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24/01/2019 10.02 

 
Grazie all’interessamento e alla gentilezza del caro amico Pietro, anche quell’anno mi fu concesso di abbattere un camoscio nella sua riserva. Pietro mi sollecitò di partire al più presto, perché la stagione degli amori era già in corso ed entrambi sapevamo che quel periodo era il migliore per dare la caccia al re delle vette. Durante quell’arco di tempo, che di solito inizia verso la prima quindicina di novembre, i maschi forti e focosi riuniscono le femmine e rincorrono i rivali in giostre pericolose ma spettacolari. Un Weekend lungo, da venerdì a lunedì, era già previsto per tale scopo nel mio limitato pacchetto ferie, quindi non rimaneva altro da fare che mettere in valigia le solite cose e trovare qualcuno disposto ad accompagnarmi. Contattai parecchi “amici” che si dimostrarono subito molto entusiasti della mia offerta, ma quando specificai che il camoscio disponibile era uno soltanto, tutti, immancabilmente, all’ultimo momento si ricordarono di avere altri impegni! Tanto peggio, se non avessi trovato nessuno, sarei comunque partito da solo. L’amore per una persona non si dichiara, si dimostra. E’ ciò che fece mia moglie quando si offrì di accompagnarmi. Sono quasi trent’anni che mi sopporta e credo che sia giunto il momento di metterla in lista per la beatificazione!!

A dispetto delle previsioni arrivammo in Piemonte che nevicava. Gli amici che trovammo ad accoglierci, in particolare Mauro, il concessionario della riserva, c’informarono che sulle montagne il manto nevoso doveva aver già superato i venti centimetri. Il mattino dopo, quando Giuliano il Guardacaccia, Pietro ed io ci ritrovammo al bar, i venti centimetri erano diventati trenta. Scherzammo e ci scambiammo i soliti convenevoli, tutti convinti che avremmo trascorso l’intera giornata a raccontarci le nostre avventure intorno al fuoco. Ma io, che non mi ero certo fatto seicento chilometri per scaldarmi al camino, timidamente proposi agli altri di tentare comunque un’uscita. Dal sorriso che fece Giuliano capii che si aspettava una simile richiesta, così, raccolte le sue cose e senza fare commenti c’invitò a seguirlo a piedi su per una pista da sci.
 
 


La neve continuava a cadere abbondante, ma in compenso non faceva né freddo né tirava un forte vento. Avevo dimenticato il copricanna in cordura così, per evitare che la neve entrasse nella volata della mia Weatyherby MK V Ultralight calibro 270 Weath Magnum in acciaio inox e calcio sintetico, la coprii con una piccola busta di nylon recuperata da un pacchetto di fazzolettini. Procedemmo in fila indiana in un silenzio ovattato, con Giuliano che apriva la pista, con un passo lento e cadenzato. Luca ed io lo seguivamo dopo pochi metri. Ogni dieci–venti minuti ci fermavamo ad ascoltare e binocolare verso il sottobosco o contro le rocce a parete. Più salivamo più la neve si faceva alta e fresca. Molto prima di arrivare alla mèta prefissata il livello della coltre bianca era diventato proibitivo! Procedere in quelle condizioni era faticosissimo ed anche pericoloso, così decidemmo di fare una piccola sosta. Entrammo in una vecchia malga semidiroccata, chissà, forse costruita secoli fa dai Walser, dove consumammo una frugale colazione, ci fermammo giusto il tempo di riprender fiato e poi c’incamminammo di nuovo.


La neve ci flagellava senza pietà e il freddo e la stanchezza stavano facendosi sentire mentre l’entusiasmo iniziale si andava ridimensionando. Nessuno di noi s’era illuso sull’esito di quell’uscita, tanto meno Giuliano che durante la salita ci aveva detto che le speranze di vedere un solo camoscio erano remotissime. Avevamo tentato sperando nel classico colpo di fortuna che invece non ci fu. Tutti e tre eravamo in ottima forma fisica, ma avendo davanti ancora due giorni di caccia impegnativa, di comune accordo decidemmo che non era il caso di stancarci troppo. Alle sedici rientrammo senza aver visto un solo animale.

