selvaggina lo si deve anche a quell'universo di emozioni che sa suscitare dal bosco fino alla tavola. Lo spiega Corelli quando parla del suo fantastico risotto con folaga e gallinella: “lo servo – dice – con un gelato di parmigiano in una cloche dove l'affumicatura avviene al momento: sparo dentro del fumo raffreddato con azoto che si deposita sul riso e quando si apre la cloche evapora dando l'idea di una nebbia che si alza dalla palude. Scenografico, ma anche molto gustoso!” assicura lo chef. “Se si affumica a basse temperature, comunque non sopra i 7°, la caccia (la carne di cacciagione, ndr) ritrova quella sensazione di fumo legata anche allo spiedo, alla brace che era la cottura più in voga e tradizionale”.
Per Corelli e Vissani c'è un legame profondo con la caccia, quella praticata. “la caccia di Valle – dice Corelli – ce l'ho nel sangue e anche la sensibilità del fuoco”. Vissani racconta: “con la caccia ho un rapporto viscerale, erano le uscite con papà e zio, erano le chiacchiere al bar. Certo, proporre un menù di caccia qui sul mare può sembrare stravagante. E invece no. Caccia e pesca sono entrambe attività ancestrali. La carne per me è la caccia. E poi selvaggina e pesce sono simili anche in altro: hanno poco grasso, non oltre il 5%, e prediligono cotture veloci”.
Errico Recanati nel suo Andreina a Loreto tratta certa selvaggina in due tempi, metà al girarrosto come vedeva fare a sua nonna, e metà a bassa etmperatura. Anche per lui il rapporto con la caccia è profondo: “mi auguro – dice nell'intervista- che la cacciagione torni a essere la carne più utilizzata, perché è sana e ottima”. Mentre per Daniele Corte, chef del ristorante “Ai cacciatori” di Cavasso Nuovo, in Friuli, c'è ben poco da innovare: “abbiamo provato – dice – a rivedere qualcosa, ma non c'è nulla di meglio della tradizione”.
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Testo integrale dell'editoriale di Stefano Polacchi pubblicato sul Gambero Rosso