Le astuzie della beccaccia
giovedì 21 gennaio 2010 
    
Unclassico della letteratura venatoria europea ora riproposto in una nuova edizione. Un repertorio dei miti elaborati intorno alla Regina del bosco, delle sue strategie, delle sue sorprendenti imprevedibilità. Ma anche, e soprattutto, un racconto di caccia vissuta. Al tempo della «grande abbondanza», delle veglie intorno al fuoco, delle lunghe marce per le colline. In uno scenario rurale che scatena passioni e nostalgie.
 
 
Dalla Prefazione di Vincenzo Celano

Astuta la beccaccia? Astuzia, per il vocabolario, è accorgimento, stratagemma, scaltrezza... E astuto, naturalmente, è «chi è capace di escogitare e di usare i mezzi più opportuni al raggiungimento di un dato scopo». Allora l’astuzia, comportamento connotato dall’intenzionalità, dovrebbe essere una faccenda tutta umana, dal momento che gli animali rispondono semplicemente agli stimoli che la natura offre, e che l’esperienza consolida. Ma si dà il caso che una cultura discutibile ci ha avvezzati a umanizzare gli animali. Dal canto loro i cacciatori innamorati mitizzano e fanno diventare fantasmi, e perfino streghe, le beccacce che si dileguano alla chetichella o che si rendono inavvicinabili anche per mezzo di lunghe pedinate. I francesi, nella lingua dei quali scrive il ginevrino Edouard Demole, chiamano le beccacce sorcières, cioè streghe. Il nostro Autore, che pure soggiace a qualche ingenuità e credenza del suo tempo, non dedica molto spazio alle furberie di «sua altezza, la regina boschereccia», interessato com’è a raccontare piuttosto gli accorgimenti che mette in atto il cacciatore. Sa che i mezzi di difesa della beccaccia variano all’infinito, a seconda della stagione, delle epoche e della situazione meteorologica. Cambiano a seconda dei luoghi e della stazione in cui essa al momento si trova, e in più hanno a che fare con l’età e l’esperienza dell’individuo. Di modo che esistono ancora oggi beccacce che si lasciano bloccare a lungo dal cane, forse confidando sulla somiglianza del colore delle loro penne con quello dell’ambiente, o perché avvertono il rischio di mettersi in volo alla piena luce del sole e di esporsi così alla vista dei rapaci. Allora è probabile che, in situazioni del genere, una beccaccia cerchi di sottrarsi alla molestia o all’insidia anche portandosi solo qualche metro più in là percorrendo in volo una piccola parabola, quasi un salto, diventato nell’immaginario dei beccacciai «salto del rospo». E può anche darsi che in simili condizioni essa si faccia facilmente colpire. Ma se questo accade, nessuno ugualmente si senta autorizzato a considerare sciocca la beccaccia. Per chi albergasse, sia pure di passaggio, qualche pensiero del genere, Demole riserva qualche frecciata al curaro: «Le nostre nonne quando dovevano sgridare le loro figlie davano loro l’appellativo di “beccacce”; sicuramente conoscevano bene le loro figlie, ma non avevano nessuna idea di che cosa potessero essere le beccacce».
 
 
 

Le astuzie della beccaccia
Autore: Edouard Demole
 
Editore: Editoriale Olimpia