A ormai un paio di mesi di distanza, passato il clamore della notizia e il controclamore della protesta, non farebbe male riflettere a bocce ferme sul troppo discusso esaltato e bistrattato progetto "Ambiente Legalità Lavoro", che ha visto dopo tempo immemorabile impegnati personaggi di primo piano del nostro pollaio mediatico e istituzionale, messi insieme da un composito e altrettanto in vista (per la caccia) comitato di promotori.
Osserviamo l'evento, andando a strologare fra i diversi ed eterogenei protagonisti.
Cominciamo dal Ministro: noblesse oblige! Il classico simbolo di quella vecchia politica che il nostro premier vorrebbe, dico vorrebbe, rottamare. Il giorno prima - senza nessura ragione di urgenza - prende a calci la caccia e i cacciatori e il giorno dopo dichiara che la caccia e i cacciatori sono elemento indispensabile per la gestione del territorio e per il benessere della fauna selvatica. Complimenti al cerchiobottista, avrebbe detto il vecchio Di Pietro (anche lui, ormai sul viale del tramonto, prima cacciatore e poi ostile alla caccia, malgrado che il suo figlioletto sceso anche lui in politica - sotto la paterna protezione - non disdegni di occuparsi di caccia in terra d'origine).
Beppe Bigazzi: tanto di cappello a un uomo che incarna l'essenza vera della cultura campagnola. Un po' gigione ma sicuramente un grattacielo che svetta sulla suburra culturale e morale di una canea di mezzibusti televisivi stravenduti al marketing buonista di bassa lega. Non disdegnato nè da Fazio nè dalla Littizzetto, anche se è pressochè impossibile raggiungere i livelli della... caramella (bianca) col buco della Colò, targata - la caramella - WWF, oggi guidato dalla pescatora/gourmet Donatella Bianchi, regina della contraddizione: promuove la pesca (professionale e sportiva), apprezza e promuove la cucina a base di pesce, mentre boccia schifata la caccia.
Giorgio Calbrese. Autorevolissimo nutrizionista, non il solo, per la verità, nella sua categoria, come molti chef pluristellati (vedi ultimo numero de "Il Gambero Rosso"), a sostenere bontà e valori salutistici della selvaggina. Tanto di cappello, anche a chi lo ha sollecitato a intervenire.
Stefano La Porta, direttore generale ISPRA, che riconosce la necessità di rivedere la legge sui parchi, che - se ne deduce - non consente al momento una corretta gestione dei carichi faunistici. Se ne accorgono dopo vent'anni, ma ben vengano certe aperture, con l'auspicio che questi signori che si proclamano depositari del verbo scientifico ambientale arrivino finalmente a capire quanto strabici sono stati in questi anni: forse ispirati dalle fallimentari politiche ambientaliste dei nostri verdi radical scic d'antan (più volte rigeneratisi sotto nuove sigle le più astruse), mentre cercavano il male nella caccia, non si sono accorti che il belpaese soffocava sotto i molteplici attacchi di infinite e turpi speculazioni.
Giampiero Sammuri. Presidente di Federparchi, anch'egli uomo dalle diverse poltrone. Per la verità sempre disponibile al dialogo con i cacciatori, anche se a volte con idee arzigogolate. Chiede la collaborazione dei cacciatori a salvaguardia della salute dell'orso marsicano. Comunque, anche questo, un buon segno. E' praticamente una dichiarazione di fallimento delle politiche ambientaliste alla Fulco Pratesi e alla Pecoraro Scanio, anch'essi strabici a loro insaputa, che additavano nei cacciatori gli unici reprobi per le malefatte nei confronti del patrimonio faunistico. Che aveva ed ha ben altri nemici, purtroppo. E nel cacciatore uno dei pochi e sinceri amici, invece.
