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PRIMA LICENZA DI CACCIA Lara Leporatti: "Padella! E nemmeno solo una!"


giovedì 22 gennaio 2015
    

La passione per la caccia ha sempre fatto parte della mia famiglia, con mio padre, mio nonno, e chissà quanti altri prima di loro, per cui, quando mi si chiede da quanto tempo ho questa passione rispondo sempre che  ci sono nata.

All’età di 10 anni papà mi mandava  a prendere i bollettini nella locale sezione caccia che aveva la sede  nel bar sotto casa. Lì passavo il tempo ad ascoltare le storie dei vecchi cacciatori  che si animavano parlando della lepre che aveva fatto tribolare i cani, o di quel vecchio fagiano furbo che si defilava di pedina... poi mi guardavano dicendomi che anche a Lastra c’era una cacciatrice, che cacciava niente meno che con i pantaloni!

Tra le varie attività della sezione fu organizzato uno stand presso la fiera degli antichi sapori e fu lì, tra un panino al lampredotto e un bicchiere di vino,  che conobbi Paolo,  un setterista con la passione per la caccia col cane da penna. All’epoca avevo anch’io una setter bianco nera di buon sangue, Zara, ottima ferma ma poco collegamento, che cacciava per lo più per sé. L’avevo presa all’età di 15 anni da un cacciatore specialista in beccacce amico di papà. La prima volta che la vidi aveva una settimana di vita: mi stava nel palmo della mano, tanto era piccola, e non aveva ancora gli occhi aperti. Finita la scuola, il sabato, prendevo il motorino e andavo a trovarla, tiravo fuori tutti i cuccioli e stavo lì a farli giocare con me, per poi rimetterli dentro quando si faceva l’ora di tornare a casa . Ricordo quando andai a prenderla col babbo: mentre la tenevo in braccio sul furgone, pensai che era il mio primo cane da caccia… ed era solo mio!

Come un diamante prezioso e delicato, sapeva di buono, con quel profumo tipico dei cuccioli che, da allora, mi regala un senso di tranquillità anche nei momenti più difficili.  Il setter di Paolo, Arno,  era più tranquillo ma pur sempre un bravo  cacciatore, e fu così che ci venne l’idea di un accoppiamento che, stando alle genealogie, prometteva una buona riuscita. Ne nacque Monello, un tricolore ottimo cacciatore come i genitori, morto proprio quest’anno.

Negli anni  successivi ho continuato a frequentare la sezione caccia, per lo più aiutando a compilare  i bollettini oppure ad organizzare gare cinofile ed altri eventi…e adesso sono Presidente della sezione comunale CPAS.  A 21 anni mi convinsero che era meglio cacciare che seguire mio padre per rubare una fucilata ogni tanto, vista soprattutto la mia passione per i cani. Iniziai così il corso  per conseguire la licenza …e finalmente divenni una cacciatrice a tutti gli effetti. Ricordo ancora, dopo l’estenuante esame e le domande insidiose del Dott. Amati, la felicità di uscire dalla stanza della ripartizione con il foglio con su scritto “ABILITATO”!  Corsi quindi al poligono per ottenere l’altra abilitazione, quella al maneggio armi, ma sapevo che non ci sarebbero stati problemi, dato che da qualche anno passavo i sabati ad allenarmi di nascosto con la cal. 22 sotto la guida di un amico di papà, il Fiaschi, grazie al quale avevo già imparato a tirare a 100 e 200 metri.

Conseguire la licenza di caccia non autorizza automaticamente all’esercizio venatorio ma, a differenza di quanto accade per la patente di guida che consente da subito di condurre un veicolo da soli, il porto d’armi richiede che per il  primo anno si venga accompagnati da altri cacciatori con almeno  10 licenze alle spalle. Giustamente, direi, e magari, se fosse così anche per la patente si eviterebbero tanti incidenti stradali.

Per la mia prima apertura quindi… niente problemi, avendo con me come sempre il babbo e lo zio, ai quali l’anno dopo si sarebbe aggiunto anche mio fratello. Presi dunque un giorno di ferie dal lavoro proprio per l’occasione. Verso l’ora di pranzo, mi chiamò Paolo chiedendomi se volessi andare con lui nel pomeriggio, così insieme ai nostri setter Zara ed Arno andammo a  cercare un fagiano vicino casa, nonostante  il caldo e la stanchezza di quel giorno iniziassero a farsi sentire.

