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Credo che nella caccia in generale, ed in particolare in quella a palla, più che l’esperienza è l’istinto del cacciatore ad essere spesso determinante. Mi riferisco a quel “sesto senso” inspiegabile, che fa compiere gesti per certi versi strani ed inconsapevoli. Ad esempio quando decidi, senza nessun apparente motivo, di procedere verso destra invece che verso sinistra, oppure quando decidi di appostarti guardando il monte invece che il mare. Sono decisioni semplici, inconsce, a volte dettate dalla direzione del vento o dalla conformazione del territorio ma più spesso che si prendono così, senza nessun valido motivo. Come quello che accadde a me un fresco mattino di giugno, quando la mia attenzione fu attirata da un fagiano che s’involò dal grano ancora immaturo per inoltrarsi cantando impaurito nel bosco! Magari per un altro cacciatore non sarebbe stato niente di particolare, niente di strano o di eccezionale ma il mio istinto primordiale mi fece scattare un piccolo allarme nel subconscio, perché mi costrinse a rivedere tutta la strategia che avevo già deciso di adottare. Ma procediamo per ordine, cominciando dall’inizio, dalla caccia di selezione al cinghiale nel periodo primaverile–estivo, con il fieno alto e con i grani ancora immaturi. Eravamo in pieno lockdown, nell’aria aleggiava un senso di depressione generale quasi palpabile che opprimeva tutti, non solo i cacciatori. Per fortuna noi amanti della più antica delle arti, almeno, abbiamo una passione con cui sfogarci, nonostante le insensate, quanto inutili limitazioni geografiche, i rigidissimi coprifuochi e i controlli stile regimi totalitari. Poter andare a caccia all’aria aperta in completa solitudine e in piena libertà, oltre a non nuocere a nessuno, è un vero toccasana per tutti i mali. Credetemi, assistere al sorgere del sole avvolti dalla natura selvaggia, ridente e canora, è una delle più belle sensazioni del mondo. Nelle zone che normalmente frequento vedevo pochissimo movimento di cinghiali, non dico che non ce n’erano, solo che ne percepivo una certa carenza, sia reale sia apparente. Il terreno, si sa, non mente mai, di tracce se ne contavano poche anche nelle zone notoriamente più ricche di selvaggina, ma ci voleva ben altro per farmi scoraggiare dal tentare qualche uscita. E’ risaputo che il momento migliore per tentare di sorprendere un cinghiale all’aspetto è il tramonto, ma siccome il mattino non ho mai molti impegni, decisi di fare delle uscite per potermi rendere conto della conformazione della zona e dell’ipotetico transito di animali.
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Arrivai sul posto che era notte fonda e, dopo aver parcheggiato la macchina, silenzioso come può esserlo soltanto un vecchio veterano della caccia alla cerca, m’inoltrai nel bosco. Che procedetti bene lo dimostrò il fatto che, appena albeggiò, avevo già avvistato due caprioli, un’ istrice e una volpe, ma purtroppo di sagome “irsute” neanche l’ombra. Visto che sono un grande appassionato di caccia al capriolo, l’aver avvistato quei “folletti rossi” fu sufficiente ad elettrizzarmi ed a mettermi di buon umore. Giunto in prossimità dell’appostamento, per evitare d’inquinare la zona con il mio odore, rinunciai ad avanzare ulteriormente. Adagiai la mia Bergara B 14 Green Hunter calibro 308 Winchester equipaggiata con ottica 15 x 56 HD e di cartucce ricaricate con palla Nosler Ballistic Tip da 165 grani sopra ad una grossa pietra, mentre ad est il sole cominciava a rischiarare un grosso campo di grano, seminato a ridosso di un divieto di caccia notoriamente ricchissimo di selvaggina. Il mio intento sarebbe stato quello di riuscire ad intercettare uno o più animali che ne volessero rientrare. Tanti anni fa nell’amata Maremma i vecchi cacciatori facevano la posta ai cinghiali che venivano a razziare i loro campi coltivati, appostati sopra ad una grossa quercia o ad un ulivo; oggi i tempi sono cambiati. La carabina di grosso calibro munita di ottica da mira molto luminosa ha preso il posto della doppietta a cani esterni, caricata a terzarole, e conseguentemente anche la strategia da adottare è diversa. Da dove mi trovavo, in base alla direzione del vento e alle abitudini dei cinghiali, avevo un campo di tiro stupendo, avrei dovuto soltanto decidere se orientare la mia attenzione, e quindi anche la carabina adagiata sul bipede, verso destra oppure verso sinistra. Essendo mancino optai per la destra, così, senza nessun motivo apparente, più o meno come quando alla roulette scommetti sol rosso invece che sul nero. La caccia all’aspetto ai grandi selvatici va sempre fatta da un cacciatore solitario o, al limite, accompagnato da una validissima guida che ti aiuti controllando anche gli “angoli ciechi” che tu non puoi vedere. Dato che non faceva freddo e che non prevedevo una lunga attesa, ero coperto il giusto, potevo concedermi una certa agilità nei movimenti, ma fino ad un certo punto, perché la grossa pietra che fungeva da appoggio per l’arma era circondata da rovi ed arbusti.
