Il cinghiale nel mirino. Braccata e selezione: una convivenza possibile lunedì 24 ottobre 2016 | | Con questo numero, Vincenzo Frascino inizia la sua collaborazione con Bighunter, affrontando sul Blog - "Cinghiale nel mirino" - il tema della caccia al cinghiale. Queste sue note che pubblichiamo ne sono la doverosa introduzione, che vuole essere un contributo alla discussione generale. "La caccia al cinghiale è affascinante in tutte le sue forme, afferma Frascino, le pratico tutte e cercherò di raccontare esperienze, incontri ed emozioni su questo tema che a volte divide ma più spesso ci unisce". (Bighunter).
Molti di noi leggono e scrivono di caccia sui social networks. A nessuno sarà sfuggito quanta conflittualità ci sia tra cacciatori di diversa “estrazione”, soprattutto quando le attività di ciascuno si sovrappongono per tempi e/o spazi a quelle del “rivale”.
Il “cinghialaio” ce l'ha il “beccacciaio” che col suo setter al mattino muove i cinghiali dalle rimesse nel bosco; il “beccacciaio” cinofilo non perdona il colpo sparato su una beccaccia che si è involata mentre il “tordaiolo” andava a raccogliere un tordo; il cinghialaio trova inammissibile che si possa cacciare il cinghiale all’aspetto e il selecontrollore non ama chi pratica la braccata.
Ciascuno, dal suo pulpito difende e proclama la sua verità e invia improperi a coloro i quali praticano altre “fedi”. Dispiace a volte leggere certi commenti alle foto postate da chi vuole condividere la propria soddisfazione per un prelievo.
Stringendo il fuoco sul mondo degli ungulati e, ancor più, sul cinghiale, assistiamo ad un contradditorio energico tra i sostenitori della tradizionale braccata e i fautori della caccia all’aspetto.
Sicuramente, le due suddette forme sono molto diverse, ma non necessariamente mutuamente esclusive. In primis sono la conformazione del territorio, la copertura boschiva, l’antropizzazione (in termini di strade e case), che configurano la vocazione di una certa zona verso l’una o l’altra forma di caccia. La macchia mediterranea della Maremma, con la sua vegetazione bassa e fitta, spesso inespugnabile, in assenza di campi aperti, poco si presterebbe ad una forma di caccia all’aspetto.
Le aree attigue a coltivazioni intensive, con radi spot di bosco in mezzo ad una predominanza di campi, richiedono forse un approccio di più ampio respiro non solo spaziale, mal gestibile con la braccata, ma anche temporale, dovendo far fronte anche (talvolta soprattutto!) alle necessità degli agricoltori. La tempistica dei danni arrecati dal cinghiale sull’agricoltura non sempre collima con la stagione venatoria, ma è sempre più urgente contenere le popolazioni al momento della semina e nel corso dell’estate.
Nelle aree non vocate l’azione del cacciatore è coadiuvante alle attività agricole. Nelle aree protette, come le ZRP, l’intervento dei cacciatori con azioni di controllo numerico, hanno lo scopo di ripristinare la giusta densità dei cinghiali, aumentata a seguito della pressione venatoria circostante nei mesi dedicati alla braccata. Ecco che, in questa visione, la caccia, specialmente al cinghiale, si estende su quasi la totalità dei mesi dell’anno. Chi pratica l’una non solo non dovrebbe denigrare l’altra ma, anzi, dovrebbe praticare possibilmente entrambe. Quale occasione migliore per conoscere e vivere il territorio in cui si opera? Per mantenere viva la coesione con gli altri “colleghi”, più o meno amici? In questa Italia apparentemente priva di spina dorsale, in cui le leggi vengono scritte e applicate da persone spesso prive di competenza e lungimiranza, noi cacciatori dovremmo prenderci la responsabilità di intervenire su questioni cruciali come la gestione del territorio, a beneficio della nostra passione e delle specie che amiamo cacciare. In barba a quanti, con malcelata malafede, godono delle divisioni che minano il futuro della nostra categoria.
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