C'è un gran viavai intorno a quell'osso che è la partita green della New Generation EU, alias Recovery Fund. 80 miliardi di Euro non sono davvero bruscolini. Si è autoriesumato anche quel Bonelli coordinatore dei Verdi italiani, che non potendo mettere a disposizione le truppe cammellate, non è più riuscito neanche a far votare una sua lista in parlamento (e Rossella Muroni, eletta con LEU, si è spostata verso i verdi Europei), ha offerto in dote il simbolo ai tanti che sulla spinta del Grillo/Draghi si stanno riposizionando proprio sui verdi eurotedeschi, di ben altra consistenza (il 9% al Bundestag, oltre il 20% a Bruxelles), di ben altri programmi. E allora, il sindaco di Milano Sala - più accorto - ha fatto la prima mossa, perchè dei grunen apprezza la concretezza. La stessa Muroni, appunto, l'ha seguito a ruota e altri, compreso qualche transfuga dei cinquestelle, stanno sgomitando per non essere da meno. Difficile dar loro torto, con quel popodiosso che Draghi con molta probabilità riuscirà a portare a casa per riversarlo sul territorio, con l'intenzione di ripensare le città, l'industria, l'agricoltura, le comunicazioni.
Ovviamente quei signori dello zerovirgola, che ancora oggi ricevono prebende dallo stato, in parte direttamente (e questo è già un caso che può confinarci alla neuro) e in parte grazie ai tanti rivoli di pecunia che passano attraverso le cosiddette associazioni ambientaliste oggi sempre più animaliste, foraggiate da ministeri e regioni, e pensano di riappropriarsi anche della politica di casa nostra, rilanciando le vecchie battaglie con le quali non sono riusciti a cavare un ragno da un buco - ecoballe e terra dei fuochi sono lì a imperitura memoria del loro fallimento - ma per le quali sono riusciti a far parlare di sé, cavalcando triti argomenti come la caccia e le culture che alla caccia tradizionalmente si collegano.
Ecco, su questo inverecondo scenario, viene spontaneo esprimere più di un semplice dubbio rispetto a dove finiranno tutti quei soldi e quali vantaggi ne potremo trarre come cittadini e cacciatori, sicuramente più legati al nostro patrimonio naturale di tanti sedicenti tutori di quella biodiversità di cui si riempiono la bocca.
Pertanto, penso e auspico che quelli come me, campagnoli nell'anima, si diano da fare per controllare il buon utilizzo di quegli ottanta, ripeto ottanta, miliardi di Euro.
Ormai sono chiare le priorità, le hanno stabilite prima di tutto in Europa, prima col piano d'azione del Green Deal, poi col New Generation EU. E i nostri rappresentanti a Bruxelles, la tanto da noi negletta FACE, Federazione delle Associazioni dei Cacciatori d'Europa, l'hanno proprio recentemente ribadito con una chiarezza tanto limpida quanto allarmante nella sua semplicità. La caccia, noi lo sappiamo da sempre, è assolutamente ininfluente sulla consistenza della biodiversità. Quindi, nel mentre dovremo sempre ricordarlo come premessa, il nostro compito dovrà essere quello di controllare che i cosiddetti poteri forti, politici, amministratori, correnti di pensiero verde, si adoperino per riaddrizzare la nostra barca italiana, che fa acqua da tutte le parti. E non solo perché da un anno siamo sotto attacco pandemia.
Le priorità, dunque. Semplice metterle in riga.
Il primo e più importante settore da tenere d'occhio è l'agricoltura. L'impatto a livello europeo è del 50%. Mi spiace dirlo, perché gli agricoltori sono coloro che dovrebbero conservare anche i territori di caccia, ma certe pratiche di tipo industriale non sono certo un toccasana per conservare la biodiversità, e la nostra salute. Anche se, da noi, le cose vanno meno peggio che altrove. Grazie purtroppo al fatto che nell'ultimo secolo abbiamo abbandonato a se stessa gra parte della montagna. Segue l'industria, indispensabile per mantenere i nostri standard, ma da ripensare. Sia agricoltura che industria così come sono comportano inquinamento grave di aria terra e acqua, perdita di aree verdi, preoccupante cambiamento del clima.
Del resto, per tornare alle nostre campagne, lo diciamo da sempre quando ci sbattiamo per far capire cosa è scritto chiaramente nella Direttiva Uccelli, ma anche nella Natura Duemila: la salvaguardia del nostro patrimonio faunistico - pregiato, aggiungerei io - dipende da territori sani, ben gestiti. Fatto sempre più raro dalle nostre parti, da quando per mettersi a posto con la coscienza i nostri governanti, e certi loro lacchè ambientalisti, hanno adottato quel perbenismo "politicamente corretto", che fra le tante amenità ha partorito la legge sui parchi, che mira a tutelare (soprattutto dalla presenza dei cacciatori) una piccola parte del territorio e lascia il resto della cosiddetta SAU (Superficie Agraria Utile) senza soverchi vincoli. Tranne che - ciliegina sulla torta della 157/92 - proibirvi appunto l'attività venatoria sul 20-30% del territorio. E questo è più o meno quanto le fervide menti dei nostri ambientalisti hanno saputo ottenere.
Oggi e per i prossimi anni, ci sarebbe questa ghiotta opportunità, che ci potrebbe permettere di dare un senso alle tante occasioni perse. Dalle prime mosse dei "nostri", da quando l'Europa ha ventilato questa ipotesi e soprattutto oggi che questa maledetta pandemia ha allentato a dismisura i cordoni della borsa, mi auguro soltanto che i controlli esterni siano più attenti di quelli interni. Perché altrimenti, invece di assistere finalmente a un recupero degli habitat naturali, vero toccasana per la nostra selvaggina, ci troveremo di fronte alla solita mistificazione della realtà e forse alla perdita dell'ultima occasione.
La caccia e i cacciatori, le nostre organizzazioni possono fare molto. Rimbocchiamoci le maniche, dimostriamo di essere noi i primi interessati alla rivoluzione verde.
Vito Rubini