Tempo fa scrivemmo che dalla cucina – e solo da lì – poteva passare la RIvalutazione della caccia. Erano i tempi d’oro dei primi chef in tv. Chef stellati che parlavano di carni nobili, e, necessariamente quindi, di selvaggina. La rivista Gambero Rosso, che in fatto di autorevolezza nel settore forse non ha pari nel nostro paese, a più riprese ne ha decantato le doti organolettiche, ergendola al primo posto tra le carni di qualità. Non sono opinioni, ma caratteristiche intrinseche della materia, che la rendono unica in fatto di qualità di grassi, proteine e, non ultimo il gusto, con tutti i suoi possibili abbinamenti.
Un vero diamante, ricercata e amata da chi di alta cucina si occupa, quanto ignorata dai più, purtroppo. Tra le nuove tendenze, insieme alle pure blasonate mode vegan e gluten free, ecco che anche la selvaggina è tornata alla ribalta. E con lei, fortunatamente, fa capolino anche la conseguente legittimazione della figura del cacciatore.
Non su queste pagine dove della legittimazione del cacciatore abbiamo fatto una missione di vita. Ma è ancora una volta Gambero Rosso a prendersi la briga di parlare di caccia, di quel filo di relazioni che lega macellai, artigiani, cuochi, animali selvatici. E che ci ricongiunge al nostro archetipo: l’uomo habilis, che era un tutt’uno con la natura, e da essa traeva ogni cosa. Ricucendo questa storia che da lì arriva fino ad oggi, con una caccia fatta di regole ferree e passione, è possibile far comprendere ai lettori di quella rivista che questa attività va riconsegnata alla sua “primordiale essenza e giustificazione”.
Anzitutto quella della sostenibilità. La carne di selvaggina, lo abbiamo scritto fino alla nausea, è l’unica carne 100% ecosostenibile. Chi non mangia carne per motivi ecologici (si sa che la produzione di carne da allevamento ha un grosso impatto in termini di consumo delle risorse), può trovare nella selvaggina la risposta, dato che gli animali che si trovano nella foresta, altro non fanno che rimettere in circolo risorse già prodotte naturalmente dal territorio. E anche da un punto di vista etico, ovvero, di chi si assicura che gli animali che mangia abbiano vissuto una vita degna di questo nome, la selvaggina è la migliore risposta. Nessun animale è allevato in condizioni migliori di quelli che si auto allevano in natura. Tutta una vita passata in libertà, nelle condizioni etologiche ottimali, fino allo sparo del cacciatore.
C’è poi il punto dello squilibrio faunistico. Altro problema di cui la caccia non è altro che la soluzione. I selvatici oggetto di caccia, ungulati soprattutto, sono troppi e vanno regolati da un punto di vista numerico. “Di cosa si tratta? - scrive Gambero Rosso - Di un’attività regolata dalle istituzioni e svolta da cacciatori professionisti e formati, si svolge su determinate specie di animali e in periodi e territori prestabiliti. È praticata secondo piani di abbattimento che indicano il numero, l’età, il sesso degli animali da abbattere e in che periodo dell’anno farlo. Crudeltà? Esattamente il contrario: è un’attività che si svolge allo scopo di preservare gli ecosistemi, per la sicurezza e il contenimento delle specie e per evitare i danni della sovrappopolazione. Questo tipo di caccia ha come primo obbiettivo il benessere della fauna selvatica. Per la caccia di selezione servono serietà e impegno e non è sempre un’attività conveniente per il cacciatore, impegnato anche in mansioni di gestione del territorio e del patrimonio faunistico”.
C'è infine il grande capitolo della selvaggina minore, non sufficientemente trattato da Gambero Rosso. E questo è un peccato. Sia di stanziale (compreso lepri e conigli) sia di migratoria ce n'è in buona quantità nei territori dove l'ambiente è stato conservato a misura di pernici, fagiani, tordi, colombacci, anitre. Per queste ultime, sono addirittura i "cacciatori" che si preoccupano di salvaguardarne i contingenti mantenendo a "riposo" vaste aree umide (vedi valli venete e del delta del Po). E il rapporto conservazione-prelievo venatorio se ben gestito dà ottimi risultati, come è dimostrato ovunque in Europa. C'è da augurarsi che in un futuro prossimo questo vuoto venga colmato, affrontando l'argomento sia in funzione della grande e piccola ristorazione, ma pure per il consumo casalingo e conviviale.
Cinzia Funcis