Specie invasive, la prassi è consolidata venerdì 12 agosto 2022 | | L’eradicazione delle specie invasive applicata nelle isole ha avuto risultati positivi nell’88 per cento dei casi. E’ quanto riporta una ricerca pubblicata in questi giorni su Scientific Reports "Il contributo globale dell'eradicazione dei vertebrati invasivi come strumento chiave per il ripristino dell'isola", che ha raccolto i dati di oltre 100 anni di eradicazioni di vertebrati dalle isole, in totale 1550 tentativi su 998 isole, utilizzando il Database of Island Invasive Species Eradications (DIISE), una banca mondiale proprio su questo tipo di interventi negli arcipelaghi. Teniamo presente che le specie invasive, in particolare i mammiferi terrestri invasivi, sono riconosciute dal mondo scientifico tra i principali responsabili della perdita di biodiversità autoctona e sono anche direttamente collegate al declino della salute umana e alla decrescita economica.
Il tasso di successo che sfiora il 90 per cento, dice molto, qualora si riscontri la crescita di una specie alloctona a danno degli ecosistemi locali, sulla necessità di attivare, in maniera decisa e in tempi brevi, interventi di rimozione a tutela della biodiversità. Cosa ancora più importante se si considera che le isole sono luoghi strategici a livello globale per la tutela della biodiversità, dato che ospitano tantissime specie altrove ormai in stato di declino o ibridate da altre.
La ricerca spiega che l’attività di eradicazione nel mondo ha avuto una crescita significativa negli anni 80, per arrivare al suo picco negli anni 2000, a conferma proprio dei vantaggi raggiunti sul fronte della conservazione ambientale. “Ulteriori investimenti nell'eradicazione invasiva dei vertebrati dalle isole amplieranno la conservazione della biodiversità, rafforzando nel contempo la resilienza della biodiversità ai cambiamenti climatici e creando vantaggi collaterali per le società umane” sostengono i ricercatori.
Come non rivolgere a questo punto un pensiero al caso tutto italico dei mufloni del Giglio. Mentre da più di quarant’anni, minore dei mali sul piatto della bilancia, questo strumento è ormai applicato in tutto il mondo dove si evidenziano degli squilibri, da noi succede ancora che basti qualche protesta per bloccare decisioni prese con rigore accademico. Nello specifico a novembre scorso il Parco dell’Arcipelago Toscano, all’indomani della decisione di eradicare i mufloni, ha scelto di ascoltare gli animalisti, interrompendo tutto per mesi e accordando a Wwf e Lav l’avvio delle operazioni solo a condizione che i mufloni fossero trasferiti incolumi sulla terraferma. È stato così trovato un accordo per sospendere gli abbattimenti, provvedendo ad intensificare gli interventi di cattura e il trasferimento dei mufloni presso i rifugi individuati o messi a disposizione dalle due associazioni. Il tutto ad oggi vede la collaborazione del comando generale dei Carabinieri forestali che gestisce anche il trasporto degli animali fino ai centri di recupero degli animalisti. Al netto del dispendio di tempo e di risorse pubbliche (il trasferimento è a carico della collettività a quanto pare) è la fragilità delle istituzioni e la lungaggine a cui sono sottoposte tutte quelle operazioni di routine o comunque altrove applicate con metodi standardizzati, che colpisce maggiormente. Il caso dei mufloni è infatti solo uno dei tanti. Il copione si è ripetuto pari pari con i cervi del Cansiglio, con gli scoiattoli grigi e perfino con le nutrie.
La partita ora si gioca tutta sul fronte cinghiali. Bisognerà mettere da parte questo perbenismo animalista e occuparsi seriamente di un problema che non coinvolge più solo il lato ambientale o le sensibilità umane. La PSA, con le rimostranze portate dagli allevatori e dalle associazioni agricole, ha imposto un veloce cambio di passo, richiesto anche dalle disposizioni europee sull’emergenza. Un cambio di passo che, come sappiamo, tarda a completarsi. Vedremo a settembre, quando i nuovi equilibri istituzionali si riassesteranno. Cinzia Funcis | | | |