Il mattino seguente aveva smesso di nevicare, ma il tempo era brutto lo stesso. Pietro aveva altri impegni, così non poté farci compagnia. Sulla Jeep 4 x 4 salimmo soltanto Giuliano ed io. Viaggiammo per qualche chilometro, poi lasciata l’auto in prossimità di una bella baita, c’inoltrammo a piedi lungo un sentiero semi nascosto dai rami di larici ed abeti stracarichi di neve. Il guardia apriva la pista scuotendo delicatamente le fronde con l’alpenstock per liberarle dal pesante fardello, ma sempre attentissimo a non fare rumore. Camminammo per circa un’ora, fin quando raggiungemmo un’ampia pietraia, larga un centocinquanta metri e lunga circa duecentocinquanta. Al limitare del bosco, tra gli alberi, trovammo un provvidenziale masso da dove potevamo dominare tutta la zona. Giuliano mi ci fece posizionare la carabina come se dovessi tirare, poi, con calma, tirò fuori dallo zaino il suo bellissimo  20–60 X, lo montò sul robusto e funzionale treppiede ed iniziò la cerca. Dopo un primo e rapido controllo, nell’ampia pietraia individuammo diversi camosci, quasi tutte femmine accompagnate dai loro piccoli, ma di maschi neanche l’ombra. Giuliano con un filo di voce mi comunicò che se fosse stato necessario saremmo stati lì, in quella posizione, per tutto il giorno, certi che uno o più maschi sarebbero venuti a reclamare il loro diritto di costruirsi un harem. Ci tenne a precisare che non era assolutamente il caso di perdere un’altra giornata a trascinarsi nella neve, perché il risultato sarebbe stato lo stesso di ieri. Giuliano, in base alla sua esperienza, sostenne che con un tempo simile soltanto in una zona come quella, in una radura tra i boschi, avremmo potuto avere l’occasione d’incontrare un buon camoscio.

 

Il freddo era pungente, ma non tanto da impedirci di rimanere perfettamente immobili per molto tempo. Ogni tanto vedevamo qualche camoscio rincorrersi, ma purtroppo non riuscivamo a capire se si trattasse di un maschio che scacciava un rivale oppure di un becco che rincorreva una femmina. Sempre con gli occhi incollati al mio  8 x 42 cercavo di non trascurare, nella cerca, neanche gli angoli più nascosti. Fu così che a ridosso di una grande pietra scura vidi un camoscio. Subito, a prima vista, mi sembrò un maschio. Lo traguardai meglio attraverso l'ottica montata sulla mia carabina ed ebbi la quasi certezza che quello era proprio il capo che stavamo cercando. Si trovava a 196 metri esatti, messo perfetto a “cartolina” con il fianco destro bene in vista. Con la bocca aperta gustava l’usta inebriante delle femmine che il vento a favore gli regalava. Giuliano lo valutò immediatamente, confermando la mia stima precedente. Con un semplice: “Ok, è lui” mi diede finalmente il via libera al tiro. Controllai che la ghiera correttrice del parallasse fosse posizionata sui duecento metri, poi tranquillo (ma non troppo) portai il ruvido calcio della Weatherby alla spalla. Quel diavolo di un becco, neanche avesse intuito le nostre intenzioni, con quattro salti si rifugiò nel sottobosco eclissandosi. In quel momento avrei volentieri sgranato tutto il rosaio, ma a modo mio! Giuliano sorrise e disse che forse quel vecchio furbacchione ci avrebbe concesso un’altra occasione. Dovevamo soltanto aver pazienza, perché fin quando le femmine fossero rimaste in zona, lui non si sarebbe allontanato troppo.

Puntuali come orologi svizzeri e neri come il carbone, ogni benedetta ora i due soliti camosci da destra a sinistra e viceversa attraversavano la pietraia portando immancabilmente scompiglio nel branco. Oltre a non stare fermi neanche il tempo necessario a farci capire il loro sesso, disturbavano la quiete irreale che altrimenti regnava in quell’angolo di paradiso. Intanto il tempo passava inesorabile, ed il sole già sfiorava le alte cime degli alberi. Per ben tre volte mi posizionai al tiro, ma inutilmente. Una volta non sparai perché il soggetto osservato non aveva le caratteristiche giuste, mentre un’altra non premetti il grilletto perché il camoscio era troppo coperto dalla vegetazione. Io sono un fatalista, se le cose dovevano andare così non me la sarei presa più di tanto. Il successo a caccia non si dà mai per scontato, specialmente quando si tratta d’insidiare i camosci in alta montagna.



