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22/04/2022 15.55 

 
 
Quando finalmente nel lontano 1976 presi la licenza, gli insegnamenti di mio padre e di mio nonno si limitavano alle norme di sicurezza, all’uso delle armi, alle tecniche di caccia, alla gestione degli ausiliari e alle prime rudimentali operazioni di preparazione delle spoglie dei selvatici abbattuti. Imparai a spennare un tordo, a “starnare” un fagiano, a spellare un'anatra e un rallide, a eviscerare una lepre e a scuoiare volpi e cinghiali; oggi le cose sono cambiate con l’avvento della caccia di selezione; oltre alle suddette operazioni è stato necessario imparare a farne delle altre, più specialistiche e molto più delicate, come il recupero di campioni organici e il rilevamento dei dati biometrici. Inoltre, chi, come il sottoscritto, ha contratto la “febbre” del trofeo (come ricordo personale e mai come forma di competizione tra cacciatori), si è dovuto rimboccare le maniche per imparare ancora una cosa: come prepararlo. Esistono degli ottimi tassidermisti, alcuni veri e propri artisti, abilissimi a naturalizzare gli animali selvatici in varie pose ed espressioni, ma un trofeo di capriolo o di daino in “bianco”, con un minimo di pratica, ogni selecontrollore dovrebbe essere in grado di prepararselo da sé. Vediamo quali sono le operazioni necessarie per ottenere un discreto risultato e con poca fatica.
 

Per comodità prenderemo come esempio un trofeo di capriolo, selvaggina d’elezione della caccia a palla in Italia, ma se si ha a disposizione spazio e accessori adeguati, il procedimento che descriverò è idoneo per preparare il trofeo di qualsiasi ungulato. Nel mio distretto di caccia è obbligatorio presentare per il controllo la testa del capo abbattuto munita di bollino di riconoscimento all’orecchio sinistro, con la mandibola separata e scarnificata. Se il capo è un maschio, dopo che ci verrà reso potremo iniziare la preparazione del trofeo. Occorre poca attrezzatura: un coltello di piccole dimensioni (max 10-12 cm di lama) ma molto affilato, una pentola adeguata, un fornello portatile a gas oppure elettrico (sconsiglio vivamente di fare queste operazioni nella cucina di casa pena un prematuro divorzio!!), una sega da macellaio, anche un normale seghetto a ferro va benissimo. Da qualche tempo si trovano dei Kit completi di dima, molto pratici ma non certo indispensabili. Ci dobbiamo inoltre munire di una piccola mola o frullino, un recipiente di plastica, del cotone idrofilo e dell’acqua ossigenata al 33 % e 120 volumi. Chi ha la fortuna di possedere anche un piccolo compressore potrà contare su un prezioso aiuto in più.


 

Dopo aver scuoiato completamente il cranio si procede con il taglio del trofeo secondo le direttive CIC. Qualcuno consiglia di eseguire il taglio dopo la bollitura, ma per esperienza personale ho potuto costatare che le ossa cotte sono troppo fragili e si rovinano con eccessiva facilità. Le linee di taglio ammesse sono sostanzialmente tre (vedi disegno) ma quella maggiormente in uso e più piacevole a vedersi è quella a “tre quarti di occhio” (Taglio A). Deve essere fatta “abbondante”, dall’occipite, di poco inferiore alla tangente dell’occhio e parallela al muso, facendo molta attenzione alle ossa del naso perché estremamente delicate. Dopodiché, sempre con cautela, onde evitare d’intaccare l’osso con la lama, provvederemo alla rimozione del cervello, degli occhi e di tutta la carne che si riuscirà a raschiare via. Sopra una superficie piana controlleremo se il taglio è stato eseguito correttamente, altrimenti lo possiamo riprendere ed aggiustare asportando il materiale in eccesso con una mola, con un frullino oppure con della semplice carta vetrata. Non dobbiamo dimenticare che anche le cavità ossee e le vene capillari contengono del sangue, per non parlare della carne che senz’altro non siamo riusciti a togliere. Se mettessimo subito a bollire il trofeo diventerebbe impossibile rimuovere questi residui completamente. Per cercare di ridurre al minimo il sangue rimasto nel nostro trofeo, è sufficiente immergerlo in acqua salata per mezza giornata. La soluzione salmastra macererà il tutto come se il cranio fosse stato abbandonato in mare. La cottura che segue deve protrarsi per almeno un’ ora e mezza-due, a seconda della mole e dell’età dell’animale; quando è finalmente completata, si eliminano gli ultimi residui di carne e tutte le cartilagini all’interno delle fosse nasali. Durante questa operazione l’aiuto del compressore è provvidenziale. L’aria compressa, oltre a togliere tutti i minuscoli pezzetti di carne, anche nei recessi più nascosti, che a lungo andare potrebbero emanare cattivi odori, provvede anche ad asciugare velocemente l’osso preparandolo al meglio per la fase successiva.
 

