Finalmente lo hanno ammesso: il veganesimo non è solo una scelta alimentare ma un vero e proprio credo, paragonabile a un culto religioso. Ed infatti esultano anche i vegani italiani (Lav per esempio) per la sentenza appena emessa nel Regno Unito che equipara la scelta vegana a una religione o a un credo filosofico, concedendo (là solo, per ora) gli annessi diritti di legge.
La sentenza in particolare si riferisce alla causa di un attivista vegano, che era stato licenziato da un'associazione per i diritti degli animali (League Against Cruel Sports) per cui lavorava, a seguito della sua protesta che segnalava come questa investisse parte del fondo pensionistico dei dipendenti in una società che fa ricerca scientifica con gli animali, contravvenendo dunque ai principi dell'associazione stessa, che gli animali li protegge. Il tribunale del lavoro ha dato ragione alla tesi dei difensori dell'uomo, i quali hanno sostenuto che il veganismo etico risponde ai requisiti di legge per essere protetto ai sensi dell'Equality Act del 2010, legge britannica antidiscriminazione. L'uomo ha dimostrato nei fatti di essere un praticante molto ortodosso. Tant'è che non si limita ad evitare carne e derivati ma osserva meticolosamente principi etici “animalisti” in ogni aspetto della sua esistenza, al punto che pare si sposti solo a piedi poiché anche un bus di linea potrebbe renderlo complice dell'uccisione di insetti, che, come purtroppo capita (pace all'anima loro) vengono inevitabilmente schiacciati dalle ruote o si schiantano senza scampo sul parabrezza.
Ma il punto è un altro. Ci siamo arrivati: essendo questa una personale scelta etica, e non dunque un'inevitabile tappa nel progresso civico e morale dell'umanità, come spesso ci ripetono gli animalisti, in quei confini dovrebbe rimanere. Ne consegue, dunque, che ogni vegano possa pretendere che la propria etica venga rispettata ma non certo essere giustificabile se tenta di imporla agli altri o pretende di assurgerla a principio universale, sconfinando nel fanatismo. Ovvero, citando la definizione in dizionario: “intollerante, esclusiva e acritica sottomissione a una fede religiosa o politica, spesso causa d'intolleranza, e talvolta di violenza, nei confronti di chi ne professa una diversa” o di chi non ne professa alcuna, aggiungiamo noi.
Probabilmente molti vegani vivono la propria scelta rispettando gli altri. Ma considerando l'esigua percentuale di persone convertite al veganesimo in Italia e i ripetuti atti violenti (gomme tagliate, incendi dolosi, imbrattamenti, atti di vandalismo, insulti e minacce) consumati dai vegani/animalisti nei confronti di allevatori, macellai, circensi, ricercatori e cacciatori, è palese che la divisione fra fanatici e semplici seguaci non è poi così netta ma anzi pare un bel po' sbilanciata nella prima categoria. Del resto se perfino un medico, dunque nella vita persona istruita e presumibilmente rispettabile, si sente autorizzato ad intervenire su facebook con invettive e auguri di morte nei confronti di “mangiatori di cadaveri” e cacciatori, augurando loro le peggiori cose perché uccidono animali per nutrimento, forse vuol dire che questa gente ha bisogno di limiti e doveri, più che di diritti. Per lo meno per evitare certe brutte cadute di stile, che non fanno certo bene all'immagine della categoria.
Cinzia Funcis