A differenza del giorno precedente, questa volta restammo nel bosco fino al tramonto, ma nonostante tutto il nostro impegno, il risultato fu lo stesso. Quella sera, a cena, mia moglie cominciò a manifestare i primi sintomi della cosiddetta “astinenza da figlio”, consigliandomi di partire l’indomani molto presto per giungere a casa prima di sera. Ero d’accordo con lei, come dargli torto, ma nell’intimo qualcosa mi diceva che la fortuna prima o poi sarebbe dovuta girare. Proposi alla mia paziente consorte un patto: se entro le dieci dell’indomani non avessi abbattuto il mio bel camoscio, sarei partito senza indugi e senza rimpianti. Santa Nadia accettò. Telefonai a Giuliano e le comunicai le mie intenzioni. Gli proposi di muoverci presto, addirittura all’alba e, come mi aspettavo, lui non solo non fece obiezioni, anzi, fu entusiasta della scelta.

Al solito appuntamento davanti al bar trovai diverse piacevoli sorprese: il tempo si preannunciava bellissimo con un cielo che sembrava cobalto, Giuliano era in macchina ad aspettarmi già con gli scarponi ai piedi e con lui c’era anche Mauro, l’altro granitico guardacaccia della riserva. Mauro è un vero “figlio della montagna” perché discendente diretto dei Walser, i pastori vallesani che a cavallo tra il 1300 e il 1400 diedero vita alla più ardita colonizzazione delle Alpi. Mentre con il fuoristrada arrancavamo sulla mulattiera, i due colleghi m’informarono che Pietro, dispiaciuto per il fatto che non avevo ancora abbattuto il mio camoscio, aveva chiesto a Mauro di darci una mano. Le due guide si sarebbero divise, in modo da poter ispezionare un tratto più ampio di bosco e quindi di avere più possibilità d’avvistare gli animali. Chi avesse individuato per primo un buon maschio avrebbe avvisato l’altro telefonicamente. Ci dividemmo in prossimità di un impervio canalone e Giuliano ed io prendemmo a salire verso destra, mentre Mauro s’inerpicò alla nostra sinistra. I miei scarponcini  svolsero egregiamente il lavoro gravoso che gli avevo imposto durante quei tre giorni di caccia estrema, sorreggendo a dovere le mie caviglie, allenate sì, ma pur sempre da cacciatore di collina. Per non perdere del tempo prezioso, raggiungemmo veloci e senza soste uno strategico punto d’osservazione dal quale potevamo scorgere diverse “finestre” aperte nella fitta vegetazione sull’altro versante del canalone. Che fosse la giornata buona lo capimmo subito dal discreto numero di camosci che apparivano e scomparivano nel bosco. Giuliano sembrava un automa, alternava di continuo la visione con il binocolo a quella con lo Spektive, senza mai pronunciare una sola parola. Passò circa un’ora senza che nessun camoscio attirasse particolarmente la sua attenzione. Nel silenzio spettrale che ci avvolgeva come un manto invisibile, sentii una lievissima vibrazione. Era il cellulare di Giuliano. Mauro c’invitava di raggiungerlo perché aveva individuato un buon maschio.

Raccogliemmo tutte le nostre attrezzature e ci spostammo veloci di qualche centinaio di metri finché, affannati e sudati, raggiungemmo il nostro amico. Attraverso il suo lungo già in posizione vedemmo un giovane femmina che mangiava semicoperta dal tronco di un grosso larice. “Il maschio è straiato qualche metro sopra di lei” c’informò Mauro, “Non lo vedo da un pò, ma sono sicurissimo che non s’è allontanato, quella bella ragazza lo tiene in pugno” . Mentre cercavo un appoggio per la Weatherby, porsi il mio telemetro Leica a Giuliano per fare le dovute misurazioni. La femmina si trovava a 208 metri esatti di distanza. Controllai che l’arma fosse carica e sperai che durante quei tre giorni di maltrattamenti non si fosse alterata la taratura dell’ottica. Tutti e tre scrutavamo il tratto di bosco intorno alla camozza con la speranza d’individuare la posizione del maschio, ma la vista più acuta l’ebbe Mauro: “Eccolo là, gli ho visto la testa, è dietro quel gruppo di cinque alberi, ogni tanto muove le orecchie”. Ora che sapevamo dove guardare lo vedemmo facilmente anche noi due. Quel camoscio rientrava nel nostro piano di abbattimento e quindi eravamo autorizzati a tirargli, ma quanto tempo sarebbe stato lì sdraiato soltanto dio lo sapeva.
 