A questo punto, se avremo operato bene, ci ritroveremo tra le mani un trofeo pronto all’ottanta per cento e, se non addirittura di colore bianco latte, sarà almeno grigio chiaro. Il trattamento con l’acqua ossigenata andrebbe fatto immergendo direttamente il cranio nella soluzione chimica fino a un centimetro e mezzo–due dalle rose per circa mezz’ora L’osso è spugnoso e di conseguenza tende ad assorbire i liquidi; se il livello sfiorasse le rose con molta probabilità potrebbe danneggiarle. Così facendo si risparmia tempo e il lavoro viene perfetto, ma vista la tendenza dell’acqua ossigenata a diluirsi facilmente e a perdere le sue proprietà una volta esposta all’aria, ne dovremmo consumare una buona quantità. Quindi, per risparmiare il prezioso liquido, useremo un piccolo stratagemma. Copriremo completamente il cranio con del cotone idrofilo e poi lo bagneremo versandogli sopra l’acqua ossigenata, facendo sempre molta attenzione alle rose e raccogliendo il sopravanzo in un recipiente per poi recuperarlo Non ci resta altro da fare che mettere il trofeo ad asciugare al sole. L’azione combinata tra il prodotto chimico e l’effetto fotogeno faranno il resto.

Dopo che saranno trascorse un paio d’ore e prima che il cotone sia completamente asciutto, lo potremo rimuovere, ma non per gettarlo via. E’ conveniente inserirlo ancora umido nella cavità cranica, per completare il trattamento anche nella parte interna e lasciare asciugare definitivamente. Qualcuno si domanderà a cosa possa mai servire questa ultima operazione: a sfruttare l’azione corrosiva dell’acqua ossigenata per eliminare qualsiasi residuo possa essere rimasto all’interno del cranio, che col tempo potrebbe contribuire ad un suo prematuro “ingiallimento”. Cos’altro c’è rimasto da dire? Mi sembra di non aver dimenticato niente. Per fissare definitivamente il nostro trofeo sopra una tavoletta di legno, usate le apposite piastrine metalliche, evitando di riempirlo di stucco, resina od altro.
 

Dopo aver cercato di dare alcuni consigli su come preparare il trofeo di un ungulato in “bianco” (soltanto palco e teschio), adesso voglio avventurarmi nel descrivere quali sono le operazioni necessarie per scuoiare correttamente un selvatico e conservarne la pelle in buono stato, prima di affidarla alle abili mani del preparatore tassidermista. Ho deciso di scrivere queste righe perché ho assistito ad un fatto particolarmente increscioso. In qualità di selecontrollore pratico la caccia di contenimento anche all’interno del Parco della Maremma (Parco dell’Uccellina). In quell’immenso angolo di paradiso è presente una meravigliosa popolazione di daini, ed i maschi spesso raggiungono i centoventi chili di peso con dei trofei “mozzafiato”. In ottobre un mio “collega” ha abbattuto un palancone medaglia d’oro che, a ragione, voleva farsi preparare naturalizzato. L’incarico di scuoiare il Kapital se lo accollò un suo amico. Ma quando questi riconsegnò il frutto del suo lavoro, il legittimo proprietario si mise a piangere. Il caso ha voluto che alla consegna del “cape” (termine anglosassone che sta ad indicare tutta la cappa completa della pelle del collo e della testa e/o un trofeo imbalsamato fino alla spalla) mi ci trovassi anch’io e credetemi se vi dico che ad un trofeo di 5 chili con delle pale da 25 centimetri, aveva lasciato meno di cinquanta centimetri di pelle! Il baldo “skinner” affermò che se la testa gliel’avesse imbalsamata un suo amico tassidermista sarebbe diventata comunque un’opera d’arte!! Io qualche trofeo preparato dal quel “suo amico” l’avevo già visto e devo ammettere che assomigliava molto alle teste mozzate di cartapesta che sono esposte nella Torre di Londra!

Il trofeo è la testimonianza concreta del buon esito della caccia e sin dalla notte dei tempi ha sempre avuto per il cacciatore che lo ha conquistato un particolare valore affettivo e anche simbolico. Un trofeo preparato male, oltre ad essere un’offesa al nobile animale che lo ha portato, è brutto, antiestetico e dopo un po’ che lo guardi (dopo che l’euforia dell’abbattimento è passata) ti accorgi che non è proprio un bel ricordo da conservare. L’imbalsamatore è un artista a tutti gli effetti, come può esserlo uno scultore, un decoratore, o un pittore; a tale proposito ho visto alcuni diorami bellissimi che riproducevano alla perfezione le fattezze e le espressioni degli animali selvatici nei loro habitat naturali. Quelle si, che erano delle vere e proprie opere d’arte.


