Fra un volo di colombi e uno zirlo di tordo, un abbaio a fermo, un frullo di beccaccia e un'esplosione di colori sotto la ferma del bretoncino, il fischio di un camoscio - queste sono le nostre cacce, senza rinnegare ovviamente quelle ai palcuti abitanti del bosco, che fanno tanto mitteleuropa con aggiunta di cappellino alla tirolese - si continua a discutere di prospettive future per la nostra caccia.
Non possiamo più adagiarsi sullo storico ruolo di difensore delle istanze di categoria - si dice - ma dobbiamo rinnovarci percorrendo due binari: quello politico con l’unità; quello tecnico con l’elaborazione di progetti basati sulla ricerca scientifica. In questo modo si potrà essere propositivi e trainanti, con maggiori possibilità di intessere rapporti con gli altri. Verissimo. Ma come?
Qui, ognuno ha la sua ricetta, purtroppo o fortunatamente, dalla quale (meglio: dalla sintesi virtuosa delle quali) trarre non solo auspici, ma concrete applicazioni. Magari passo dopo passo, senza esagerare, né da una parte né dall'altra, ma con decisione. Il tempo degli indugi è ormai stato consumato ampiamente. E' anche passata la stagione dei tesseramenti, per cui, almeno fino a giugno dell'anno prossimo si potrebbe davvero ragionare con pacatezza sul da farsi. E' vero, dimenticavo, a fine stagione si prospetta un animato (o animoso) congresso associativo dove se ne preannunciano delle belle. Ma staremo a vedere.
Pensiamo a noi, dobbiamo pensare a noi, prima che alle poltrone.
L'unità. Passi avanti se ne sono fatti. Non solo in Toscana, dove seppur a fatica si procede verso una confederazione. Probabilmente perché si continua - ovunque - con la caccia al tesserato e si trascura l'analisi sul palese declino, non più rinviabile: passati ormai anche i tempi supplementari, siamo ai rigori. La crisi economica, d'accordo, ha fatto la sua parte, ma il fenomeno data a diversi, molti, anni prima. I più "acidi" l'attribuiscono all'approvazione della 157/92. Secondo me, è ancora precedente. La stagione referendaria parte dalla fondazione del WWF Italia, che ha come promotori una categoria di cacciatori che puntano alla privatizzazione della caccia, buona o cattiva che la si intenda. Ambientalisti, radicali, verdi, sollecitati da questi "poteri forti", a questo obiettivo puntarono, prima con campagne di sensibilizzazione anticaccia, poi con i referendum.
In parallelo, i cacciatori già si erano strutturati in associazioni spesso in conflitto fra loro, "conservatori" e "progressisti", termini vaghi a seconda dei punti di vista. La minaccia dei referendum portò a temporanee fittizie unificazioni, evaporatesi immediatamente dopo il passato pericolo. Qui sta il nocciolo "politico" della storia. Che appunto è figlio di una diversa e opposta visione del rapporto fra cacciatore, territorio e società. Fino a quando non troveremo un ubi consistam condiviso, sarà dura.
Il deficit sociale e culturale si nota soprattutto se si analizza il nostro spaccato demografico. Non abbiamo sufficiente ricambio. Il che ci porta ad esprimere comportamenti sempre più acquiescenti da una parte, e sempre più insofferenti dall'altra. E' da qualche decennio che qua e là si lanciavano lamenti per sollecitare il problema: mancano i giovani, si diceva. Oggi non è cosa da poco. Prima ancora che disquisire su cosa ci manca culturalmente per recuperare il gap con altri paesi d'Europa, di questo ci dovremo preoccupare. Prima di tutto giovani, magari anche di duplice genere (ah le donne!), ai quali immediatamente trasmettere conoscenza tecnica, si, ma soprattutto "sensibilità politica". Indirizzandoli verso il superamento degli steccati intersettoriali. Il percorso verso l'unificazione diventerebbe più semplice, se tutte le associazioni facessero confluire i nuovi virgulti verso un futuro condiviso.
Sorprende finalmente scoprire che qualcuno sta facendo outing. La scarsa qualità della caccia, soprattutto quella alla selvaggina minore e la peccaminosa scarsa attenzione alle sollecitazioni dei migratoristi, meritano una precisa rivendicazione. Che deve passare attraverso una drastica revisione della 157. Anche concettuale. Il principio che sovrintende all'articolato, che nega l'attività della caccia "salvo eccezioni", con la dose rincarata da quell'altro capolavoro della 394/91 (Aree Protette), ha già fatto tanti di quei danni che anche il più distratto dei cittadini se ne sta accorgendo. In questo brodo di coltura prolificano le infinite nequizie perpetrate da quel cosiddetto mondo verde/ambientalista, ormai alla completa disfatta, ma proprio per questo più pericoloso (in cauda venenum), che sembra voglia rivolgersi a un altro comico (non ne bastava uno) per rivitalizzare la base scomparsa. Comico, Giobbe Covatta, che schermendosi, ha comunque riconosciuto che i verdi nostrani non assomigliano per niente a quel movimento che in Europa è ben più vivo e vegeto. Tanto per fare un piccolo esempio, è opportuno ricordare che in Francia, la Ministra dell'ambiente sta con i cacciatori. E anche Hollande. E in Francia, lo sappiamo tutti, la caccia è praticata diffusamente nel rispetto delle prerogative della tradizione, abbastanza simili alle nostre.
Quel mondo ambientalista, che ormai si annida anche nei gangli delle istituzioni, che fomenta rappresaglie attraverso subdoli interventi nelle segrete stanze di Bruxelles.
E' vero, per recuperare il terreno perduto, si dovrà puntare a un cambio di mentalità, che veda come obiettivo primario dell’associazionismo anche la tutela ambientale insieme alla difesa sindacale. Un confronto serio e serrato con tutti, e un messaggio univoco all'opinione pubblica, magari prendendola anche per la gola. Il moltiplicarsi di iniziative e di occasioni per valorizzare a far conoscere la bontà delle carni di selvaggina al grande pubblico è un segnale davvero incoraggiante, a dimostrazione che forse, finalmente, siamo sulla strada giusta.
Ce la faremo. Dobbiamo esserne convinti.