Non c'è dubbio che con l'arrivo del cinema, il mondo è cambiato. Dalla fine dell'Ottocento a oggi il grande schermo ha modificato le nostre abitudini, la nostra vita, i nostri sogni, che spesso attraverso apparati sempre più tecnologici siamo stati portati a credere che potessero diventare realtà. Ha ispirato anche la moda, il nostro modo di pensare, influenzando le masse, ponendo un'ipoteca pesante anche sulla verità.
Tanto per non andare lontano, per la caccia, insomma, a proposito di realtà ci troviamo spesso a denunciarne lo stravolgimento, attribuendone cause e colpe alla visione disneyana che da quasi un secolo prevale nell'opinione corrente quando si affronta l'argomento del rapporto fra animali e uomo. Oggi, poi, con il cinema d'animazione sempre più oppressivo, non c'è specie selvatica o domestica che non parla, non piange, non ride, non fa malestri come se fosse un (ridicolo) essere umano. Non è una questione di poco conto, tanto che se non corriamo ai ripari, ci ritroveremo assediati da torme di conterranei che ci contesteranno di attentare alla vita di Duffy Duck, Willy il Coyote, Bunny.
Disney, si diceva, Mr. Walt Disney. Il discusso personaggio, inventore di Topolino e Paperino, che sembra che da giovane andasse anche a caccia. E che poi, dopo aver messo lo schioppo in mano al topo saccente e al papero più famoso e più sfortunato del mondo, segnò una svolta radicale nell'immaginario collettivo di generazioni, sfornando quella lamentosa storia di Bambi. Pur producendo in contemporanea o quasi anche le serie Davy Crockett e Daniel Boone, dove gli eroi erano cacciatori.
Da queste vicende cinematografiche prende spunto un giornalista americano, James A. Swan che scrive di argomenti ambientalisti anche sul National Geografic, per affrontare il tema. O meglio, il problema dell'influenza del cinema sull'idea che i contemporanei si sono fatta della caccia.
Una volta - dice Swan - sul grande e sul piccolo schermo i cacciatori erano degli eroi, dei modelli, oggi molto spesso sono raffigurati come cattivi, sanguinari, idioti. Chiave di volta del nuovo concetto, il film di Jean Jacques Annaud - The Bear, L'Orso, una pellicola per bambini - dove un maschio di grizzly ferito durante una battuta di caccia, si confronta a più riprese con cacciatori e cani, adotta un cucciolo di orso, orfano di madre, e alla fine, non più inseguito, per riconoscenza salva dalle grinfie di un puma il giovane cacciatore che lo aveva ferito. E tutti vissero felici e contenti. Una storia dolciastra che tradisce la realtà. Il grizzly non ha sentimenti umani - sentenzia Swan - difficile che possa essere altruista, e spesso i maschi divorano i cuccioli, senza sentirsi in colpa. E - conclude - i cacciatori non sono persone malvagie.
Come si diceva, con l'avvento delle nuove tecnologie di animazione al computer, sono arrivati tantissimi animali parlanti. Con pellicole di basso (esempio: Babe) e alto profilo, come "Watership down", "La collina dei conigli", che Swan considera ecologicamente e biologicamente accurato. Ne segue una serie di film per ragazzi (Jumanji, Shiloh, Bless the beast and the children), dove il cacciatore quando va bene è uno sbadato, mentre invece nella maggior parte dei casi gli oppositori della caccia sono eroi, concetto che fa il paio con l'opinione sempre più corrente di chi considera sbagliata una corretta gestione degli equilibri faunistici.
Più variegata la realtà nel cinema per adulti. Nel classico "Il cacciatore", un gruppo di reduci dal Vietnam scopre che sparare ai cervi fa emergere inquietanti sensi di colpa. Numerosi film - dice ancora Swan - cominciano con persone che vanno a caccia di animali e , come in Caccia Fatale (1932), in Senza Tregua, in Huntars Blood, per esempio, finiscono per cacciare altre persone. Un abbinamento errato e soprattutto piuttosto pericoloso.
In altri contesti, un idea di caccia snob, abbinata ad ambienti conservatori, aristocratici, è stata proposta a più riprese per esempio in pellicole come "The Shooting Party" (Battuta di Caccia - 1984), "The Rules of Game" (La regola del Gioco - 1939), "Shalako" (1968), "The List of Adrian Messenger (I Cinque Volti dell'Asssassino - 1963), "A Handfull Dust" (Il Matrimonio di Lady Brenda -1988): sullo sfondo di complesse battute di caccia, dove avvengono omicidi, crudeltà, sadismo, i cacciatori sono rappresentati come brutti, antisportivi, brutali e a volte sadici. Colpo dopo colpo, l'immagine del cacciatore subisce ripetuti tentativi di messa al bando.
