Ellien in ferma espressiva su starna sbrancata
E’ a stagione inoltrata che questo selvatico sviluppa le migliori strategie di difesa, esaltando realmente le doti del cane da ferma. Il problema è farle arrivare a metà ottobre…
Tanto per cominciare, una premessa: le starne, quelle vere, in Italia non esistono più da quasi quarant’anni. Almeno, non esistono più sul territorio libero. Qualche traccia di starna italica, la cosiddetta “forcaiola”, la si può ancora trovare soltanto in alcune delle grandi aree protette abruzzesi; si tratta tuttavia di chimere e comunque, conti alla mano, il loro numero è a dir poco risibile rispetto all’intero territorio nazionale disponibile.
Del resto, la starna è animale originario delle fredde steppe, con i Balcani e l’Italia centrale che rimangono i due areali più meridionali nei quali la specie sia mai riuscita ad attecchire. Se poi si concentra il discorso alla sola penisola italiana, habitat e zone di pastura sono andati scomparendo con il violento aumento della temperatura media nazionale – specie in estate, quando i nuovi nati sono ancora vulnerabili – e, soprattutto, con il passaggio all’agricoltura intensiva, caratterizzata da lunghe distese di monocolture, cui si va ad aggiungere l’abbandono delle coltivazioni pedemontane e collinari. Non ultimo, per la verità, anche l’uso indiscriminato del fucile ha contribuito non poco alla progressiva scomparsa di questo nobile volatile, dalle campagne come dai promontori del Belpaese.
Ciò detto, va da sé che non si può parlare di caccia alla starna, almeno qui in Italia, senza fare riferimento a quelle poche aziende faunistico-venatorie la cui oculata gestione consente, ancora oggi, di poter osservare due o tre voletti di starne nate all’aperto, da riproduttori validi ancorché d’allevamento. E’ evidente che il comportamento di questi selvatici non potrà certo essere lo stesso delle italiche di un tempo; tuttavia, confrontarsi in ottobre avanzato con una brigata di starne nate libere, meglio ancora se in quota, è impresa tutt’altro che semplice, ricca di spunti interessanti per cane e cacciatore.
Venendo al sodo, la starna rappresenta la selvaggina ideale per qualsiasi cane da ferma: l’universo della cinofilia glielo riconosce all’unanimità. E’ sulla starna che il bravo fermatore si esalta, sviluppando – se davvero di valore – tutte le malizie necessarie per avvicinare un selvatico mai scontato, ed esprimendo le azioni più spettacolari volte a raggiungere il risultato.
Forse, in questo momento, qualche lettore starà sorridendo al pensiero degli starnotti di tre mesi pronta-caccia, freschi di lancio da parte dell’Atc o della sezione comunale di questa o quella associazione venatoria, facili prede che non sopravvivono quasi mai alle prime tre ore di caccia, il giorno dell’apertura. Ma questi animali domestici non sono le starne di cui si sta parlando, divenute oramai vera rarità. Imbattersi in un branco nato libero e poterlo insidiare in Italia rappresenta, già di per sé, una gran fortuna per qualunque amante del cane da ferma. Tuttavia, come ben sa chi ha avuto la ventura di incontrarle, una volta scesi sul terreno e dato inizio alle ostilità c’è ben poco da sorridere… Palla lunga e pedalare: Tanto per il cane quanto per il conduttore.
E se a settembre i galliformi, non avendo ancora completato la muta delle penne, si rivelano di indole più pigra del normale, compiendo brevi voli anche sotto la pressione di un buon ausiliare e del fucile, in ottobre i valori in campo cambiano di brutto: rimesse prossime al chilometro, spesso oltre sbalzi di terreno complicati da superare se non si hanno le ali; frulli leggeri e silenziosi anche al minimo rumore sospetto, quasi sempre fuori tiro.
Trovandosi a competere con prede di tal guisa, per di più in ambienti montani vasti e difficili da battere per intero, l’unica cosa da fare è giungere sul posto ben prima di giorno, sperare nella fortuna di udire il canto degli animali – molto difficile in ottobre, più usuale alle prime gelate pre-invernali – e poi, se non c’è concorrenza, attendere con pazienza che trascorra il tempo, almeno un’oretta ma molto meglio se un paio. Mentre il cacciatore aspetta dominando la propria ansia, le starne se ne staranno in pastura: inizialmente con tutti i sensi all’erta, e poi sempre più tranquille. E’ verso la terza ora di luce che si può sciogliere il proprio cane da ferma, ovviamente un soggetto avido di terreno, dotato di gran fondo, ben preparato e che debba “volere” a tutti i costi le starne; condizioni, queste, tutte necessarie e indispensabili se si vuol nutrire una ragionevole speranza di cogliere i selvatici impreparati e impigriti dalla lunga colazione. Ma appunto, come si diceva, qui non si tratta di animali usciti fuori da una voliera: anche se appesantite dalla pastura e con la guardia parzialmente abbassata, le starne in pieno autunno sono estremamente diffidenti, e tendono a sottrarsi con lunghe pedinate, pur prese a vento da un bravo cane, che le ferma a decine e decine di metri di distanza. Pertanto, non è raro assistere alla scena del branco che prende il volo a due tiri di distanza, nonostante cane e cacciatore abbiano osservato il massimo silenzio e tutte le accortezze sopra descritte.