E’ comunque compito nostro consegnare al tassidermista pelli e trofei in ottime condizioni, in modo che gli permettano di lavorare bene applicandosi appieno per conseguire un risultato finale pressoché perfetto. In Italia è possibile cacciare: il capriolo, il camoscio, il muflone, il cinghiale, il daino, il cervo ed in alcune regioni anche qualche stambecco. La scuoiatura di nessuno di essi presenta particolari problemi. Non crediate che le difficoltà aumentino proporzionalmente alle dimensioni del selvatico. Personalmente ritengo più impegnativo scuoiare la testa di un capriolo che quella di un cervo, perché mentre è abbastanza agevole “girare” con il coltello intorno alle rose di un cervo, non è altrettanto facile farlo con quelle di un capriolo. Descriverò le operazioni necessarie ad asportare la pelle di qualsiasi ungulato per affidarla alle cure del tassidermista nelle condizioni ideali. Ci penserà poi lui a trasferirne le fattezze ad un simulacro artificiale di vetroresina o di poliuretano espanso.
 

Dopo aver abbattuto un ungulato dobbiamo fare molta attenzione a come tratteremo la spoglia, perché finché il selvatico è vivo, può correre per i boschi, saltare siepi e fili spinati, e sfregarsi contro le piante senza arrecare danni visibili al suo manto, ma dopo che è morto, c’è il rischio che la pelle si rovini soltanto cercando di mettere l’animale in posa per una foto. Quante volte vi sarà capitato di ritrovarvi con del pelo tra le mani mentre esaminate un capriolo? Avete mai trascinato fuori dal bosco un cervo, un daino oppure un cinghiale? Se si, com’era diventata la pelle dopo averlo scuoiato?

L’eviscerazione va sempre eseguita subito, ma non è necessario praticare grossi tagli sull’addome. Un’incisione di una cinquantina centimetri è sufficiente per “svuotare” completamente un cervo! Se abbattete un grosso selvatico in una zona dove non è possibile rimuoverlo con l’aiuto di un automezzo e vi preme recuperare anche la pelle oltre al trofeo, provvedete a scuoiarlo direttamente sul posto. Non è difficile, anzi, lo hanno fatto i pellerossa d’America per secoli. Quando abbattevano i bisonti, li scuoiavano immediatamente facendo addirittura il primo taglio sulla groppa e non sul ventre!
Descriverò come lavorare sulla carcassa di un’animale appeso per le zampe posteriori, ma lo stesso procedimento può andar bene anche se il selvatico è adagiato a terra.
 

Prima di fare l’incisione al garretto, tra osso e tendine, tagliate la pelle all’interno della coscia da un palmo sopra lo zoccolo fino al prepuzio e poi scuoiate completamente prima una zampa e poi l’altra. Successivamente spezzate le ossa alla prima articolazione e lasciatele attaccate alla pelle. Soltanto allora potrete appendere l’animale con una corda o meglio con dei ganci metallici (il che eviterà di tagliare la pelle in troppi punti). Il selvatico abbattuto va comunque scuoiato: che male c’è se la pelle la togliamo integra e in ottimo stato? Se a noi non serve possiamo regalarla ad un tassidermista che ne ha sempre bisogno. Con la carcassa in posizione iniziamo a scuoiarla parallelamente su ambedue i lati e se è ancora “calda” possiamo separare la pelle dai fasci muscolari con le nocche delle mani tirandola delicatamente verso il basso, altrimenti è necessario aiutarci con un paio di coltelli ben affilati (uno con la punta acuminata e l’altro con la punta smussata). Tagliate con molta attenzione stando sempre più vicini alla carne onde evitare che un colpo maldestro dalla lama possa danneggiare la pelle. Operando correttamente arriverete ben presto e con poca fatica in prossimità dello sterno e degli arti anteriori.


 
A questo punto io, per comodità e per abitudine, sono solito praticare con la lama acuminata un lungo taglio sulla groppa del selvatico, da dietro le spalle in mezzo alle scapole, giù fino alla nuca in posizione mediana rispetto al trofeo. Se il selvatico è un capriolo, il taglio terminerà tra le rose, mentre se è un daino, un cervo o un muflone è necessario praticare un taglio a “Y” per arrivare al centro delle basi dei due corni. Di un trofeo particolarmente bello e importante non è male prendere qualche misura: dalla punta del naso all’angolo frontale degli occhi, dagli occhi alle basi dei corni ed infine la lunghezza totale del muso. Questi dati dovranno essere consegnati al tassidermista che dovrebbe rispettarli durante la preparazione del “cape”. Rimuovere la pelle dalla testa non è difficile, basta avere un pizzico di pazienza e fare molta attenzione quando si taglia intorno alle corna, alle orecchie, alle orbite, ai canali lacrimatoi, alle labbra e alle cartilagini del naso e del mento.
 
