Si dibatte, alla buonora!, su possibili modifiche anche radicali della legislazione che attiene la caccia e la gestione del patrimonio faunistico e ambientale. Di recente, con ampio merito per chi sta sostenendo anche mediaticamente queste sempre più approfondite riflessioni, diversi e ben stimati esperti si sono misurati anche criticamente sulla situazione congiunturale (della caccia), ormai su più fronti non più sostenibile.
Giova perciò impegnare un po' d'inchiostro non solo sulle malefatte dei calendari, o sulle ingiustificate disposizioni legislative, ma - un po' più in prospettiva - su cosa fare per recuperare il divario culturale che fa segnare il passo a una categoria, quella nostra, dei cacciatori, cosa oggi più che mai importante per contribuire alle soluzioni, gravi, che pesano sul nostro territorio extraurbano. Chiamatelo come volete. A mio parere si dovrebbe dire rurale e rafforzarlo col termine "paesaggio", piuttosto che continuare con la sciocchezza, perpetrata da decenni di incultura, che attribuisce alle campagne del nostro paese l'appellativo di "naturale"; quando c'è perfino sempre più gente, sè dicente "istruita" (o perfino "colta"), che addirittura scomoda l'aggettivo "selvaggio".
Insomma, ho letto in questi giorni dalla penna di persone molto autorevoli, che, fra le riforme da fare, una determinante sarebbe quella di uniformare il processo di formazione di coloro che intendono prendere la licenza di caccia.
Pur di fronte a tanta scienza, mi viene voglia di dire la mia. In effetti è vero, il ristagno culturale a cui si assiste è evidente. Ma, scusatemi, non riguarda la caccia, nè tantomeno i cacciatori. O almeno, non solo i cacciatori. E se c'è un peccato originale, nella questione specifica, lo si dovrebbe far risalire a scelte sbagliate, ormai dell'altro secolo, che hanno lasciato la politica dell'ambiente, così genericamente inteso, nella mani di torme di biologi e zoologi post-sessantottini, piuttosto che - ispirandosi a ben più consolidate esperienze forestiere, vedi Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna - affidarsi a zootecnici e agronomi che avrebbero avuto ed hanno basi ben più stabili, fondate sull'esperienza sul campo, piuttosto che una formazione acquisita da un'infanzia condita da poco pane e olio (merenda campagnola, consumata open air), a vantaggio di ingozzate di nutella (merendina metropolitana indoor), con spruzzatine di natura contraffatta, modello Disney.
No, purtroppo in questi decenni abbiamo toppato. Anche il mondo della caccia, per non aver intuito che nelle menti e nelle coscienze delle nuove generazioni si stava formando una pericolosa deriva ecologista/animalista. Perché, sempre a mio modesto avviso, è lì che abbiamo sbagliato, ed è lì che dovremmo recuperare. Per cui, prendendo spunto pedissequamente dalla scaletta per rendere uniforme l'esame di caccia per meridionali e settentrionali (come se bastasse per equiparare socio-culturalmente la Sicilia o la Calabria al Trentino o al Piemonte, tenendo anche conto delle evidenti sacche di disagio padane, purtroppo) vorrei che ci si adoperasse, a casa nostra, dei cacciatori, per una riflessione più estesa. Partendo non dai corsi per l'esame di caccia, ma - più impegnativamente - dall'educazione dei nostri figli e nipoti.
Senza imporre niente, ma proponendo loro, a scuola, a casa, in vacanza, nei campi estivi magari gestiti in collaborazione con associazioni ambientaliste, quelle più serie, non ostili, proponendo dicevo il nostro punto di vista, le nostre conoscenze per fornire loro i primi elementi sulle ragioni della caccia, sulle norme (rigorose) di questa nostra attività, le diverse specificità (caccia con il cane, caccia da appostamento, alla migratoria con i richiami, agli ungulati), la biologia e l'etologia degli uccelli e dei mammiferi, la catena alimentare, i principi di zoologia applicata, le dinamiche predatore/predato, la buona agricoltura, l'equilibrio ambientale, il trattamento del carniere per la cucina (oggi le chiamano spoglie), l'educazione alimentare. Ma perché no, anche una corretta informazione sulle armi e le attrezzature da caccia, l'etica del cacciatore, l'importanza della caccia nella società contemporanea. Nelle dovute maniere, ovviamente, utilizzando un linguaggio filtrato da sensibilità da educatore.
A occhio e croce, un bell'impegno. Sicuramente. Che prima di tutto avrebbe necessità di una classe dirigente venatoria all'altezza del compito. E questo, a mio avviso, dovrebbe essere l'obiettivo su cui impegnare quei pochi (o tanti) che al momento hanno offerto la loro disponibilità per contribuire a ripensare la caccia. Che si diano da fare, quindi, prima di tutto per educare gli educatori!
Vito Rubini