Rinviata a data da destinarsi, a causa dell'emergenza Coronavirus, il prossimo 26 febbraio a Roma, presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari, alla presenza di Roberto Fico, presidente della Camera dei Deputati, di Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, di Sergio Costa, Ministro dell'Ambiente, e di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, avrebbero dovuto essere presentati dall'ISPRA i tre report dedicati alla situazione ambientale in Europa e in Italia: il SOER 2020 (State of the Environment Report), l’Annuario dei dati ambientali 2019 che fotografa lo stato dell’ambiente in Italia e il Rapporto ambiente di Sistema che presenta le esperienze regionali.
In tutti questi rapporti si delineerà il solito quadro preoccupante per la tutela della vita selvatica. Habitat e specie sono minacciati, senza alcuna soluzione di contrasto particolarmente efficace, dai soliti problemi: frammentazione degli habitat, inquinamento delle acque, dell'aria e del suolo. Anche i dati di questo nuovo annuario, presumibilmente, ricalcheranno pressapoco la stessa situazione fotografata nelle scorse annate. Già perché, al di là dei soliti proclami, nulla o poco, veramente poco, è stato fatto per contrastare i veri motivi di perdita di specie e habitat.
Intanto, con l'obiettivo di contrastare la perdita della biodiversità, negli scorsi mesi, gli ambientalisti hanno spinto la Conferenza Stato Regioni ad approvare le linee guida nazionali per la Valutazione di incidenza, finalizzate alla messa in sicurezza dei siti della rete Natura 2000 (più del 19% del territorio in Italia). Pubblicate in Gazzetta Ufficiale a fine dicembre 2019, per Lipu e Wwf, sono “Uno strumento indispensabile per la conservazione della biodiversità, troppo a lungo danneggiata da incuria e cattiva programmazione" (vai alla notizia).
Per quanto ci riguarda, viene naturale pensare che con la scusa della biodiversità si mira ancora una volta a limitare la caccia. Il dubbio si è insinuato un mese fa, quando è uscita la notizia dell'ufficialità delle linee guida. Come è possibile, con tutti i problemi, veri, che ha l'ambiente, e che sono ben delineati in fior di rapporti e studi, sia italiani che europei? La Lipu, che infatti è appena uscita allo scoperto, ha chiesto alla Regione Puglia di rivedere la proposta di Piano faunistico venatorio alla luce delle indicazioni contenute nelle conclusioni della procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas), comprensiva di Valutazione di incidenza (VincA), affinché il Piano garantisca un maggior equilibrio tra prelievo venatorio e necessità di tutela, sollecitando una maggiore chiarezza dei dati cartografici e la loro pubblicazione sui sistemi informativi geografici (webgis) previo l'istituzione o la verifica dei requisiti per 25 tra Oasi di protezione, Aziende faunistico venatorie, Zone ripopolamento e cattura e altri isitittuti come le Zone di addestramento cani (Zac), escludendo quelle all'interno delle Zone di ripopolamento. E ancora, la Lipu ritiene che occorra accertare i parametri di calcolo delle aree agro-silvo-pastorali sottoposte alla pianificazione faunistico-venatoria e programmare misure di prevenzione del bracconaggio e di indennità per il mantenimento di habitat per la fauna.
Il che lascia presagire che da qui in avanti, se non cambierà rapidamente qualcosa, la probabilità che prossimamente i calendari venatori italiani dovranno sottostare a precise valutazioni di incidenza ambientale (VincA) - anche dove la caccia c'entra come il cavolo a merenda - allegate ai rispettivi piani faunistici per quanto riguarda i siti Natura 2000, non è poi così remota. Eppure, va ripetuto con fermezza, non c'è nessun motivo per ulteriori limitazioni, dato che la caccia non è tra i prioritari fattori di rischio, ma anzi, contribuisce attivamente a mantenere brulicanti di vita diverse Aree Natura 2000, che altrimenti sarebbero abbandonate a se stesse, e per le quali comunque esistono già onerosi obblighi per i cacciatori. Al contrario di quanto succede in aree totalmente protette, dove l'incuria e a volte la cattiva gestione se non il malaffare regnano sovrani. Sembra che lor signori si siano già dimenticati (o, peggio, vogliano penalizzare la caccia per far dimenticare) quanto è accaduto nella zona umida di Valle della Canna, preclusa alla caccia, che nell'autunno scorso ha registrato una moria di migratori acquatici senza precedenti, dovuta ad un attacco da botulino a causa del mancato ricambio delle acque (cosa che nelle paludi gestite dai cacciatori è invece una priorità). Colpire la caccia è probabilmente il modo più furbo per nascondere la gravità della situazione e l'inutilità di un ambientalismo sempre più opaco.
Nella presentazione della giornata di studi si legge: “Senza un intervento urgente nell’arco dei prossimi dieci anni, non si riuscirà a centrare gli obiettivi fissati, nonostante i notevoli progressi compiuti nel corso degli ultimi vent’anni”.
Quali progressi, se la situazione è ormai sfuggita di mano? Fare qualcosa di concreto, e farlo subito, dunque è necessario per contrastare le enormi cause che determinano l'impoverimento della vita selvatica nel nostro Paese. A cosa servirà mortificare ancora di più la caccia? La tabella che qui riportiamo, direttamente tratta dall'edizione 2018 dell'annuario dei dati ambientali, è molto più efficace di mille parole per capire le vere cause della perdita di biodiversità. La confronteremo presto con i dati dell'anno appena trascorso e non mancheremo di richiamare i nostri governanti alle loro responsabilità.
Cinzia Funcis