Una volta feci notare ad un imbalsamatore come mai quel capriolo che aveva appena preparato avesse il mento rovinato. Mi rispose che era così perché molti animali cadendo battono il muso violentemente sul terreno!!!! Con la lama state sempre vicino all’osso il più possibile, specialmente quando rimuovete le labbra, senza preoccuparvi di lasciare troppa carne sulla pelle. Ci penserà poi il tassidermista a toglierla completamente. Un buon artigiano di solito è in grado di rimediare a quasi tutti i nostri errori, ma comunque è sempre meglio farne il meno possibile. Non azzardatevi mai a tagliare la pelle del collo oltre lo sterno! Il collo ed il petto sono le parti più in vista di un “cape”, quindi non è proprio il caso di rovinarli con brutte cuciture superflue. Gli arti anteriori devono essere spellati come quelli posteriori, troncando l’osso all’altezza del ginocchio e lasciando le zampe attaccate alla pelle. Qualche piccolo problema lo avremo per sfilare il manto completo, ma sicuramente ne sarà valsa la pena.
 

E’ sottinteso che se siamo intenzionati a imbalsamare soltanto la testa e non abbiamo la possibilità, magari per motivi di spazio, di conservare la pelle intera, possiamo tagliarla un 10–15 centimetri dietro le spalle ed eliminare anche le zampe anteriori alla prima articolazione.
 

Per conservare la pelle esistono principalmente due modi: salarla abbondantemente anche nelle pieghe più piccole e negli angoli più nascosti, poi ripiegala bene e lasciarla riposare in un ambiente fresco, areato e all’ombra; oppure conviene congelarla. Il primo metodo è consigliato e condizionato quando non è possibile procedere con il secondo. La pelle prima di essere riposta nel congelatore deve essere ripiegata su se stessa evitando di mettere il pelo a contatto con la parte sanguinolenta, poi conviene infilarla in un paio di buste di nylon ben chiuse. A meno che non vi troviate in condizioni particolari, credo che tutti siano in grado di poter congelare una pelle nel giro di uno o al massimo due giorni a seconda della stagione. Stesso discorso vale per il trofeo. Se è di piccole–medie dimensioni (capriolo, camoscio e muflone) possiamo congelarlo direttamente. Ma se si tratta di un daino o di un cervo, una volta spellato il teschio, per conservarlo lo dovremo tagliare parallelamente alla mascella superiore, rimuovere occhi, lingua e cervello e poi bollirlo. Dopo aver tolto il grosso della carne (tutte operazioni descritte prima) lo riporremo in garage o in cantina in attesa di poterlo consegnare al tassidermista. Molti si domanderanno perché mai dovremmo preoccuparci di come conservare la pelle ed il trofeo. Semplice, perché spesso, specialmente in piena stagione venatoria, il buon preparatore ha talmente tanti animali in laboratorio che potrebbe chiederci di portargli il nostro in un altro momento.
 

E con questo avrei finito. Spero che le foto possano aiutarvi meglio delle parole scritte e che vi siano utili per eseguire quel lavoro che alla fine non è altro che il coronamento delle nostre battute di caccia. Sono convinto che dopo aver preparato duo e tre trofei di capriolo non vi spaventerà neppure affrontare quelli di daino e cervo. Voglio e devo ringraziare un grande maestro della Tassidermia: Mirko Mazzone di Molina di Malo (VI), per avermi insegnato tanti piccoli ma preziosi segreti del mestiere. Spero che non me ne voglia se dopo questo articolo gli avrò tolto qualche cliente!!

Marco Benecchi




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3 commenti finora...

Re: Caccia agli ungulati: speciale trofeo

Ecco perche 'spariva l'acqua ossigenata se lla' purta' a casa

da Carlo enfisema  27/04/2022 18.05

Re: Caccia agli ungulati: speciale trofeo

QUI' LO DICO QUI' LO NEGO.......
Io ne ho una buona scorta "industriale" presa nel laboratorio chimico dove ..LAVOTAVO!!!
Che, credimi, non ha niente a che vedere con quella comperata in farmacia e/o in ferramenta.
Quindi devi cercare una "anima buona" che te ne procuri un po...
Pagamento in selvaggina..ovvio!
Un caro saluto
Marco

da Marco B x Banberia  23/04/2022 10.18

Re: Caccia agli ungulati: speciale trofeo

Marco, dove trovi l'acqua ossigenata al 33%? In farmacia mi dicono che non è più vendibile a privati e che devo accontentarmi del 10%.
IBAL

da bansberia  23/04/2022 5.58
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