 

I minuti passavano lenti e crudeli ed io venni preso da un’agitazione innaturale per il mio carattere. Non mi sembrava possibile che ad un passo dal concludere quella bellissima caccia eravamo ancora in una posizione di stallo e per lo più condizionati dal pochissimo tempo a disposizione. Mentre ero assorto nei miei lugubri pensieri Giuliano quasi gridò: “La femmina si muove, Marco preparati che il maschio la seguirà di sicuro”. Cercai di mettermi nella migliore posizione possibile e quando puntai il reticolo verso i larici, il camoscio era già in piedi. Lo vedevo benissimo, ma purtroppo si presentava di punta. Evidentemente, non vedendo più la compagna, la cercava sia con la vista che con l’olfatto annusando l’aria. Sui dodici-quattordici ingrandimenti la mia ottica ha un campo visivo molto ristretto quindi per non correre il pericolo di perdere secondi preziosi per ritrovarlo seguivo tutti i movimenti del superbo animale sempre stando in posizione di tiro con il calcio alla spalla. Il camoscio fece pochi passi in salita e si fermò mostrandoci il fianco sinistro parzialmente coperto dagli arbusti; non era il caso di azzardare il tiro. Anche Mauro fu del mio stesso parere perché con un sussurro mi sconsigliò di tirare. Continuammo ad osservarlo con la speranza che si spostasse quel tanto che mi permettesse di avere la visuale libera.

Impercettibilmente il camoscio abbassò il muso e accennò qualche passo. Adesso lo vedevo perfettamente, era immobile e messo bene, così senza aspettare nessuna autorizzazione da parte delle due guide, armai lo stecher, allineai il reticolo al centro della spalla e dolcemente sfiorai il grilletto della mia 270 WM. Il camoscio cadde fulminato rotolando dov’era sdraiato poco prima. La mia Hornady Spire Point da 130 grani aveva colpito nel punto giusto! “Weidmannsheil” gridarono Giuliano e Mauro all’unisono. In breve tempo avevo concluso positivamente un’altra indimenticabile avventura di caccia al camoscio sulle splendide montagne piemontesi.

Raggiungere il camoscio non fu certo un’impresa facile, dovemmo ridiscendere il canalone per risalirlo dal versante opposto e durante quel tragitto le cadute e gli scivoloni non si contarono. I miei due cari amici mi permisero di avvicinarmi al camoscio per primo e da solo, poi pazientemente attesero che mi stancassi d’accarezzargli il folto manto corvino prima di avvicinarsi. Giuliano, che era il responsabile dell’abbattimento, controllò se tutto era stato conforme, verificò l’età del selvatico e il suo stato fisico generale. Il trofeo, pur non eccezionale, era per me bellissimo. Brindammo felici e non più preoccupati di far rumore. Accesi anche il mio cellulare che immediatamente squillò. Era mia moglie: “Come sta andando la caccia? Lo hai preso il tuo benedetto camoscio oppure dobbiamo rimandare ancora la partenza?” ” Paga il conto dell’albergo e fatti trovare con le valige pronte, che anche questa volta si torna a casa in tre”, gli risposi tranquillo ed appagato.


Marco Benecchi
 
 
 


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13 commenti finora...

Re: Camosci di bosco

MB ha capito ciò che intendevo dire. Mi riferivo a un ago DENTRO la canna. Tuttavia quando sono andato al cedrone con un combinato, il guardia mi fece usare la canna liscia perché diceva che la palla del 5,6x50R poteva esplodere impattando sui rami dell'abete dove era appollaiato il gallo. Non se se sarebbe accaduto. Ma il dubbio è legittimo tenuto conto della velocità della palla (l'animale era a non più di 30/35metri). 🤔

da Filippo 53  06/02/2019 20.54

Re: Camosci di bosco

Forse uno di noi due deve aver capito male cosa ha scritto Filippo,

un ago di pino non farà mai scoppiare una canna, ma - forse è una mia fisima - potrebbe influire sulla precisione (magari non succederebbe, ma sai com'è, meglio non avere alcuna perplessità e/o dubbio che mi farebbero stare in apprensione...)


LUI credo intendesse "Un qualcosa sulla volata" potrebbe influire sulla precisione,
Non il colpire un ago di pino...

(Che all'interno della mia canna non lo vorrei!)

Comunque non ci scherzare che quando una palla VELOCE, magari anche FRAGILE e ad ALTISSIMA VELOCITA' comincia a trovare sulla sua strada un po di vegetazione NON E' DETTO che colpisca il bersaglio con precisione e completamente INTEGRA.
Questo POSSO GARANTIRTELO IO...
MB

da Marco B x Giovanni  06/02/2019 15.56

Re: Camosci di bosco

precisione? per un ago di pino? ma dico spero che stai scherzando? oppure sei anche tu tra quelli che se vedono un animale è dietro un ciuffo di erba non sparano? stai tranquillo , non succede niente di niente anzi puoi sparare anche in mezzo a un canneto che la palla andrà dove tu hai tarato la tua arma senza se e senza ma!! non dar retta ai tiratori della MUTUA !!! Che hanno anche il vizio di riempire le pagine delle riviste di emerite idiozie !!! spara tranquillo non succede NIENTE!!

