CARI AMBIENTALISTI, NON SI COMINCIA DALLA CODA lunedì 21 novembre 2016 | | Anche per quest'anno sono passate, le allodole. In parte, al sud, nelle apriche terre e incontaminate (sempre meno, purtroppo), si sono fermate, sempre più scaltre e capaci di difendersi da sole dalle idiozie dei tanti troppi scioperati senza arte nè parte, che per sbarcare il lunario perseverano nella loro professione di ambientalisti a rompere le scatole ai concittadini timorati di dio, con campagne di disinformazione istillando il seme dell'odio.
In concomitanza col passo, o giù di lì, si apprende che Ispra ha aperto un tavolo di lavoro per redigere un piano di gestione nazionale per tre specie di uccelli, fra cui appunto l'allodola.
Meno male che c'è la Lipu (ma le altre consorelle non sono da meno), che mentre fa di tutto per metterci contro l'opinione pubblica (con una raccolta di firme, a cui per ora non sembra arridere successo), fa sapere a tutti che quest'uccelletto gioia e delizia nostra e dei nostri palati (e dei palati dei nostri riconoscenti commensali) è "messo a dura prova dall'agricoltura intensiva, sempre più inquinata, che ne compromette l'habitat" e "la sta privando degli ambienti riproduttivi e delle aree in cui svernare".
Le cause di questa sua crisi - ce lo dice il periodico web "Lifegate", molto probabilmente ispirato dala stessa associazione animalista - si associano anche al fatto che l’allodola nidifica a terra, nei prati da sfalcio che, sempre meno estesi, si trasformano molto spesso in vere e proprie “trappole ecologiche” (l’erba viene tagliata da veloci falciatrici proprio quando le uova o i piccoli sono nel nido, distruggendolo). In autunno e in inverno l’allodola si sposta, sosta e migra dal nord utilizzando per la ricerca di cibo i campi di stoppie e i prati da sfalcio, resi però poveri di erba spontanea (e quindi di semi e rifugi) dal massiccio uso di diserbanti. Oggi, quindi, l’Italia offre sempre meno ambienti agricoli idonei, nei quali ospitare e far riprodurre la specie."
Beh, se ci si applicasse a questo postulato, che è incontrovertibile verità - anche se una ricerca affidata dal Ministero dell'ambiente proprio alla Lipu, ci dice che le coppie di allodole nidificanti in Italia sono una cifra piuttosto considerevole (ma non dimentichiamo comunque che i contingenti migranti sono enormemenete superiori e il prelievo venatorio è dimostrato che è una cifra insignificante, meno dello 0,0) - non avremmo problemi, anzi se certi cosiddetti ambientalisti facessero il loro mestiere, apparirebbero confraternite benemerite agli occhi della gente, mentre oggi sembra che si stiano dibattendo in una crisi di vocazioni ormai ultradecennale, visto che non è difficile capire come possano essere stati distratti da chi probabilmente aveva interesse a che non si non ponesse attenzione ai veri problemi ambientali.
Chi andasse al nocciolo delle questioni e facesse due più due, potrebbe accorgersi che certe associazioni - in auge in Italia soprattutto a cavallo degli anni sessanta-settanta - scoprono adesso che le cause di tante difficoltà del nostro patrimonio faunistico dipendono dalla perdita grave di biodiversità, e tuttavia continuano a rifarsela con l'anello più debole della catena, che peraltro soffre da decenni di una legislazione fortemente punitiva e comunque ultrarigorosa se paragonata alle altre normative europee e mondiali. Riferendoci all'allodola, è come se per difenderla si volessero rifare dalla coda (per la quale, parafrasando un vecchio proverbio, basterebbe un po'...di sale).
Mi viene spontanea a questo punto un'esortazione, sicuramente poco originale, ma comunque necessaria. Signori miei, chiunque voi siate, se davvero volete dare una mano all'allodola, ma anche a tutte le altre specie selvatiche, impegnatevi in altro modo. Più efficace, più proficuo. Mettete in pratica una vera politica ambientale, come fanno i vostri colleghi nei paesi a noi vicini. La ministra francese dell'ambiente considera i cacciatori fra i suoi più importanti alleati. Occupatevi della salvaguardia del territorio, siate coerenti con voi stessi. Gli strumenti li avete, i dati lo stesso, malgrado si continui a pestare l'acqua nel mortaio quando si devono dare risposte alla caccia. E sappiate - ma lo sapete, lo sapete - che in un paese dove almeno un terzo del territorio è interdetto alle nostre doppiette (in alcune regioni anche di più, in alcune province anche oltre il 70%), la nostra attività non può incidere assolutamente sulla consistenza delle specie selvatiche. E sappiate anche - ma lo sapete, lo sapete - che con l'aria che tira (leggi: mancanza di risorse pubbliche), il contributo in termini di volontariato e e di competenze che possono dare i cacciatori alla salvaguardia dei beni ambientali e del territorio e alla gente di campagna che soffre anche in questo periodo enormi disagi, è enormemente più grande di qualsiasi supporto che possa provenire da certe menti visionarie che ancora oggi affollano i salotti di certe passionarie.
E finisco con una provocazione. Ambientalisti (veri) di tutt'Italia: pentitevi! Ripensate il vostro atteggiamento nei confronti della caccia. Sicuramente la ricchezza naturale del nostro territorio ne trarrebbe ancor più giovamento. E anche voi potreste trarne merito, fornendo lo stesso attuale contributo, che a parere diffuso necessita di nuovo smalto.
Vito Rubini
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