Unica significativa eccezione, o quasi, la si scopre in quel grande affresco dell'alta società anglosassone, "Gosford Park", diretto da Robert Altman, dove tutto gira intorno a una ottimamamente rappresentato fine settimana di caccia nella tenuta di un Lord. Qui, il regista non cerca assolutamente di far sembrare crudeli i cacciatori, anche se si capisce che alcuni personaggi particapano alla battuta solo per ottenere soldi dal vecchio e ricco padrone di casa. Per contro, "The Naked Prey" (La Preda Nuda, film del 1966 diretto da Cornell Wilde), dà vita al sogno di un attivista per i diritti degli animali. In uno scenario di svolta del 20° secolo, i nativi africani perseguono un white hunter come fosse un animale, e massacrano addirittura il suo cliente che presumibilmente viene anche mangiato. E in "Powder" (1995), un essere dotato di poteri paranormali guarisce un cervo ucciso da un cacciatore, considerato alla stregua di un criminale; o in "Scream" (Chi Urla Muore - 1997) che mette di gli spettatori di fronte a una serie di vittime sventrate: ai sospetti interrogati dagli investigatori viene chiesto se amano la caccia, per il solo fatto che ai cacciatori piace sventrare la preda. Quando sappiamo tutti che quest'operazione serve esclusivamente per non infettare le carni.
Insomma, una lunga serie di pellicole che attribuiscono ai cacciatori le patologie psicanalitiche le più varie, dalla depressione all'impotenza e a infinite ossessioni, in contrappunto con protagonisti dall'animo ambientalista: un film fra tutti "Grey Owl" (1999), diretto dall'ambientalista David Attemborough e interpretato da Pierce Brosnan, uno dei tanti 007, racconta la storia di un importante naturalista canadese dei primi del Novecento, Archibald Stansfield Belaney, che si scopre però imbroglione, che mistificando le sue origini dando a bere che, da meticcio, era stato cresciuto da una tribù dei Chippewa, con una descrizione ben lontana dalla saggezza di queste popolazioni, per accattivarsi la benevolenza dei bianchi e rappresentare una fasulla realtà ecologista. Un film comunque che è stato un fallimento finanziario, apparso in poche sale e relegato presto nei canali televisivi. Disprezzato dal pubblico, anche perchè dai contenuti fasulli: oggi - a distanza di più di un secolo dalla vicenda narrata - i castori sopravvivono grazie all'industria delle pellicce, e gli indiani mettono trappole, fanno le guide, cacciano.
"Eppure, se Hollywood volesse - sentenzia Swan - potrebbe investire meglio i suoi soldi in figure di cacciatori appassionati come Theodor Roosvelt (bellissima la storia ambientata in Africa da Wilbur Smith, Il Destino del Cacciatore, edito nello stesso anno) o Glifford Pinchot, grande dirigente forestale della stessa epoca, che dettero vita al movimento conservazionista americano, molto più prezioso sia per gli animali sia per gli uomini. Facile per la Fabbrica dei Sogni descrivere i cacciatori come stupidi o criminali - conclude il divulgatore ambientalista americano - ma non è così nella vita reale. Sono numerosi gli esempi di cacciatori illuminati, che si impegnano per esempio per la difesa degli elefanti, come sono sotto gli occhi di tutti i disastri provocati dall'enorme proliferazione di popolazioni animali non più controllate, come i cervi, o come le oche delle nevi che distruggono gli habitat della Baia di Hudson, a discapito anche di altre specie che là vi nidificano".
"Chi finanzierà - arriva a chiedersi - un film che possa ottenere lo stesso benefico effetto da quella splendida pellicola - In mezzo Scorre il Fiume di Robert Redford - che ha riscattato la pesca?".
Ce lo dobbiamo chiedere anche noi, in Europa, in Italia, dove pure i riferimenti di dubbio gusto si sprecano. Chissà se questa crisi epocale che ci sta ancora facendo soffrire, non faccia rinsavire i nostri governanti, i nostri intellettuali malati anch'essi di buonismo "political correctness", i nostri falsi ambientalisti?
Chi vivrà vedrà!
Antonio Rocca