A che serve limitare la caccia se il problema principale non viene risolto? E' una domanda alla quale non è neanche difficile rispondere. Non serve a niente, infatti. Ma allora perchè non solo in Italia, ormai, ma soprattutto qui nel nostro paese, continuano a tartassarci?
Non c'è una sola risposta. Purtroppo. E tutto congiura contro l'anello più debole della catena, che siamo noi: i cacciatori. Non sarebbe male, tuttavia, cominciare a mandare a memoria delle risposte, che potrebbero essere utilizzate tutte le volte che ci capita, nei più o meno estesi ambiti delle nostre relazioni e nella diffusa attività di comunicazione che i social hanno ampliato a dismisura. Risposte semplici, secche, chiare.
La prima: continuano a tartassarci perchè ci sono organizzazioni ben più potenti delle nostre (peraltro divise e litigiose) che pesano di più sullo scacchiere della vita. Quali? Ovvio: tutte quelle che spandono veleni, dall'industria all'agricoltura; quelle che, in singolo o in gruppi organizzati, puntano alla speculazione fondiaria. O quelle che rappresentano grandi interessi industriali e commerciali.
La seconda, destinata ad aumentare, forse anche più potente della prima: ci tartassano perchè nell'opinione pubblica pesa di più la cultura metropolitana (di tendenza animalista) rispetto alla nostra tipica della provincia (rurale). Anche in Italia il numero degli abitanti delle città ha superato da tempo quello dei residenti in campagna.
Ed ecco la terza risposta, che è conseguente alla seconda: perchè gli abitanti delle città, tendenzialmente animalisti, sono più capaci di noi a fare comunicazione, e attraverso associazioni ben organizzate ottengono ascolto presso TV giornali e piattoforme web, in mano a grandi gruppi finanziari che hanno interessi d'altro genere, rispetto alla conservazione della natura.
La quarta: perchè il popolo inquinato (ovviamente residente nelle metropoli) appena può scappa dalle città e si rifugia in campagna, dove pretende che il campanaro leghi le campane, che le massaie strozzino i galli che cantano prima dell'alba, che i cacciatori non facciano rumore.
La quinta, sicuramente determinante: perchè negli ultimi cinquant'anni anche l'agricoltura si è profondamente trasformata, diventando intensiva, utilizzando pesticidi in dosi sempre più massicce, sconvolgendo gli equilibri cosiddetti naturali. Con conseguenze sotto gli occhi di tutti: flora e fauna selvatica sono pressochè scomparsi da questi deserti di biodiversità. Mentre l'Appennino e la montagna in genere, terre diseconomiche, sono stati abbandonati a sè stessi, in alcuni casi favorendo lo sviluppo incontrollato di specie opportuniste.
La sesta risposta ne è diretto corollario, frutto della filosofia di cui sopra: perchè le aree protette, nate e cresciute sotto spinte demagogiche, hanno favorito l'acuirsi degli squilibri. Sono il rifugio di quelle specie opportuniste e predatorie che la pelosa pietà animalista impedisce di tenere sotto controllo.
Le successive risposte, la settima, l'ottava, la decima, l'ennesima le lascio a voi, perchè altrimenti - come si dice - ci farei buio. Mi preme tuttavia concludere dicendo che se non ci diamo da fare, lasciando perdere per un po' le beghe interne, gli obiettivi spiccioli, piano piano ci dovremo organizzare come Geronimo, Cochise, Cavallo Pazzo, per evitare che ci confinino in una qualche riserva, sotto stretta sorveglianza. E questa non mi pare una buona cosa. No, non mi pare proprio!
Alfredo Mazzotta
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