da Giovanni  05/02/2019 16.54

Re: Camosci di bosco

Sulle volate senza freno di bocca ho visto usare (io una volta tanto la penso come MB, non ci voglio niente...) da cacciatori ultra competenti un dischetto autoadesivo di quelli che si usano al poligono per attappare i fori dei colpi precedenti. x Giovanni: un ago di pino non farà mai scoppiare una canna, ma - forse è una mia fisima - potrebbe influire sulla precisione (magari non succederebbe, ma sai com'è, meglio non avere alcuna perplessità e/o dubbio che mi farebbero stare in apprensione...)

da Filippo 53  31/01/2019 15.48

Re: Camosci di bosco

Li ho visti anche io quei video di JAMES DOUGLAS e devo dire che erano MOLTO ben fatti ed il cacciatore MOLTO competente
Quindi IO gli credo,
Anche se, sempre IO, davanti alla volata della mia arma non ci metterei MAI niente prima di sparare,
Ma sono MIE fissazioni personali,
Il VIVO di VOLATA lo voglio sempre liberissimo..
Non si sa mai..
MB

da Marco B x Jacopo  30/01/2019 17.30

Re: Camosci di bosco

Io non ho mai provato, ma ricordo perfettamente che negli anni 90 girava un video (in vhs) di caccia al capriolo nel quale il cacciatore (mi pare fosso inglese o scozzese) per impedire che nella canna entrasse la puoggia ma soprattutto foglie o rametti la tappava con del nastro adesivo asserendo che ciò non comportava problemi di nessun tipo sia dal punto di vista della precisione che da quello della sicurezza!!

da Iacopo  30/01/2019 15.15

Re: Camosci di bosco

che scoppi una canna per un ago di un pino sembra eccessivo e non è vero! si spara con il nastro davanti alla volata e non succede niente ma di cosa state parlando??? ma sapete come funzionano le armi o parlate per esperienza personale?

da Giovanni  29/01/2019 10.18

Re: Camosci di bosco

La mauser se nn ricordo male fa un coso di plastica ad alta visibilità che si mette in volata x nn far entrare lo sporco in canna
Ps col freno di bocca nn funziona a causa dei fori laterali

da Hunter93  25/01/2019 14.40

Re: Camosci di bosco

La prudenza è una buona cosa e il copricanna è una dimostrazione di prudenza. Nel bosco è possibile che aghi di conifera o foglioline o neve entrino in canna e la rimozione sarebbe molto difficile.
Quindi il copricanna è utile, specie se si ha un freno di bocca le cui aperture laterali possono essere intasate da corpi estranei.

da bansberia x rino  25/01/2019 9.05

Re: Camosci di bosco

ma a cosa serve? io giro con la custodia da sempre E CON LA CARABINA SEMPRE SCARICA !! C'è tutto il tempo di toglierla , caricare e sparare. ci sono custodie leggerissime che di consentono il trasporto salvaguardando l'arma e la SICUREZZA !! quando vedo i "turisti" che caricano l'arma appena fuori dalla macchina mi incazzo come una bestia ! Mi sembra gente che vada al "fronte" non a caccia! comunque il nastro adesivo non fa niente !

da Rino  25/01/2019 8.24

Re: Camosci di bosco

uso da sempre nastro adesivo sulla canna senza nessun problema, i copricanna continuo a perderli e se di pelle, quando bagnati, rilasciano sostanze che danneggiano la brunitura della canna

da vecchio cedro  24/01/2019 13.15

Re: Camosci di bosco

Cacciare i camosci in Alta Montagna con la neve non è come cercare i talebani in Afgnanistan

Credo che una volta avvistato il selvatico uno ha abbastanza tempo per rimuovere il copricanna, in qualsiasi materiale sia fatto.
Comunque non mi piacerebbe sparare attraverso qualcosa,
Né carta, né nastro adesivo né preservativi o similari.....
Credo che non influisca sul funzionamento dell'arma né sulla precisione,
Ma preferisco non pormi il problemi.
Meglio evitare complicazioni, quando possibile
Buona
M

da Marco B x Luciano  24/01/2019 12.56

Re: Camosci di bosco

Al posto del copricanna qualcuno mette il nastro adesivo, sostenendo che, in caso di necessità, si può sparare senza toglierlo. Che ne pensi?

da Luciano  24/01/2019 12.10
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