CACCIATRICI SI NASCE. UN'APERTURA AL TEMPO DELLE MELE lunedì 29 settembre 2014 | | Sono nata in settembre, e da sempre ho amato ogni singolo giorno del mese che è ancora estate, ma che è anche autunno. Settembre di mele mature e fichi, di sole che scalda ancora, di uva, vendemmie e mosto dolce, di nuove maggesi, di colori ed atmosfere che cambiano, nei giorni piu' brevi.
Ricordo da bambina, gli spari dei cacciatori che sentivo dalla mia camera, al mattino quando mi svegliavo, o dalla scuola, in tarda mattinata. Facevano parte del paesaggio in cui stavo crescendo, era un tutt' uno, ed avendo padre, nonni e zii cacciatori, mi piacevano, facevano parte del mio vivere.
In realtà, l'emozione di mio padre e dei miei nonni, che aspettavano quel giorno da settimane, passava anche a me. Che bambina, desideravo seguirli, ma proprio perchè bambina, non si poteva, perchè oltre ad esser cose da grandi, la caccia era cosa da maschi.
Desideravo seguirli, perchè amavo la campagna all'alba, i colori, il vento tiepido della mattina fresca, la rugiada e i profumi.
Amavo l'emozione che ancora adesso in quei giorni, avverto nell'aria, la preparazione della cartucce e l'odore dell'olio per pulire il fucile, e anche l'odore della polvere da sparo, se capitava appunto di incontrare la preda.
E siccome, non mi portavano mai, perchè ero femmina, una volta, in quarta elementare decisi di andare lo stesso all'apertura alle tortore tra i girasoli.
Non mi importava se nel campo, sarei dovuta star nascosta dietro mio padre e se mia madre si sarebbe arrabbiata. Preparai tutto per giorni: gli stivali fregati alla nonna, i calzettoni di lana per stare negli stivali un po' grandi, l'impermeabile verde e il berretto mimetico. Poi la notte dell'apertura, non dormii mai, con la pila sotto le lenzuola e la sveglia in mano, ...alle tre del mattino scesi pian piano in garage, mi vestii rapidamente, e mi nascosi dietro, tra i sedili dell' Alfa Sud rossa di mio padre, che già aveva preparato tutto per l'apertura: fucile, munizioni, cartuccera, gilè.
Aspettai che mio padre fosse abbastanza lontano da casa, per non correre il rischio che mi ci riportasse e uscii allo scoperto. L' unica cosa che mi disse mio padre fu:"Non dir mai a nessuno il posto". E così feci anche gli anni a venire. Mio nonno materno mi pregava per ore "Dimm du va el tu ba" "Dimmi dove va' tuo padre" "Dai dill mal non cuchina che te facc un bel reghel" "Dillo a tuo nonno cocchina che ti faccio un bel regalo". Ma mai svelavo i posti in cui mio padre aveva trovato gli animali, in quel caso tortore. Le cercava i giorni prima: andava a vedere dove andavano a dormire, o a bere e le trovava sempre prima di altri. Faceva un piccolo riparo al bordo del campo ed attendeva. Ed anche quella mattina che per andar a caccia con lui mi ero nascosta aveva fatto i giorni prima il riparo. All' angolo Est del campo a girasoli, ben mimetizzato tra arbusti e rovi. Le tortore per andar a mangiare ci passavano sulla testa. Mi posizionai dietro mio padre con l'ordine assoluto di non muovermi altrimenti ci avrebbero visto e addio e di cercar di visualizzare con lo sguardo dove sarebbero cadute. Ricordo ancora l' alba tiepida, le luci soffuse dell inizio del giorno tra i girasoli maturi e le poche more di rovo rimaste. Era bello star lì ad aspettar le prede. Quando arrivavano mio padre si emozionava, caricava il suo Benelli calibro 20 e non sbagliava mai bersaglio. Ce l aveva nel sangue e si vedeva. E ancora si emoziona!
Si sentivano gli spari lontani e nell' attesa sgranocchiavamo due noci, un grappolo di uva della vigna del nonno, un pezzo di pane. Era tutto speciale consumato lì in quel piccolo riparo seduti a terra. Poi, poco primadell' orario consentito allo sparo, ci muovemmo alla ricerca delle tortore, ricordando dove erano cadute. Iniziava un' altra avventura tra i girasoli stessi, con lo sguardo a terra per trovar penne e quindi il carniere della mattinata. E mio padre mi spiegava che venivan dall' Africa le tortore in migrazione per nidificare, verso la meta' di aprile per poi tornare a svernare in Africa. E che era stato abituato sin da ragazzo a cacciarle e poi mangiarle anche perchè mi spiegava - somiglian ad un piccione vedi?- e mia madre gran cuoca le avrebbe cucinate presto col ripieno e le olive nere. -mi farò insegnare dalla mamma- -Brava chi sa cucinare sa ben amare!- Quella fu la mia prima apertura. Voluta talmente tanto da nascondermi e potere stare a guardare in silenzio la mattina, le tortore, i girasoli e il cielo settembrino. Con quella pulsione dentro a madre natura e a ciò che in essa accadeva dalla notte dei tempi. L' uomo che si procaccia cibo. Per me che avevo nove anni era quello. E anche oggi dentro sento la stessa pulsione. La consapevolezza che pur in tempi moderni e tecnologici per me e dentro di me è ancora quello: una natura madre che dà sostentamento nel rispetto che mio padre nonni e zii mi han tramandato per i cicli naturali degli animali e delle stagioni di essi. | | | |