Il vecchio aveva fatto una frugale colazione e si era avvicinato alla finestra della villa, gli anni erano passati terribilmente in fretta, le notti ora erano lunghe e spesso insonni, i doloretti sparsi ovunque, ma il dolore più insistente e forte era quello incurabile, era la impossibilità di andare ancora a caccia.
Per questo consumate le sue fette di pane tostato e bevuto il caffè lungo all'americana, si era avvicinato alla finestra che dava sul parco della villa, la brumosa mattina di novembre ormai avanzato, i ritagli di vegetazione ormai spoglia del bosco nei suoi abiti di velluto castano, promettevano le prime beccacce, gli ultimi bellissimi fagiani, qualche colombaccio e forse ancora una scaltra lepre, che la stagione venatoria non si era ancora portata via. La malinconia lo fece desistere, si avvicinò al focolare, riattizzò il fuoco, muovendo i grossi pezzi di legno di pesco sugli alari e finalmente si sedette sul divano a fianco del grande focolare, portando con sé un vecchio numero di Diana, che ormai conosceva quasi a memoria, risalendo alla sua gioventù.
Era incredibile, come quelle riviste del passato lo rinvigorissero, vi trovava forza, passione, letture gradite e immagini bellissime ma soprattutto leggendo sprofondava nella più dolce serenità e una mai placata speranza lo faceva meditare e sorridere tra sè e sè.
Un articolo ben dettagliato e scritto con evidente passione, narrava di una mattinata alla lepre, coi segugi italiani, il vecchio conosceva questa caccia, l'aveva praticata da giovane e l'orecchiona gli aveva sempre dato una emozione fortissima. La ricerca coi segugi parte dalla sonora traccia dei cani sul "buono di pastura", la zona dove la lepre ha pasturato, da qui, prosegue su un tracciato contorto e complicato di va e vieni, che può durare anche ore, fino alla concitata stretta dei cani una volta giunti sul "buono di messa". Il "buono di messa" è il tragitto finale, sul luogo in cui la lepre sta terminando il suo percorso notturno per mettersi al covo. I cani giunti su questo ultimo tratto dell'"usta" lasciata dalla lepre si fanno molto più eccitati. Qualche scagno mette in tensione anche gli altri cani della muta. La lepre, si deve dire, che non va in covo come una suora va al rosario, no, no, affatto. Memore dei pericoli vissuti dalla sua genealogia e forse addirittura trasmessi a lei col corredo cromosomico dei suoi avi, una volta arrivata vicino al covo, la lepre mette in atto due stratagemmi per eludere i cani: il primo è "la doppia" ovvero un tratto rettilineo di solito sul bordo di un fossetto di scolo, lungo alcuni metri, che poi è ripercorso a ritroso lasciando il cane con la sensazione che la lepre sia sparita nel nulla dopo quell'ultimo passo. Essa invece sta arretrando su questi ultimi metri e una volta distanziato a sufficienza il termine dell'usta, compie "i falli", ovvero alcuni lunghi salti a zig zag. Lo stacco dalla pista finale dell'"usta" tramite 3-4 balzi lunghi che la porta a 10/12 metri "fuori", al largo dalla fine della pista seguita dai cani, è il capolavoro naturale che fa perdere le sue tracce.
Il vecchio leggeva con gusto questa tecnica venatoria e pensava alla sua Lilla, una segugia italiana a pelo corto, color senape di taglia piccola, con lunghe orecchie ed un musetto aguzzo sul quale brillano due gemme nere degli occhi ed il tartufo umido, che aveva ancora ma non portava più a caccia da alcuni anni.
Stava meditando sulla lettura e su una bella immagine di Lemmi, quando avvertì uno sparo, un colpo secco e non troppo lontano dalla casa.
Aveva sentito il nipote Alberto al mattino uscire a caccia, probabile che fosse lui ad aver sparato ad una distanza così breve dall'abitazione.
Riprese la sua lettura, sorseggiando un tè caldo al limone, quando gli occhi casualmente caduti sulla fuciliera, vi trovarono un posto vuoto.
Mancava il suo vecchio automatico Beretta A300.
Quello che provava era un misto di piacere e rabbia, il suo fucile era stato preso chiaramente da Alberto, che però non lo aveva chiesto; del resto se era uscito presto, poco prima dell'alba non sarebbe stato educato nello svegliare il suo avo.
Era in meditazione su questi fatti, quando Alberto irruppe nella sala, vestito da caccia, elegante, bello, sorridente, con gli stivali di pelle, ed un completo di pantaloni e giacca di fustagno color marrone castagna, si trattava di un completo Belfe del vecchio, il suo preferito, preso ormai da decenni, di qualità sartoriale eccellente e fortissimo nella tenuta dei tessuti. Alberto aveva in spalla il vecchio A300 Beretta, teneva la vecchia Lilla al guinzaglio e reggeva nella sinistra un leprone enorme dalla pancia candida, che a giudicare dalla elasticità e sinuosità delle forme era stato abbattuto solo da qualche minuto.
Alberto era raggiante. Si avvicinò al nonno, gli mostrò la lepre, mentre la vecchia segugina italiana si era sdraiata davanti ai suoi piedi per riscuotere la sua parte di gloria.
Il vecchio non era sorpreso e lisciava con una mano la schiena della bellissima lepre e con l'altra mano la testa della sua brava segugia, che raccoglieva amorosamente ogni coccola.
Alberto con la voce un poco rotta, si rivolse al nonno e gli disse che aveva preso il suo vecchio fucile e le sue cartucce preferite; lo disse mentre estraeva dalla tasca una manciata di vecchie super corazzate di MB Tricolor di cartone verde con orlo tondo e dischetto in sughero naturale, guardò di nuovo il nonno e disse: -" Nonno spero non ti sia dispiaciuto che abbia fatto vivere una ennesima emozione al tuo vecchio automatico Beretta, tu lo hai amato tanto ed io lo adoro!"- poi riprese - "le cartucce sono eccezionali, leggendarie, come mi hai sempre raccontato tu, è stato un tiro lungo, un colpo secco, la lepre è ruzzolata sotto i platani in fondo al parco, niente sangue, sembrava addormentata!"-.
Il vecchio si alzò dal divano, prese dalle mani del nipote il suo vecchio automatico e gli venne istintivo di imbracciare puntando fuori dalla finestra, lo abbassò subito sorridendo, - "Mi viene ancora perfettamente"! - disse, poi guardò le cartucce di MB ed annusò il bossolo sparato, il profumo fragrante ne inebriò i sensi, come sempre, come allora, sorrise e si emozionò, raccomandò ad Alberto di dare all'arma una sommaria pulita, quindi anche per nascondere la sua emozione si chinò lentamente ad accarezzare la Lilla, che prontamente si mise a quattro zampe in aria a raccogliere quelle dolcissime coccole; il vecchio accarezzava quella sua creatura bravissima e fedele, con gusto e un profondo sentimento di affetto, ma la sua mente era ora sull'arato, sul buono di messa della lepre; i suoi occhi seguivano stregati la Lilla, la cui coda pareva impazzita e la voce acuta di tanto in tanto dava sfogo alla sua fortissima tensione, ... nessuna altra cosa, lo poteva distrarre, anche la voce di Alberto arrivava ovattata, ... e dalle zolle schizzò davanti a lui e Lilla una grossa orecchiona!
Gianluca Garolini
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