In questi ultimi tempi si susseguono ipotesi, proposte, idee, per aggiornare l'ormai vetusta e sbrindellata 157/92, croce e delizia di tutti noi, appassionati di questa meravigliosa attività che è la caccia. Addirittura, c'è chi ha lanciato una specie di inchiestina sul web, per capire se i tempi sono maturi per l'abrogazione dell'842 del C.C. (che consente l'accesso dei cacciatori nei fondi agricoli), richiamata da sempre in tutte le proposte di legge (anticaccia e non) che si sono succedute o alternate alle richieste di referendum abrogativo della caccia tout court.
Fino a una recentissima proposta extraparlamentare, un po' più organica, che si è fatta carico di interpretare il malessere del mondo agricolo per - si dice - gli ingenti danni che soprattutto i cinghiali (ma anche i cervi, i caprioli, i daini, gli storni, le nutrie) provocano alle imprese che danno da mangiare e da bere a tutti noi, non solo in Italia, essendo l'agroalimentare un comparto che contribuisce non poco al ricco export nostrano.
In questa proposta, si prova timidamente a denunciare l'impianto legislativo filo-ambientalista ("è del tutto evidente che le attuali politiche, orientate alla mera conservazione della fauna dimostrano la loro totale inadeguatezza a governare questi processi ed a contenere i danni"), senza tuttavia fare riferimento alla legge (la 394/91 sulle aree protette) che questi fenomeni ha favorito. Alla quale ci si dovrebbe come minimo collegare, per un coordinamento utile a superare gli equivici di cui le nostre istituzioni del diritto abbondano. Buona tuttavia l'idea di sostituire il concetto di "protezione" con quello di "gestione", che però nascerebbe monca se dovesse limitarsi alla 157/92, ovvero se non comprendesse appunto la normativa parallela che sovrintende alla tutela degli ambiti ove la stessa fauna in genere sussiste, cioè la sopracitata 394/91. Anche se, è giusto rilevarlo, si fa cauto riferimento all'azione di controllo su tutto il territorio, comprese le aree protette, usufruendo se necessario delle competenze di "operatori formati", muniti di licenza di caccia.
Più farraginosa l'idea di riesumare il defunto (almeno nei fatti) Comitato Tecnico Faunistico e Venatorio, che invece a parere di altri - che vivono la materia grazie a una visione più ampia - potrebbe essere sostituito da un organismo più "tecnico" sulla scorta dell'efficiente e funzionale esperienza dell'Uffico francese della caccia (ONCFS), entro cui inglobare quella branca dell'ISPRA (ex INFS), con finalità più specifiche di quelle odierne. Più tecniche, cioè, e più distribuite sui territori. Insomma: "a servizio" della "gestione" e non "al servizio" delle associazioni animaliste che ormai fanno il bello e il cattivo tempo al Ministero dell'Ambiente e non solo.
Necessaria, a parere di molti, invece, di provvedimenti ben più incisivi la casistica pratica, che - qui appare più chiaro ancora - punta a mettere in mano agli agricoltori la gestione degli "equilibri" faunistici, affidando il tutto, quasi in contraddizione, alla giurisdizione della Presidenza del Consiglio, invece che del Ministero dell'Agricoltura.
Quello che manca è, come al solito, quel po' di coraggio per dire le cose come stanno, e per affidare alla caccia quel ruolo insostituibile di comprimario, almeno, nella gestione moderna del rapporto fra territorio, attività agricole e salvaguardia del patrimonio faunistico nel suo insieme. Una piccola chiosa al riguardo, per come, quasi alla chetichella, si reintroduce il termine "nocivi", che la legislazione in atto ha assolutamente cancellato dal vocabolario.
Del tutto assente, anche nelle premesse, e questo è grave, un riferimento alla tutela, alla riqualificazione e al recupero di quelle forme di caccia della tradizione italiana, che la 157 e le sue successive modifiche hanno sempre più penalizzato e che sicuramente aiuterebbero a ricostituire quei legami fra caccia e società, a tutto vantaggio della tutela complessiva del nostro patrimonio ambientale. E per questo, sarebbe determinate un corposo contributo al dibattito da parte delle associazioni venatorie, che al momento brillano soprattutto per i bisticci fra chi si schiera a favore o contro l'abrogazione di quel famigerato articolo del codice civile (il citato 842), che potrebbe essere messo in cantina, alla chetichella, da certi provvedimenti impliciti, insiti in quelle acclamate emergenze di cui da tempo si riempiono i giornali e che sempre più ricordano il noto scisma di qualche secolo fa.
Leonardo Conti