In un momento di tranquillità mi è venuta voglia di scrivere qualche riga ma il problema era trovare un argomento che mi stuzzicasse. Allora ho pensato alla mia passione, la caccia. Già la caccia, ma su cosa, la caccia ha tanti di quegli aspetti e di quelle sfumature che ci si potrebbe scrivere per mesi. No, dovevo trovare un argomento specifico e, all’improvviso, ho trovato.
Quattro anni fa a fine Dicembre, dopo una mattinata assai infruttuosa passata a camminare nelle campagne gelate della bassa veronese con il mio fido Gip, che all’epoca aveva solamente un anno, mi sono imbattuto in una serie di cartelli che dicevano “Azienda Faunistica Venatoria Torre M.”. In quelle zone non ero mai andato, erano tutte risaie e campi di mais ormai vuoti, arati, fresati e per nulla invitanti. Poi, più per curiosità che per altro, ho cominciato a cercare dove fosse la sede di questa riserva anche perché ho pensato che se avessi fatto trovare un fagiano o due al giovane ausiliare non gli avrebbe fatto che bene.
Dopo un po’ di giri per le stradine di campagna sono finalmente arrivato alla Casa di Caccia. Ormai erano le 3 del pomeriggio e non avevo più tanta voglia di uscire a caccia, a breve sarebbe stato buio, ma sono entrato ugualmente, per curiosità, “Mi prendo un caffè” mi sono detto.
Mi sono trovato di fronte a un signore molto anziano, non eccessivamente gentile, e a due ragazzi, due fratelli, entrambi sotto i trent’anni. Abbiamo cominciato a chiacchierare e così mi hanno spiegato che avevano appena rilevato la Riserva e si stavano facendo dare dei consigli dal vecchio gestore, la persona anziana appunto, facendosi presentare ai vecchi soci. L’anno successivo avrebbero iniziato questa loro avventura.
I due fratelli erano di Torino ed avevano lavorato in tutt’altro settore, sino a quel giorno. Uno con la passione per la caccia con il cane, l’altro appassionato falconiere, avevano deciso di fare di questa loro passione il loro lavoro. Avevano trovato questo vecchio gestore, che ormai si stava ritirando, avevano preso la palla al balzo e fatte le valige, si erano trasferiti dall’altra parte della Pianura Padana ed avevano cominciato.
Sono rimasto molto colpito dall’entusiasmo e dalla voglia di fare che questi due ragazzi mi stavano manifestando illustrandomi i loro progetti e come avevano intenzione di gestire questa loro nuova creatura. Alla fine del pomeriggio di chiacchiere, mi hanno chiesto il numero di cellulare, per potermi chiamare quando avessero aperto l’anno successivo, ed io non mi sono sentito di negarglielo.
Puntualmente a metà Agosto mi hanno chiamato invitandomi a visitare la loro nuova riserva per vedere come la stavano gestendo, invitandomi poi alla cena in programma la sera.
La domenica indicata mi sono presentato alla Casa di Caccia, ero curioso. Vedere come in pochi mesi erano riusciti a cambiare la riserva è stato veramente una sorpresa. Avevano lasciato ad incolto oltre il 40 per cento del territorio, avevano organizzato per tutta l’estate un campo di addestramento senza sparo ed una serie di gare cinofile dove venivano lanciate starne e quaglie. Ne avevano lanciate oltre 4.000 in quel periodo. Il risultato è stato che , camminando per i campi, si vedevano brigate di starne che si alzavano ed entrando nella medica si involavano quaglie ormai selvatiche in gran numero. So che sembrano descrizioni d’altri tempi ma veramente erano anni che non vedevo brigate composte da 10/15 starne, tutte assieme. E non parliamo dei beccaccini che frullavano camminando sugli argini delle risaie.
Durante la cena, poi, i due fratelli ci hanno raccontato tutto quello che avevano fatto, gli accordi che avevano cominciato ad impostare con i contadini proprietari delle terre per gestire gli incolti, per lasciare le stoppie tagliate alte e di cosa ancora volevano fare.
Per farla breve sono 4 anni che frequento almeno una volta la settimana questa riserva che è gestita non solo con il cuore, ma anche con un intuito ed una precisione invidiabili. In questi 4 anni hanno allargato di molto il terreno della riserva, hanno preso anche uno sguazzo molto grande dove poter insidiare qualche anatra e, ultima di quest’anno, hanno rilevato anche un allevamento di fagiani e starne, lì vicino, per avere sempre a disposizione animali stupendi, vivacissimi, di grande qualità e, non ultimo come pregio, anche buoni culinariamente parlando.
A mezzogiorno, poi, ci si trova tutti in casa di caccia per un buon piatto di “riso col tastasale” (risotto con la pasta del salame) e mentre mangiamo i capi abbattuti vengono spiumati, curati e preparali in sacchetti pronti per finire in congelatore. Anche il problema con le nostre Signore è risolto. Vi pare poco?
Ora voi mi direte “ma perché ci parli di una riserva quando ce ne sono tante in giro”. Semplice, perché se ci fossero più giovani con la voglia di fare, il coraggio di rischiare e l’amore che stanno mettendo questi due fratelli in quello che fanno, credo che molti problemi che ci assillano sarebbero almeno un po’ più facili da gestire.
Oggi sappiamo che, soprattutto nel nord est Italia, la terra che possiamo avere a disposizione per cacciare è poca, spessissimo resa inidonea alla selvaggina da coltivazioni molto più che intensive, se venite dalle nostre parti vedrete spesso la trebbiatrice davanti e dietro già il trattore che ara. Cosa volete che resti dopo questo trattamento?!.
D’altra parte andare in certe riserve dove i capi che vengono lanciati sono meno attivi di una gallina e non si involano neanche se spinti è deprimente per noi, ma anche più che nocivo per i nostri amici a quattro zampe. Chiaramente queste strutture sono solamente dei modi per fare soldi da parte dei gestori, senza la minima attenzione alle emozioni o meno dei frequentatori.
Trovare delle persone, invece, che fanno questo lavoro avendo ben presente quali emozioni proviamo e come debbono fare per ricrearle, penso ci dia una speranza che qualche altra bella giornata di caccia possiamo ancora farla, tranquilli e rilassati.
Giulio De Cecco