Non c’è che dire. I nostri avversari ce la mettono tutta. Pur di continuare senza freni a distruggere il pianeta, ne inventano a bizzeffe per dare addosso alla caccia, ai cacciatori, poveri untorelli, che almeno dalle nostre parti, ma ormai ovunque nel mondo, si danno da fare invece per salvaguardare questo meraviglioso universo animale che - senza contare gli squilibri sempre più evidenti - gode di buona salute soprattutto dove i cacciatori sono vigili protagonisti.
Il perbenismo, il buonismo, il politicamente corretto sono alla base di queste campagne di denigrazione di tutto quello che a certi benpensanti appare violento. Ignorando che la violenza quella vera è commessa soprattutto da chi dice di abiurarla. Mentre invece con guanti di velluto si affamano i popoli, si favoriscono carestie, si consumano i suoli, si inquinano i mari e le terre. Pensate che la Disney, sulla scia di questo buonismo da tre soldi ha da tempo reinventato Gambadilegno, lasciandogli il nome, almeno in Italia, ma ritemprandone l’arto, come se in più di mezzo secolo di strisce non l’avesse mai perso. Per non parlare di Cappuccetto Rosso, “Poghettino”, Hansel e Gretel, e i tanti candidi e tragici eroi della nostra fanciullezza, ormai snaturati, smidollati, “disoccupati” da questo imperversare d’ipocrisia. Guarda caso, per queste campagne mistificatorie si servono dei soliti cuccioli di mammiferi, magari di altri continenti, di pulcini (un ornitologo direbbe “pullus”) di meraviglie alate, uccelli anch’essi soprattutto esotici. Insomma di enormi mistificazioni.
Ma noi, che amiamo la caccia, che viviamo il presente con tanta nostalgia per il nostro passato, quando le campagne erano campagne e i campagnoli erano quelli che ci stavano, nelle campagne, le vivevano quotidianamente - non quelli che arrivavano (come oggi) per il finesettimana o per le vacanze - noi andremo a caccia anche in questo tristo anno che più bisestile non si può, affranti per il covid che ha imperversato per mesi e ci ha portato via tante persone care, molte anche fra i nostri amici, i nostri dirigenti, anziani saggi, pacati, pacifici, la nostra bella memoria. Andremo a caccia anche per loro. Per ricordarli, per rendere omaggio al loro impegno, alle loro belle figure, alla loro passione.
Salvo follie, l’orizzonte piano piano si sta rasserenando, la stagione della caccia è più o meno definita in ogni regione, da nord a sud, con i soliti calendari arlecchino, i soliti mal di pancia, ma anche una rinnovata voglia di tornare alla normalità. In campagna non c’è rischio di assembramenti, non c’è la movida, rispetteremo di sicuro le prescrizioni, anzi saremo di esempio a quelle masse buoniste, che come al solito pretendono “correttezza” dagli altri, ma appena si muovono non riescono neanche a nascondere la loro saccenza, la loro arroganza.
E caccia sia. Per monti e valli, nelle paludi in attesa di meravigliosi becchipiatti, in alto fra le chiome di pini e di querce, per scorgere i primi branchi di colombi, con cani e bracchieri, per lepri e cinghiali, o con i fantastici fermatori, campioni di guidate e riporti. Troveremo ancora le pernici? E le starne? Chissà. Questo progresso fa di tutto per non lasciarci neanche il ricordo. Se lo devono chiedere anche gli agricoltori, se vorranno. Anche nel loro impegno, nella loro sensibilità e intelligenza sta il nostro futuro, e quello delle nostre cacce della tradizione. I tordi, le allodole, le tortore, le quaglie, i beccaccini. La loro presenza, la loro abbondanza dipendono da ciò che trovano quando si affacciano sui nostri lidi. Se c’è pastura si fermano, ritornano un anno dopo l’altro, se la pastura manca, o è avvelenata, cambiano rotta, si dirigono altrove e l’anno dopo non li rivedremo. Non è la caccia il loro nemico. Soprattutto in Italia, dove anche più di un terzo del territorio è impedito alle nostre doppiette. Semmai, quel 30% di terreno che fa loro da ricovero è causa di squilibri, porta danni alle tante eccellenze della nostra agricoltura e anche ad altre specie, che spesso soccombono, se non c’è l’uomo che ne regola le consistenze, ne riequilibra i rapporti. La follia animalista cerca di convincere i tanti salottieri che viviamo in una terra incontaminata, un eden dove il leone flirta con la gazzella, il pescecane si fidanza con la foca, l’averla o il gruccione si intrattengono amichevolmente con i grilli o con le api. Il lupo, lasciatemelo dire, il lupo dà lezioni di ballo ai piccoli di capriolo. Ma non è così. Lo sappiamo bene. Da tremila anni in Italia abbiamo imparato a “pettinare” la terra, per farne quel meraviglioso paesaggio che tutti ci invidiano. Piani di rimboschimento furono messi in opera dai romani dopo che si era fatta incetta di legname per allestire le flotte con cui si combatterono le guerre puniche, nel terzo secolo avanti Cristo. Già Columella, in epoca augustea, dettava le regole per la corretta gestione del podere, della stalla e del cortile. Dove si allevava ogni tipo di animale. Anche i tordi. Presso una sola uccelliera della campagna romana, nella stessa epoca, ricorda Varrone, altra eminente competenza rurale, furono acquistati cinquemila tordi in una sola volta, per allietare un banchetto offerto da Scipione Metello. Da allora, da quelle saggezze rurali, derivano le nostre eccellenze, i vini, le carni, i grani. E le nostre passioni. La caccia, che addirittura data da epoche anteriori, pur mediterranee, Mesopotamia, Egitto, Grecia. Terre di popoli che ci regalarono anche i nostri eroi. Nembrod, grande cacciatore al cospetto di dio, Artemide Diana, eterea dea della purezza. E questi qua, figli di una cultura estranea, metropolitana, ci vogliono raccontare come si fa a tutelare l’ambiente, quando per millenni, fino a pochi decenni fa, le nostre pratiche, di poco modificate, si sono susseguite attraverso generazioni di gente di campagna, dedita anche alla caccia, non solo per recuperare carne, come vorrebbero farci credere, ma soprattutto per passione. Ne fanno fede le infinite rappresentazioni artistiche che testimoniano il culto di Artemide, da un’epoca all’altra, senza soluzione di continuità.
E dunque andiamo a caccia con orgoglio, con passione, anche oggi. Impegniamoci a far conoscere le nostre ragioni, le nostre verità. Dedichiamoci anima e corpo alla salvaguardia delle nostre bellezze, i nostri paesaggi, le nostre campagne, i nostri boschi, le nostre paludi. Solo così saremo in grado di mantenere quel grande patrimonio di fauna selvatica che ci sta a cuore. A tutti noi.
In bocca al lupo
Giuliano Incerpi