Ambiente. Perchè abbiamo dato il Paese in mano agli sciocchi? Perchè da mezzo secolo a questa parte abbiamo tutti assistito inermi a una deriva inculturale che ci ha portato a negare l'evidenza? Perchè quando si parla di squilibri ambientali e faunistici nessuno ha più il coraggio di dire le cose come stanno?
Il fenomeno cinghiali, e caprioli e cervi e animali opportunisti in genere (una volta si chiamavano nocivi), ha un periodo preciso di nascita e di sviluppo. L'esplosione in Italia dell'ambientalismo di maniera. Accanto alla elitaria Italia Nostra, alla associazione Pro-Natura (non la ricorda più nessuno), all'ENPA fondata dall'appassionato cacciatore Garibaldi, l'equivoco delle italiche "magnifiche sorti e progressive" (Giacomo Leopardi, La Ginestra) del secondo dopoguerra, il tumultuoso boom economico che regalò a tutti prima la vespa poi una macchina per arrivare in tempo - dal contado - a marcare il cartellino, ci fece credere che improvvisamente da paese profondamente rurale eravamo diventati un paese moderno.
La macchina della propaganda, quella invece ancora a disposizione di pochi, cominciò a tormentarci per convincerci che eravamo anche diventati americani, e ricchi. E consumatori. C'era bisogno quindi di cambiare quel modello culturale, sociale, che nei secoli aveva fatto di noi un popolo sparagnino, ma ragionevole. Si potrebbe dire: un popolo saggio. La caccia, ovviamente, fino ad allora faceva parte del sistema. Regolato dai cicli delle stagioni (c'erano ancora pure le "mezze stagioni", allora), che alternavano quell'andamento meraviglioso e terribile che va dalla nascita della vita al suo epilogo tragico, incessantemente, di cui tutti erano consapevoli e in fatale, ineluttabile coinvolgimento.
Poi venne il WWF. Un sodalizio internazionale, uno dei primi segnali della imminente e inarrestabile globalizzazione, retto da filantropi dal portafoglio gonfio e dal potere ipertrofico, che tuttavia erano preoccupati per le cause da loro stessi innestate nel sistema. Cacciatori, sì, cacciatori d'alto bordo. Proprietari terrieri sicuramente illuminati nelle loro proprietà di campagna (pubbliche o private), ma dediti alla velocizzazione dei moderni sistemi industriali, chimica e petrolio in testa, che furono applicati anche all'agricoltura. Col conseguente stravolgimento delle pratiche agricole e delle nostre armoniose campagne. Nacque e si consolidò di conseguenza, per mano degli stessi attori, la parcomania: per consentire lo sfacelo dei nostri ameni siti, bisognava dimostrare che si faceva qualcosa per conservarne indenni almeno un po'. Il mitico obiettivo 10%. Vi si aggregarono, ai diversi livelli, i soliti opportunisti, di diversa estrazione e colore politico. Nel contempo, la pregressa disposizione che consentiva al cacciatore l'accesso ai fondi agricoli (842 C.C.) convinse i padroni del vapore che per tutti questi sconquassi c'era l'untorino ideale a cui appioppare tutte le colpe. Come tutti amaramente abbiamo potuto verificare sulla nostra pelle, il cacciatore e la caccia così com'era regolata in Italia furono oggetto di campagne di indicibile persecuzione. I referendum anticaccia ne furono lo strumento più palese. Intanto i parchi crescevano e cadevano nelle mani degli stesso apologeti. Fulco Pratesi, cacciatore poi pentito, fra i fondatori del WWF Italia, presidente del parco d'Abruzzo (oggi PNLAM, Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise) ne fu il più fulgido prototipo.
E mentre la caccia, sotto l'attacco di quella incessante propaganda, subiva reiterati ridimensionamenti normativi, si varava una legge sui parchi che alla prova del tempo mostrava la sua inadeguatezza, visto che l'unica cosa (o quasi) che sanciva era il divieto assoluto di caccia (ma non della pesca, o di altri usi) all'interno di queste aree cosiddette protette. E anche il divieto di un prelievo coerente. Una gestione che a volte ha rasentato il demenziale, uno stipendificio per sedicenti ambientalisti (nel frattempo moltiplicatosi attraverso un esagerata proliferazione di sigle: LIPU, Legambiente, LAV, LAC, PUC, MUC, LUC..., calze autoreggenti comprese, pecorari e caproni), che ad oggi sono arrivati ahinoi! ad occupare (magari per interposta persona, a volte in plateale conflitto di interessi) tutte le stanze del potere a partire da quello ambientalista e agricolo, fino a quelli della finanza, della cultura, dell'istruzione, della comunicazione.
Eppure, di fronte al paventato (e peloso) allarme della proliferazione incontrollata di questo popolo di ungulati, già una decina d'anni fa circolavano dati scientificamente inoppugnabili sulle cause. Se la caccia già allora si paventava inefficace sui controlli, dall'altra parte si denunciava lo sciagurato effetto di questi "santuari del nulla" che di fronte a qualsiasi azione di controllo forniva esperienze trasmesse da scrofa a cinghialotto (tanto per dire) che portavano l'irsuto popolo (ma anche quello provvisto di corna o palchi) a rifugiarsi dove nessuno era in grado di arrecargli disturbo. E con caprioli cervi e cinghiali si formava e si consolidava quel popolo parallelo di - come li vogliamo chiamare? - opportunisti che su quel "pabulum" si facevano tondi. Già alla conferenza programmatica della Regione Toscana (Arezzo 2009) ci fu qualcuno che cercò di zittire un allevatore maremmano, esasperato, che protestava perchè la figlia (pastora, mandriana?), per questo finita in analisi, era stata fatta oggetto di cure assidue da parte di fratello lupo. E con i lupi, in questi paaradisi naturali si sono trovati bene volpi, sciacalli, orsi, nutrie, e altre creature disneyane tanto carine, se inquadrate nel cosiddetto ecosistema, ben gestite, insomma, ma tanto pericolose se lasciate a se stesse, come vorrebbero gli eterni riciclati, passati dai radicali di Pannella, ai Verdi di Pecoraro e di Bonelli, ai salottieri della sinistra estrema, agli oggi strimpellatori della piattaforma russeau, che non esitano a denunciare il mondo intero per misfatti che quando beccano loro con le mani nella marmellata diventano - quegli stessi misfatti - materia di sofisticati distinguo.
E tutto torna in capo a quegli stessi manovratori, un po' ambientalisti, un po' agricoltori, un po' occulti gestori della comunicazione grazie alle mani in pasta che hanno nella finanza, nell'economia che conta, che tutto denunciano, cacciatori in cima alla piramide, tranne che constatare che questi squilibri, questi enormi danni paventati hanno una causa precisa e inoppugnabile: i parchi venuti su alla maniera italiana, le norme che li costituiscono e ne indirizzano la gestione, i tanti servi sciocchi (ambientalisti e animalisti e cortigiani spiccioli) che da mezzo secolo s'impegnano a far fare gli struzzi a gran parte degli ignari nostri concittadini. Che miseria.
Renato Moscherini