Conosco Giovanni Franceschi da un sacco di tempo. Conosco le sue passioni, le sue competenze, la sua signorile disponibilità nei confronti di chi ama, come noi, la caccia, la pesca, la buona tavola, le belle cose del tempo andato e quelle, ormai rare, del tempo presente. Un uomo, Giovanni Franceschi, noto anche come Giovanni del Cecchini, che era il nonno materno, dalle tante vite. Insegnante di scienze dell'alimentazione alla scuola alberghiera di Montecatini Terme, norcino provetto, navigato gourmet, allevatore di fagiani, pescatore e cacciatore, abile "padulino", scrittore. Anni fa, ormai, abbiamo fatto anche cose insieme: un libriccino ("Domani s'Ammazza il Maiale. Ovvero Del Norcino e d'Altre Meraviglie"), una serie di "laboratori" gastronomici (al Game Fair) a base di folaghe, alzavole, e selvaggina varia, la complicità nell'organizzare conferenze e dibattiti su argomenti a sostegno di una cultura della tavola su cui oggi è opportuno insistere. Sono anche uno di quei pochi (eletti?) che - ante covid - ha fatto parte di quei semplici ma sontuosi incontri conviviali nel suo piccolo antro delle meraviglie, che raccoglie vestigia del passato intorno a una cucina, un focolare, una tavola (tutto insieme) dove fra un boccone e l'altro (oggi si direbbe "degustazione") di prelibatezze si strologa del tempo, della caccia, della pesca, delle miserie di un presente mercificato che nasconde quel consumismo tecnocratico in cui è avviluppato il mondo.
Giorni fa, ero presente a quella specie di apoteosi di un mondo - quello che girava intorno al padule di Fucecchio - di cui oggi restano brandelli di memorie nel cuore di pochi che ne vissero gli ultimi fuochi o ne sentirono parlare "intorno al fuoco". Dopo qualche anno di gestazione, col contributo prezioso di una storica delle tradizioni locali, Maria Coletta Quiriconi, in una affollatissima "Dogana" addobbata appositamente dal Comune di Ponte Buggianese, il Franceschi del Cecchini ha presentato la sua ultima fatica, il cui titolo - "Il gioco del chiaro. Cento anni nel padule di Fucecchio". Edizioni dell'Erba - dà un'idea dei contenuti. Un libro possente, che attraverso gli occhi di due "sopravvissuti" (anche la Quiriconi è nata "a gronda di padule", nell'Anchione) descrive il passaggio dall'età arcaica all'età cosiddetta moderna di quei luoghi. Non erano tutte rose e fiori, prima, anzi; ma non sono assolutamente rose e fiori oggi, per quell'area palustre. Soprattutto il Franceschi, nella sua presentazione - più un'orazione che una filippica - ha sinteticamente descritto i mali che oggi affliggono queste acque preziose, peraltro tutelate dalla Convenzione di Ramsaar. Errori favoriti dai mutamenti sociali avvenuti dopo l'ultima guerra, ma frutto anche di quel pernicioso ambientalismo salottiero che ha preso nel frattempo il sopravvento su tutto. Alcuni esempi: il bene più prezioso di un ambiente impropriamente definito naturale è quello che oggi si chiama biodiversità. Di questa ricca biodiversità del padule, fino a due-tre generazioni fa, facevano parte anche i ranocchi. Tanto che a Ponte Buggianese tutti ricordano la sagra ad essi dedicata. Mancavano invece gli ardeidi stanziali, fino a quando si costituì "naturalmente" la prima garzaia, salutata con meraviglia. Solo che, a poco a poco, ci si accorse che questi aironi erano lì tutto l'anno perchè il rancio - i ranocchi - era ottimo e abbondante, come già sapevano da secoli le popolazioni rivierasche che ne avevano fatto una specialità culinaria. Altra storia, quella del gambero della Luisiana, immesso da un allevatore in acque toscane negli anni settanta e poi diffusosi ovunque a discapito di un equilibrio "naturale" che si era sedimentato nei secoli. Conseguenza: a poco a poco, causa la voracità di questa specie aliena che ha impestato l'Italia e di cui oggi s'implora l'eradicazione, nel padule di Fucecchio è scomparsa gran parte delle specie ittiche, ma anche indispensabili specie vegetali acquatiche utili alla presenza di avifauna che a me piace ancora definire selvaggina, anatre e rallidi in particolare, ma non solo.
A ciò si è aggiunta, purtroppo, questa sorta di ambientalismo che supportato con risorse pubbliche ha acquisito le caratteristiche di una realtà immaginifica (sono arrivati, per esempio i fenicotteri, l'ibis...), senza tener conto dei danni incalcolabili incassati dall'insieme del territorio e dalla gente che ancora tiene e forse rimpiange un passato fatto di sofferenze ma anche di tanta bellezza.
C'è ancora speranza? Secondo il Franceschi non ce n'è, convinto comunque, lui più che ottuagenario, che non riuscirà a vederne cambiamenti percepibili nel breve periodo. Tuttavia, la presenza e l'attenzione di quel pubblico, la passione con la quale si è tenuto il dibattito conseguente, a mio parere fanno pensare che non tutto è perduto.
In bocca al lupo a tutti
Giuliano Incerpi
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