Ciascuno di noi ha il suo ancoraggio culturale. Non ho la presunzione di giudicare quello degli altri ma consentitemi di rivendicare il mio, proprio oggi che i giornali ci annunciano "urbi et orbi" la nascita dell'uovo vegano e la sua imminente commercializzazione. Gli esperti, non io, potrebbero discutere della sua composizione chimica e probabilmente anche fare delle osservazioni sul fronte salutista. A me interessa meno tutto questo, semmai sono mosso dal desiderio di raccontare perché non condivido questa deriva. Ho vissuto nel contesto di una famiglia dalle forti radici rurali. I miei avi, a cominciare dai miei nonni, hanno sempre coltivato la terra. Prima da braccianti agricoli e poi da mezzadri. Coltivare la terra era una necessità di vita ma io i loro occhi e le loro fatiche le ho viste da vicino. I volti e le mani erano segnate eppure il loro lavoro lo facevano con amore, momento dopo momento, stagione dopo stagione.
Anche durante periodi duri, tanto che si trasferirono dalle Marche nelle campagne romane per trovare nuove opportunità. I giovani figli, tra questi mio padre e mia madre, non tutti però, scelsero altre strade ma questo non impediva di ritrovarsi in alcuni momenti per dare quel contributo che serviva. La trebbiatura, la raccolta delle olive, la macellazione dei maiali. Ma anche qualche domenica di festa per riunire la famiglia. E sapete che cosa si riportava a casa da quelle giornate in allegria? Una pagnotta di pane, una bottiglia di latte appena munto e una dozzina di uova. Eh si proprio quelle uova che ora l'industria aiutata dalla chimica vorrebbe sostituire. Quelle uova, più di altro, significavano territorio e vita. Averne nella dispensa significava fare i dolci per la colazione, impanare verdure e carni, preparare quadrucci per un buon brodo di gallina e faraona e rotoli di fettuccine da annegare nel ragù buono dei giorni migliori.
Con mia nonna ho raccolto molte volte quelle uova nel grande pollaio ed ogni volta vivevo quel momento con grande serenità ed euforia. Quelle uova rappresentano la campagna, la sua forza, la sua bellezza, la sua tensione morale. In campagna si conosce molto bene il ciclo della vita dove è ben presente, anche per gli animali, la vita e la morte. La campagna non è un'arena dove si sfidano dei gladiatori assetati di sangue ma il teatro di un sogno che diventa realtà per una comunità molto più larga. Quei coltivatori ci hanno insegnato ad avere rispetto per la terra, a non abbandonarla mai, a conservarne i valori che ci trasmette, a poter godere, con moderazione, di grandi eccellenze eno-gastronomiche, ad apprezzarne il valore economico. Anzi quei coltivatori si sono dovuti difendere dalle crociate degli altri e mantengono tuttora il paesaggio più bello del mondo da chi lo assale ogni giorno distruggendolo in nome di una falsa modernità.
Ecco perché difendo l'uovo di mia nonna e sono orgoglioso del fatto che nella mia famiglia la generazione successiva alla mia ha deciso di proseguire una lunga tradizione. Ed ecco perché mi auguro che si alzi una barriera di civiltà e di buon senso da parte di una moltitudine di persone animate da saggezza e responsabilità.
Marco Ciarafoni
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