Lasciate le auto al solito posto e sciolti i cani, caricammo i fucili e via… alla ricerca di un fagiano o una lepre. Ad un certo punto i cani che correvano davanti a noi fermarono entrambi di fronte a un cespuglio a ridosso di un borro profondo. Ci preparammo a servirli e gli dicemmo di “dare”, e dopo un attimo di panico nel cespuglio uno dei due cani mise in volo l'animale.. che partì con un rumoroso battito d’ali e il tipico canto maschile co co co… Sparammo due tre quattro fucilate.. mentre il canto riecheggiava ancora come a volerci prendere in giro. Io e Paolo ci guardammo per un attimo, sorpresi,  e scoppiammo a ridere all’unisono.

Quella risultò essere solo la prima padella della giornata, ma non ci saremmo dati per vinti, sicuri di poter trovare la femmina o un altro maschio. Ritemprati dall’incontro, iniziammo a scendere e salire su per il bosco pieni di nuova linfa vitale, scaricando e ricaricando i fucili ad ogni passaggio pericoloso mentre i cani correvano cercando il vento, annusando per terra, alla ricerca di un odore, una traccia, un piccolo segno di presenza della selvaggina. Spesso i detrattori della caccia ci contestano il fatto che obblighiamo i nostri cani a cacciare, che siamo noi a crearli per il nostro piacere. Nulla di più sbagliato. Guardare un cane che caccia ti fa capire come questo sia nella sua natura. Noi non facciamo altro che assecondarla in una simbiosi che si crea fra due esseri che condividono  un piacere comune.  Il cane da caccia, va a  caccia per il proprio. A differenza solo del Bracco Italiano che lo fa per il piacere del padrone in primis, in un collegamento che lo porta a smettere di cercare quando questi non lo segue. In tal senso, il Bracco supera forse ogni altro cane.

La giornata non era ancora finita ma non potevamo certo ribattere questo fagiano,  che si era rimesso in un posto inaccessibile. Il caldo  si sentiva,  per cui facemmo riposare i cani che si dissetarono in un borro di acqua fresca, bagnandosi il pelo e rianimandosi. Come noi, che  grazie a quello sbattere di ali, a quel canto liberatorio ci eravamo destati dal torpore e dalla stanchezza di due giorni di caccia.

Seguimmo i due setter intenti a  cercare in ogni angolo e in ogni anfratto del bosco,  a passare in rassegna la vigna, a incrociarsi in mezzo agli ulivi sfrullando una serie di piccoli uccelli che vennero giustamente ignorati. La ricerca però fu infruttuosa e col sole che iniziava a calare, arrivò il momento di tornare verso la macchina. I fucili, tenuti in mano per non farci sorprendere  nuovamente da un frullo, tornarono sulla spalla, i discorsi si fecero più rilassati, la voce, quasi sussurrata durante la caccia, tornò ad essere alta e squillante e anche i cani rallentarono la cerca precedendoci a passo tranquillo.

Cercai Zara con lo sguardo rendendomi conto che non era più davanti a me e quando mi girai la vidi solo un attimo ferma più indietro in un filare di vite…e subito partì una lepre dal covo che ci schizzò davanti come tirata con la fionda, mentre prendevamo i fucili dalla spalla per tirarle dietro tre colpi ciascuno…che ovviamente la lasciarono illesa, facendole fare solo uno strano balletto a zig zag fra le nostre  fucilate e i cani che la inseguivano.....

Un contadino, sentiti gli spari, ci gridò dall’alto del poggio: “Che si fa a mezzo?” Gli rispondemmo che avrebbe dovuto accontentarsi della padella… e scoppiammo a ridere tutti e tre. Andai a cercare i cani, spariti nel bosco, lasciando Paolo ad aspettare fuori nel caso la lepre fosse uscita, quando vidi una sagoma marrone passarmi davanti tallonata dalla Zara…ma non ebbi modo di sparare! Richiamai i cani, raggiunsi il mio amico con cui ci guardammo in un silenzio pieno d’imbarazzo…e ricominciammo a ridere. Non era proprio la nostra giornata!

Arrivammo alle auto che il sole era ormai tramontato, scaricammo i fucili e ci mettemmo d’accordo per il sabato successivo. Tornata a casa, mio padre si avvicinò e mi chiese dove avevo padellato la lepre. Lo guardai stupita. “Come fa già a saperlo?”- mi domandai -" Sono appena arrivata!”  Ma il tamtam dei cacciatori era già arrivato  a radio Lastra. “Il contadino che vi ha visto”-rispose papà-  “l’ho incontrato alla Lastra e me lo ha detto! Padella!!! e nemmeno solo una!".
 
 

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