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La confermazione del territorio e l’appostamento..spartano non mi consentivano certo di poter spaziare con il vivo di volata a 360°. Con la flebile fiammella dell’accendino sondai il vento per l’ennesima volta e, soddisfatto, mi sdraiai dietro il ruvido calcio sintetico della B 14 in attesa. I cinghiali, specialmente quelli che si attardano in pastura più del previsto, sono sempre piuttosto lesti durante la fase di rientro. Non dico che arrivano di corsa come se fossero inseguiti da una muta famelica di cani, ma tengono sempre un’andatura piuttosto veloce. Feci un paio d’imbracciature di prova con l’arma già puntata verso una piccola valletta e col reticolo dell'ottica illuminato al minimo. Con occhio critico controllai la zona circostante per vedere se ci fosse qualcosa d’insolito, ma mi sembrò che tutto fosse a posto, almeno com’era prima del mio arrivo. Intanto stava facendo giorno, di luce ce n’era a sufficienza, anzi, forse anche troppa! A fine primavera - inizio estate il sole sorge con una velocità incredibile, ben presto mi ritrovai dalla notte all’alba senza quasi accorgermene e a quel punto cominciai a non farmi più molte illusioni sul risultato finale di quell’uscita! La caccia è così, un po’come disse la volpe ai suoi amati figli in un vecchio proverbio: “quando a tordi e quando a grilli!” Ma ecco che accadde una cosa alquanto insolita, che la mia mente elaborò subito come anormale, facendomi scattare un piccolo allarme. Alle mie spalle un fagiano maschio s’involò fragorosamente dal grano per inoltrarsi cantando nel bosco. Quel fatto mi sembrò alquanto strano. Perché mai, prima ancora del sorgere del sole, un fagiano “spollava” dal grano per rintanarsi nel bosco e non magari viceversa? Era evidente che qualcosa doveva averlo spaventato, ma cosa? Senza pensarci un attimo sollevai la Bergara di peso ruotandola completamente di 180° per orientare la volata, proprio verso il punto esatto dove pochi secondi prima s’era involato il variopinto gallinaceo e cosa vidi? Un grosso cinghiale, col corpo lucido di rugiada, che fendeva il mare di grano verde smeraldo come una barca solca il mare. Che spettacolo! Evidentemente l’animale doveva essersi attardato in pastura ed ora, per guadagnare il folto, procedeva piuttosto di fretta. Non persi tempo, imbracciai subito la carabina e cercai di seguirlo direttamente attraverso il cannocchiale pronto al tiro. Vista la distanza, sui centoventi–centotrenta metri e la sua andatura veloce, posizionai il reticolo davanti al muso e strinsi deciso il grilletto. Il tonfo della palla che colpiva qualcosa di solido mi arrivò distintissimo, ma dopo lo sparo il grosso solengo sparì come volatilizzato. Ricaricai veloce e rimasi in punteria ma non vidi più niente, neanche qualche filo di grano ondeggiare. Era come se quel mare verde avesse inghiottito ogni cosa. A quel punto mi rilassai, perché ormai il danno, se così possiamo definirlo, era fatto. Raccolsi il bossolo sparato, rimpiazzai la cartuccia sparata, mi feci coraggio ed andai a vedere.
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Fu come entrare nell’acqua fredda. Col sorgere del sole era caduta talmente tanta guazza da farmi bagnare fino all’inguine come un pulcino. Giunto più o meno dove speravo di trovare qualche traccia che mi aiutasse a capire cosa fosse accaduto, intravidi una depressione nel compatto manto verde e subito dopo anche una grossa sagoma scura immobile. Dall’enorme testone spiccavano due meravigliose difese scintillanti. Quando l’osservai da vicino m’impressionarono più i canini superiori, le coti, che le zanne vere e proprie. Era un enorme solengo dal trofeo meraviglioso. A parte il pelo che si stava diradando, era un animale splendido, ma…. praticamente impossibile da smacchiare da solo. Davvero, se solo avessi saputo in anticipo quanto era grosso e scomodo da portar via, mi sarei fatto qualche scrupolo prima di tirargli. Ma gli amici che ci stanno a fare? Chiamai Alvaro, che nonostante fosse sabato, alle sei e mezza del mattino era già a lavoro, e gli chiesi supporto logistico. Permettetemi di darvi un preziosissimo consiglio: se vi dovesse servire un grosso aiuto, come nel mio caso, chiamate subito uno o più amici “veri e sinceri”, di quelli che “non possono dirti di no!”. Non state a perdere tempo a svegliare e/o scomodare dei semplici…. conoscenti o pseudoamici, giocatevi subito il jolly! Alvaro, oltre a rendersi immediatamente disponibile, mi chiese soltanto un’altra cosa: “A Mà, ma quanto è grosso?” Tanto gli risposi, davvero tanto... E fu così che venne in mio aiuto col sul bel pick up e con due dei suoi operai, scelti tra i più robusti! In quattro girammo e rigirammo il grosso solengo per controllare dove l’avevo colpito e il lavoro svolto dalla potente Ballistic Tip da 165 grani. Una palla ad espansione controllata che colpisce tra collo e spalla è sempre risolutiva, indipendentemente dal calibro utilizzato. Quindi, secondo me, nonostante la mole del selvatico, il risultato sarebbe stato identico se avessi usato un 243 Winchester o un 300 Weatherby Magnum. Non dimenticatelo mai, il piazzamento preciso della palla è determinante!
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Quello che seguì fu gioia pura. I riti teutonici non sono molto usati in Maremma…., tra bischeri ci si limita alle solite cose, come le pacche sulle spalle, un po’ di sano sfottò, apprezzamenti sul fondoschiena ed a volte può scapparci anche qualche parolaccia… Poi finalmente scattammo diverse foto coi cellulari, perché un animale simile doveva essere immortalato come cristo comanda, perché era stato cacciato e abbattuto da un buon cacciatore anche se aiutato da un fagiano….traditore!
Marco Benecchi