Trovandosi ad aver a che fare con brigate di starne così “cattive”, il massimo dell’espressione artistico-venatoria cui si possa assistere è la cosiddetta manovra “a tenaglia”, peraltro estremamente utile ai fini del carniere e realizzabile solo grazie ad un elevatissimo livello di fiducia e collaborazione tra cane e cacciatore. Quando l’ausiliare cade in ferma, anziché servirlo da dietro o di lato si compie un lungo giro, cercando di restare nascosti da una qualche pendenza o altri ostacoli naturali. Il cane deve rimanere completamente immobile, senza guidare, onde evitare ulteriori fastidi al branco. Una volta compiuto il giro, con un po’ di fortuna ci si ritrova di fronte al cane puntato, a un centinaio di metri da lui. Allora, con un cenno del braccio – quanto tempo trascorso in cortile ad insegnare i comandi a distanza…! –, si ordina all’ausiliare di procedere in guidata. Con questa procedura, se attuata in maniera rapida, le probabilità di un tiro utile crescono in modo considerevole.
A proposito di accortezze, è bene ribadire ancora una volta che la prima fra tutte deve essere l’assoluto silenzio: il che significa che il livello di affiatamento tra cane e cacciatore deve essere massimo, tale da poter fare a meno del benché minimo richiamo o sussurro per indirizzare l’ausiliare in cerca verso la direzione voluta. Riguardo alla compagnia a due gambe, poi, l’ideale sarebbe quello di andare a starne da soli. E’ chiaro che in due si hanno maggiori probabilità di rubare una fucilata al branco, ma è anche vero che è più facile farsi scappare una parola, a meno che non si tratti di veri appassionati, che cercano entrambi la stessa emozione dalla caccia. Dunque è consigliabile andare da soli, o al massimo in due davvero affiatati. Ad ogni modo, la caccia alla starna perde tutto il suo fascino se praticata in gruppo, come spesso in passato purtroppo succedeva. La caccia a rastrello, vergognosa abitudine che ancora alcuni conservano specialmente durante i primi giorni della stagione, è stata una delle principali cause della fine della selvaggina stanziale, e della starna in particolare.
Ecco, tornando alla starna vera e propria, si è sinora parlato delle sue scaltrezze e diffidenze nella fase centrale della stagione, che tornano ad affievolirsi con l’arrivo dell’inverno. Quel che ancora non è stato citato, tuttavia, è la più grande forza di questo meraviglioso animale gregario: il branco, appunto. Finché la brigata riesce a rimanere unita, sarà molto difficile anche per il più esperto riuscire ad aggiustare un tiro che non sia di fortuna. Ma non appena il branco si rompe, non appena cioè – generalmente dopo diverse alzate – la famiglia si apre a ventaglio perché sbandata, oppure perché magari una delle starne è stata colpita, allora ecco che tutte le difese di questo splendido volatile, che fino a un minuto prima sembravano impenetrabili, decadono di colpo trasformando il branco, leggero e silenzioso, in un insieme di animali isolati, che si affidano all’immobilità e alle rimesse da loro ritenute più sicure per sfuggire al binomio, ora sì divenuto terribile, composto dal cane e dal cacciatore.
E’ in queste occasioni che è possibile sentire il canto delle starne anche di giorno, quando cioè gli uccelli si richiamano nel tentativo di ricongiungersi di pedina. Se il cacciatore è rapido e di buona gamba, e se il cane è davvero allenato e infaticabile, battendo il terreno a raggio sarà possibile imbattersi in numerosi incontri dall’esito più facile, con le starne singole che tengono la ferma come non mai, lasciandosi quasi pestare prima di levarsi in volo. Va da sé che se un tempo, quando di starne selvatiche ve ne era in abbondanza, il momento della rottura del branco era quello più atteso per avere la meglio sull’intera brigata, ora che i tempi sono “leggermente” cambiati è legge sia scritta che etica rispettare le starne allo sbando, limitandosi a prelevarne il numero consentito (generalmente una o due al giorno per ciascun cacciatore). Purtroppo le immissioni violente e la non-cultura del consumismo, unite all’assenza pressoché totale di controllo, rendono queste premure inutili e anzi dileggiate da molti “cacciatori”, che fanno del numero delle prede la misura per definire la propria abilità o, peggio ancora, in alcuni casi virilità. Il discorso, su questo versante, sarebbe molto più lungo di questo piccolo contributo.
Per completare la panoramica sulle starne, che ovviamente non potrà mai dirsi esaustiva, è doveroso un cenno al fatto che questi animali, per loro natura, non temono le temperature fredde, e sono capaci di reggere l’alta collina fino all’arrivo della neve, a patto che vi siano adeguate pasture. E’ chiaro che la presenza di campi coltivati in maniera biologica, meglio ancora se colture estensive o “a perdere”, facilita non poco lo sviluppo delle popolazioni, che generalmente non hanno bisogno di approvvigionamenti d’acqua particolarmente copiosi (la rugiada del mattino basta e avanza per abbeverarle).
Due parole, infine, vanno spese per il cacciatore di starne, quello vero: senza dubbio un tipo strano, amante del bello, della cinofilia di livello e, prima di tutto, dell’inseguimento dei sogni. Un uomo che non si rassegna a vedere svanito il mito della starna, che non cede alla tentazione del fagiano o della rossa, animali indubbiamente più facili da allevare e in grado di meglio adattarsi alle mutate condizioni climatiche e ambientali. Raramente il cacciatore di starne se ne va in giro con l’automatico, preferendo la doppietta o il sovrapposto con due canne rispettabili: per esempio 71 a quattro e due stelle, oppure 68 a tre e una e simili. Le cartucce, generalmente, vanno dall’accoppiata 8 e 7 di apertura di stagione fino alla 7 e 5 tardo-autunnale. Ma in materia di balistica, come sempre fra cacciatori, si sa che il fucile migliore è quello che più ci piace e che meglio si adatta alla propria imbracciata, mentre la cartuccia più adatta è quella che va a segno abbattendo il selvatico… Non è una scienza esatta, ma è il massimo che si possa consigliare.
Cicero in ferma su branco "lungo"