Non sono Cicerone e non mi rivolgo a Catilina (Catilinarie: Quo usque tandem abutere patientia nostra? Fino a quando abuserete della nostra pazienza?) ma alle associazioni venatorie e ai loro dirigenti, piccoli e grandi, di ogni ordine, grado e collocazione. E anche ai politici locali e nazionali che ne favoriscono i dissidi. Fin dai tempi di Menenio Agrippa (quasi cinque secoli prima di Cicerone), tanto per reiterare il richiamo agli antichi fasti, sappiamo tutti che è molto più produttivo stare uniti e che "l'unione fa la forza". Allora perchè ancora tutte queste divisioni?
La cosiddetta Cabina di Regia batte un colpo, raramente, solo quando i buoi sono scappati dalla stalla (come si vede, sono in vena di vecchi modi di dire). Mentre invece ci sarebbe bisogno di un approccio diverso, che anticipasse i fatti, che proponesse soluzioni, sulla base di idee nuove. Che poi nuove non sono, se come andiamo tutti dicendo da tempo immemorabile il cacciatore è il primo "guardiano" dell'ambiente. Ed è vero: basta andare in campagna, in montagna, in padule, tutti i giorni dell'anno (non solo nei weekend e non solo nei periodi delle vacanze) e verificare chi c'è che a tutte le ore del giorno vigila e si impegna. Fa specie che in questa disgraziata stagione di incendiari, nessun organo di stampa abbia fatto cenno alle migliaia di cacciatori che si sono adoperati insieme alla protezione civile e ai pompieri per contrastare le centinaia di roghi. Rasenta il ridicolo l'ostracismo della grande stampa e delle centrali televisive e informatiche nei confronti dei tanti meriti dei cacciatori, mentre si esalta qualsiasi pisciatina degli animalisti-ambientalisti.
A parer mio, è giunto il momento di opporsi, anche in casa nostra, a certe politiche divisive, dannose tanto all'immagine della categoria quanto alla caccia in sè, alle sue antiche tradizioni, ai suoi sedimentati codici di comportamento: onore, rispetto, onestà.
Abbiamo una classe dirigente inadeguata? Non facciamo strame di tutto. Sicuramente ci sarà, di sicuro c'è, qualcuno che guarda un po' più lontano del suo naso. Il nostro orizzonte si è allargato, il mondo si è rimpicciolito fino ad assumere la dimensione di poco più che un villaggio. Facciamo parte dell'Europa. E' sciocco pensare di ritornare a dimensioni nazionali; semmai si può sperare di migliorarne il funzionamento, dell'Unione Europea. Per la caccia, è là che si decide. Non per il cinghiale, ma di sicuro per quelle cacce che più ci stanno a cuore. Che riguardano soprattutto le specie migratorie, per diverse delle quali ci dovremo adoperare noi, cacciatori, se vogliamo che gli ambienti a loro più congeniali possano avere una prospettiva. Se non lo faremo, il loro futuro è a rischio e anche le nostre cacce. Per questo, a Bruxelles non bastano i nostri rappresentanti politici, non basta il precario presidio dei cosiddetti portatori d'interesse, non basta quel poco di associazionismo italiano che a fatica ci rappresenta. Dobbiamo lavorare di più, di qua e di là dei nostri confini. Nei nostri collegi elettorali, con i nostri sindaci, i nostri assessori, i nostri governatori. E i nostri dirigenti, ovviamente. Che alzino le chiappe, che si facciano sentire. Ma che abbiano un canovaccio comune di richieste. Un'idea di caccia moderna, ma radicata nelle nostre tradizioni. Cosa difficile, ovviamente. Non bastano proclami. Occorrono dati tecnici e scientifici, alleanze, una visione di prospettiva, preparazione, accortezza, doti diplomatiche, cultura. Cultura. E se non ce n'è, se non abbiamo sufficienti soggetti adeguati all'impresa, li dobbiamo formare. Non è una cosa che si fa dall'oggi al domani. Ci vuole tempo. Per questo occorre unità, per questo serve coesione, per questo abbiamo bisogno di rinnovare le nostre idee e ripensare i nostri obbiettivi.
Ci riusciremo? Non lo so. Io spero di si.
Simone Clemente
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