Stefano Masini. Responsabile ambiente di Coldiretti. Autorevolissimo. Sicuramente da sempre benevolo nei confronti della caccia. Anche se nell'occasione relegato a temi importanti per l'agricoltura, come il problema della agromafie, ma marginali per il rapporto dell'agricoltura con la caccia, soprattutto se esaurito entro i confini dei danni causati dalla selvaggina. C'è da augurarsi, invece, che al proposito la nostra pavida politica, purtroppo declinata attraverso le categorie che gestiscono ingenti pacchetti di voti (agricoltori, chimici, ambientalisti, lobbies di vario genere), prenda finalmente il toro per le corna e abolisca il divieto di caccia nei parchi, perchè là, ne parchi, ingrassano ingenti e incontrollate popolazioni soprattutto di ungulati (ma qualcuno ci ricorda che anche il lupo non scherza) che scorrazzano ovunque indisturbate, in periodo di caccia chiusa anche fuori dei parchi; recando danni, in alcuni casi (ma senza esagerare), non più sopportabili da chi dalla terra trae sostentamento. Volendo pensar male, l'alternativa - purtroppo non risolutiva - ci auguriamo che non sia quella della privatizzazione della caccia, a cui da decenni pensa chi "arma" molti ignari "ambientalisti-animalisti", tanto virulenti quanto sciocchi.
Silvio Barbero, Vice Presidente Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Come dire Slowfood. Che più degli accademici dell'Università Federico II di Napoli, nobilita l'iniziativa e il progetto, in quanto tutto quello che nasce e che si sviluppa intorno all'idea originale di Carlo Petrini - uomo di caratura mondiale - è "sano buono e giusto". La riprova che l'abbondanza, la quantità e la qualità della carne di selvaggina hanno raggiunto nel nostro paese livelli significativamente importanti. Anche qui c'è da augurarsi che la troppa attenzione non porti a una privatizzazione esasperata e soprattutto che prosciutti e lombate "selvatiche" non facciano dimenticare che la caccia italiana è specialmente caccia alla migratoria. Brutti, bruttissimi, sono i segnali che da troppo tempo ci giungono da Roma, dal Ministero dell'Ambiente, dai tanti Governi che si sono succeduti, dal Parlamento in mano alle passionarie alla Brambilla. Di Bruxelles poi non ne parliamo, ostaggio anche qui delle lobby delle multinazionali, che nascondono certi turpi interessi agendo sull'anello più debole della catena. E dove sembra che anche i funzionari prendano ordini da quella sciagurata masnada di ambientalisti nostrani, che dovranno rendere conto di fronte alla storia di tutte quelle malefatte nei confronti dell'ambiente che senza muovere un dito hanno consentito che si consumassero.
A questo, alla salvaguardia della caccia alla migratoria, dovrebbero fare attenzione quelli del CNCN, bresciani ma non solo, che insieme alla vituperata troika hanno sostenuto questa iniziativa, anche con merito, se vogliamo, seppur con non pochi ritardi, e ancora molte scorie: mutuiando dalla grappa, si potrebbe dire che intorno al cuore c'è ancora troppa testa e troppa coda. E in tempi di crisi, sarebbe meglio utilizzare le poche risorse per obiettivi più mirati.
Una curiosità, non senza un pizzico di malizia. Si è speculato tanto sull'accordo inverecondo fra cacciatori e ambientalisti, o meglio fra Troika e Legambiente. Ma in quell'occasione - aldilà di una reiterata litania sui danni all'agricoltura - di Legambiente si sono sentiti solo gli echi, con i saluti di Realacci (ormai presidente onorario, con nessun ruolo operativo) mescolati nel rumore di fondo dei saluti di tanti ministri e plenipotenziari, che sicuramente hanno dato rilievo all'evento e alla strada intrapresa. Non è che - mi chiedo - questo abbraccio vituperato ha creato più imbarazzo agli ambientalisti che ai cacciatori? Perchè se così fosse, un risultato l'avremmo già raggiunto.
E in ogni caso, l'eco mediatico che da tutto questo ne è risultato, ribadito grazie al CNCN anche a Vicenza, ci porta a constatare che, finalmente, sui grandi mezzi di comunicazione si parla di caccia in termini positivi, dopo tante troppe amarissime cronache anticaccia che ci siamo dovuti sorbire. Prendiamoci intanto questo. Poi chi vivrà vedrà.
Enrico Manetti