E' indubbio che la percezione della caccia sia notevolmente diversa in molti altri Paesi europei. Alcuni giorni fa abbiamo riportato lo strabiliante caso della Danimarca, dove il 90 per cento dei cittadini approva l'attività venatoria, percentuale emersa da un sondaggio commissionato ad un istituto di analisi e rimasta tra l'altro stabile negli anni.
E' una caratteristica frequente nei Paesi nordici (ma non solo), ovvero quelli in cui il contatto con la natura è ancora predominante e in cui tradizione e modernità si integrano senza contrasti, spesso a partire dall'insegnamento nelle scuole, dove l'argomento viene trattato in termini tecnici, pratici e scientifici. Non è un caso se in Norvegia, Svezia e Finlandia si contano molti cacciatori giovani, abituati fin da piccolissimi a familiarizzare con naturalezza con i selvatici e a partecipare fin dai 15 anni a battute di caccia con genitori e associazioni.
E in Italia? Piero Genovesi, responsabile fauna selvatica di Ispra (nonchè personaggio pubblico molto apprezzato dalla tv), pochi giorni fa, invitato a dire la sua sulla poca considerazione del grande valore economico dell'attività venatoria, si rammaricava della bassa opinione che i cittadini italiani hanno sulla caccia, sottolineando che le cose non vanno affatto così per esempio in Svezia, dove c'è un consenso molto ampio da parte della cittadinanza (che infatti mangia abitualmente selvaggina, alci e renne in primis).
Lo stesso discorso si può fare per la Finlandia, dove l'associazione venatoria di riferimento (Metsästätäjäliitto) ha appena commissionato un'analisi mediatica dell'immagine pubblica sia della caccia che di sé stessa. Dalle conclusioni emerge che gli articoli che trattano di caccia (stile di vita e hobby, attività sociali, posizioni dei politici a favore della caccia), si sono distinti come argomenti positivi. Ciò significa che i media nazionali parlano molto di caccia e lo fanno con toni divulgativi e propositivi. Se ci facciamo caso, invece, la stragrande maggioranza degli articoli a tema caccia sulle nostre testate generaliste, sono translate direttamente dai comunicati allarmistici delle associazioni abolizioniste e quindi aprioristicamente contrarie. C'è una bella differenza tra questi due approcci. Il secondo non può che essere superficiale e di parte.
Ed ecco dunque spiegati anche i dati del sondaggio Nomisma presentato negli scorsi giorni da Federcaccia: da noi solo il 41% approva la caccia coerentemente con una disinformazione dichiarata: ben 2 italiani su 3 ammettono di non essere sufficientemente informati sulla tematica e solo 1 intervistato su 10 afferma di conoscere appieno norme e disposizioni che ne regolano l’operato. Ciò appare ancora più contraddittorio considerato che, sempre secondo la ricerca Nomisma, il 62% degli italiani consuma anche selvaggina (nel 39% dei casi al ristorante), considerandola oltre che buona, molto più sana e sostenibile, sia da un punto di vista ambientale, che etico, avendo evidentemente consapevolezza del fatto che gli animali allo stato brado hanno una vita notevolmente migliore di quelli in allevamento.
Dunque bene sicuramente l'invito rivolto da più parti al mondo venatorio di farsi conoscere per i suoi contributi positivi alla biodiversità e per i ruoli di vigilanza e di ripristino degli habitat, ma non sarebbe affatto male se qualche sforzo in più venisse fatto in termini di divulgazione ed educazione anche a livello ministeriale, oltre che mediatico. Sia i dipartimenti dell'Agricoltura e dell'Ambiente che quelli di Istruzione e Cultura, in considerazione all'elevato valore economico della caccia (come abbiamo visto miliardi di euro tra economia e servizi ecosistemici), dovrebbero sentirsi chiamati in causa per ripristinare verita' per troppo tempo lasciate alla mercè di detrattori e mistificatori.
Cinzia Funcis
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