Bella è la caccia in tutte le sue forme. Da migratorista convinto, devo riconoscere però che non c'è caccia che non abbia il suo fascino. Soprattutto se la si considera nel suo contesto culturale e sociale. Arte, cultura, storia fanno da testimone a quello che dico. Pagine, migliaia e migliaia di pagine di letteratura, tante storie, ci hanno tramandato il nostro essere uomini prima ancora che cacciatori. Grazie alla caccia, appunto.
I mezzi e gli strumenti di caccia, nella loro evoluzione, dalle trappole alla doppietta, hanno segnato il progresso dell'uomo, ma lo spirito della caccia, la passione profonda per questo rito ancestrale sono rimasti immutati dentro di noi. Solo una società alienante come questa contemporanea sta inculcando in certe menti malate un'avversione di cui l'umanità stessa dovrà temere per il suo futuro di specie.
Ma torniamo alla caccia. A quella che su e giù per lo stivale prova a dare colore a questi giorni drammatici, segnati anche da lutti gravi nelle nostre schiere. Diverse sono le nostre comunità. Diverse le forme di caccia. Al sud prevale la migratoria, al centro si vivono realtà variegate, fra migratoria e stanziale piccola e grande, stessa cosa fra gli Appennini e le Alpi, con qualche differenza da est a ovest. E sulle Alpi...
Sulle Alpi, piccole o grandi cacce che siano, si respira un'altra aria. Diversa. La maestosità di quelle montagne rende tutto più ricco di significati. Intanto per le difficoltà. Per giungervi, per viverci, per praticarvi la caccia. Poi, per una tradizione che mutua certe regole da terre vicine, ricche di storie e di cacce anche diverse dalle nostre. La selvaggina stessa, storicamente, è in parte diversa. Comprese certe presenze alate di migratori, che di rado si affacciano nelle valli giù giù fino alla vista, o quasi, delle... Piramidi.
Tutto questo, nel tempo, dalla seconda metà del secolo scorso ha un punto di riferimento ormai immutabile, direi monumentale: l'UNCZA, nata come settoriale della Federcaccia e cresciuta - eccome se cresciuta - grazie ai propri uomini, alla ricchezza del patrimonio faunistico che ha saputo gestire e proteggere, grazie a un modello che custodisce gelosamente. Ne fanno fede le indagini e i censimenti che oggettivano i risultati, pur nel chiaroscuro delle modifiche ambientali e sociali intervenute anche nelle comunità alpine.
Per questo, nelle tre macroregioni, mentre si consolida un trend in crescita per camoscio, cervo e capriolo, per la piccola stanziale, coturnice, forcello, pernice bianca e lepre variabile, il quadro è più variegato, in dipendenza anche degli avvenuti (o non avvenuti) recuperi ambientali. In ogni caso, l'impegno, l'approccio tecnico scientifico, gli scambi culturali interfrontalieri, le rassegne, le collaborazioni con Ispra e FEM, la sintonia con le comunità locali denotano passione e lungimiranza, amore per la propria terra, pacata modernità. L'auspicio che se ne può trarre è che sistemi e metodi, ormai ultradecennali, dei nostri colleghi alpini possano riverberare la necessaria consapevolezza anche più a sud, per tutto il nostro paese. Un'espressione corale che dia nuovo impulso a questa nostra "civiltà della caccia", sempre più impegnata non solo a prelevare ma anche a gestire, attraverso una maggiore conoscenza. Da qui, un amabile invito a fare tesoro delle ultime fatiche dei cacciatori alpini, espresse con la pubblicazione "Ungulati e tipica alpina - Presenze, gestione e ricerca sulle Alpi" . Studi e ricerche 2, che raccoglie i dati della Commissione Tecnica Ungulati UNCZA, accompagnati da preziose riflessioni per tutti. "L'innovazione del ruolo sociale, culturale e ambientale del cacciatore - scrive a chiusura di questo lavoro il presidente della Commissione tecnica Ungulati Uncza, Luca Pelliccioli - dovrà seguire nei prossimi decenni due vie. Da un lato la crescita delle competenze e la loro messa in rete con altre esperienze nazionali e internazionali. Dall'altro la diffusione del proprio valore e ruolo nella conservazione della biodiversità e nella riqualificazione ambientale sviluppando campagne di awareness raising (sensibilizzazione) interne e specifiche per la società. Attraverso la piena consapevolezza del suo ruolo nell'attuale società, peraltro sancito anche dalla normativa europea, il mondo venatorio potrà porsi nei prossimi anni come figura contemporanea e gestore dell'ambiente".
Una sfida, non c'è dubbio, a dir poco impegnativa, che potrà essere vinta se saremo capaci di tradurre simili processi - ma non siamo all'anno zero - nelle diverse realtà delle nostre convalli più a sud, senza dimenticare il capitolo migratoria. Che resta il patrimonio più significativo della nostra cultura venatoria.
Paolo Barbieri